In questo profondo momento di smarrimento, di mancanza di certezze alle quali siamo “semplicemente” poco abituati, è davvero importante (oltre che squisitamente umano) aggrapparsi a tutte quelle formule che magicamente possono aiutare a riconnetterci con noi stessi, con gli altri e, senza esagerare, con l’universo.
La musica, in questo senso, sappiamo benissimo essere molto più di un semplice mezzo, di un tappabuchi congeniale ai vuoti della routine, e forse proprio per questo (nella sua generale drammaticità) la situazione che ci ritroviamo a vivere costituisce, in modo quasi insospettabile, una grandiosa opportunità. Di cultura, di libero scambio, di ampliamento dei nostri comuni orizzonti: un vero e proprio slancio verso l’ignoto nel quale, tutto sommato, possiamo riuscire a farci compagnia e ispirarci a vicenda.
Eccoci allora pronti ad attrezzarci come si conviene, a rispolverare i vecchi cd, i vinili, fino a cimentarci in una ricerca molto più ponderata del normale all’interno del mondo dello streaming, così pregno di opportunità e alla portata di tutti. Mettiamoci letteralmente “in ascolto”, e condividiamo tra di noi tutta la migliore musica possibile anche per restituire all’imperativo “RESISTERE” tutta la sua forza, bellezza e autenticità, in questo contesto globale 2.0 dove tutti siamo più vicini, ma mai davvero connessi l’un l’altro.
Quello che segue può essere considerato il primo di tanti preziosi suggerimenti, nel tentativo di imparare ad apprezzare maggiormente la nostra “solitudine” attraverso dei veri e propri viaggi introspettivi, come fossimo alla deriva. Persino la compagnia del resto del mondo, una volta riaperte le gabbie, potrebbe avere un “suono” diverso.
BUON ASCOLTO!
“THE DARK SIDE OF THE MOON” – Pink Floyd (1973)
Può sembrare una scelta scontata, soprattutto in virtù del sound tipicamente psichedelico al quale ci hanno sempre abituato Roger Waters & Co. Aggiungeteci, se volete, altri lavori di notevole portata “introspettiva” come “Wish You Were Here” (1975) o “The Wall” (1979), e allora farete sicuramente fatica nel preferire un ascolto piuttosto che un altro. Insomma, con i Pink Floyd, in generale, si va abbastanza sul sicuro, ma mai come in questo momento storico “The Dark Side of the Moon” (1973) rappresenta quella che a suo tempo lo stesso Waters definì un’istanza di empatia politica, umanitaria e filosofica, dimenticata, oggi, dietro gli schermi dei pc e dei cellulari della gente, ossessionata non tanto dal voler mantenere il proprio contatto con il mondo quanto, piuttosto, con la propria identità messa pericolosamente in discussione nel momento in cui la giostra della routine ha smesso di girare.
Si tratta di un preziosissimo concept album, che rincorre visceralmente temi quali il conflitto interiore, la morte, il rapporto col denaro e col tempo, l’alienazione mentale e il confronto con tutto ciò che è altro da noi. Un viaggio articolato in 10 brani rimasti nella storia (come “Time”, “The Great Gig in the Sky”, “Money”, “Us and Them”), da compiere ad occhi chiusi mentre si restituiscono alla musica e alle parole tutta la fiducia possibile, essenziale per lasciarsi risucchiare da quel piccolo/grande universo nascosto nella parte più “oscura” del nostro essere, senza accorgimenti lisergici. E, soprattutto, per imparare farci i conti una volta tornati a riprendere fiato in superficie, lì dove il mondo sembra essersi momentaneamente fermato.
“The Dark Side of the Moon” è, in buona sostanza, un invito sincero a toglierci la maschera e a confessare che “no, non siamo padroni di nulla” al di fuori di noi stessi, ma solo responsabili del nostro essere.
Jacopo Ventura, 18/03/2020