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LaStanzadiGreta e la viva immaginazione nel mondo sonoro di “Creature Selvagge”

Ott 29

Nell’opera “Il giardino dei ciliegi” di Cechov, la protagonista, Ljuba, era attaccata a un ricordo di un passato lontano che, sotto i suoi occhi, si era disfatto, svanendo per sempre. Un capitolo dolce e tenero della vita si chiudeva definitivamente e, a sostenerla, quel pensiero tangibile di un “grande armadio-mamma” custode della felicità, dei giochi dell’infanzia, di quando si era piccini e spensierati mentre tutto il mondo, intorno, esplodeva. Potremmo pensare allo stesso armadio guardando a “Creature Selvagge” (Sciopero Records), primo album del collettivo torinese LaStanzadiGreta – Leonardo Laviano, Alan Brunetta, Umberto Poli, Jacopo Tomatis e Flavio Rubatto –, un oggetto che aspetta solo di essere aperto per far scoprire sonorità meravigliose che accarezzano l’orecchio. Prodotto grazie a una fortunata campagna di crowdfunding sulla piattaforma MusicRaiser, questo risulta essere un lavoro non soltanto di storie ma di sensazioni, emozioni, movimenti sonori e dell’anima che cercano di rispolverare situazioni felici per ricontestualizzarle nell’oggi come àncora di salvezza per affrontare il domani. Attenzione, però: non si tratta certo di nostalgia quella che il tessuto musicale cerca di costruire. Dovremmo piuttosto parlare di un rinnovato monito, riappropriarci, cioè, di una “leggerezza del vivere” e del “giocare con la vita” tipico dell’infanzia, senza appesantire ulteriormente il quotidiano. Così LaStanzadiGreta è una mamma, una sorella, un padre, un fratello, un amico o un semplice conoscente che si prende cura di piccole creature nate così, quasi per moto spontaneo in un mondo pieno di erbacce, come gentili fiori tra le pietre. Sono creature «figlie del soffio e del vento eterno», le 12 tracce che formano un vero e proprio imprevedibile cammino, inserendosi in un panorama musicale italiano attestato, già da un bel po’, su un pop/rock quanto mai trito o su spinte di una musica indie “che vuol piacere a tutti i costi”. Certo, è indubbio che le influenze esistono sempre: la questione si riduce a come queste vengano elaborate e trasposte in una Creature2personale espressione artistica. Idea che LaStanzadiGreta riesce a concretizzare. E allora, incuriositi anche dall’assegnazione della Targa Tenco 2017 comeMiglior opera prima”, c’inoltriamo nell’ascolto alla volta di un viaggio – come la protagonista del film di Benh Zeitlin, “Re della terra selvaggia”, dal quale l’album prende, dichiaratamente, le mosse – verso mete sconosciute, forse spesso ricercate e, adesso, trovate.
Se l’attacco della title track è un impeto ritmico che potrebbe già delineare il proprio andamento, subito scalza tale impressione portandoci dentro sonorità e atmosfere delicate, di una ricercatezza timbrica che scopriremo essere il tratto distintivo dell’intero progetto. Marimba, didjeridoo, banjolino, glockenspiel, theremin – oltre alle “consuete” chitarre e tastiere – diventano i singoli ingredienti, le “voci/background” che sorreggono le parole disciolte in testi attentamente ricamati, tirati fuori da scatoloni accatastati nei sottoscala. Tra giornate «fotocopia del passato» costellate di ricordi, LaStanzadiGreta tenta di mettere in pratica quasi uno schema calcistico per far quadrare il cerchio della vita, legando in questo modo la realtà e la fantasia, unici elementi che permettono di invecchiare per non lasciare che il tempo passi così, verso un «povero niente». Perché, al contrario, c’è sempre qualcosa di cui si è fatti, una somma della conoscenza derivata dalla Storia che porta ai «margini precisi della bellezza», punto cardine al quale tende il rotoscopio dell’essere umano, un immergersi nel mondo partendo dall’immaginazione, coniugando “Amore e psiche” – brano, scritto da Paolo Enrico Archetti Maestri degli Yo Yo Mundi, dal respiro ampio acusticamente e con un andamento piacevolmente ripetitivo.
4-4-2”, “Lisa”, “Inviti”, “Deserto”, “Foglia d’autunno”, “Preludio e deserto” sono brani che disegnano quei momenti più “smaniosi” di giorni che si susseguono, miscelando sapori leggermente country, di ballate acustiche, con aromatizzazioni etniche di percussioni e grattugiate di ruvidi assalti di riff che sostengono con forza le lievi melodie di pensieri slacciati. E a questi fanno eco le atmosfere “astrali” dei semplici ed effimeri sogni di un’esplorazione spaziale, segnale intimo di un tutto con l’universo che si riflette nel senso cameristico di “Camarade Gagarine”, un dissolversi e abbandonarsi nel nero in un gioco contrappuntistico tra il violino (Giacomo Agazzini) e il violoncello (Claudia Ravetto); o le scoperte “profetiche” degli occhi da bambino di “Vita di Galileo” e di quanto, poi e alla fine, potrebbe essere tutto relativo; e ancora la terra di mezzo che diventa “habitat alternativo”, per apprezzare e, perché no, sopportare il “normale”, come quello raccontato in “Erri” – tratto da “Il giorno prima della felicità” di Erri De Luca – alternative rock testimone della vita che, semplicemente inconsapevole, accade ai confini della notte, «tasca rivoltata nella città».
Forse non è ascrivibile a nessun genere in particolare, questo “Creature selvagge” e, molto probabilmente, tutto il senso ultimo del proprio sentire creativo e umano LaStanzadiGreta l’ha riversato quasi a metà dell’album, in “La fatina delle frottole”, una musica-confetto – un tempo scandito dal passo di un contrabbasso (Andrea Cavalieri) come la voce del lupo di Cappuccetto Rosso – piccola miniatura di cristallo che rende giustizia a un modo “ingenuo, naturale e bambino” di concepire il gesto musicale: un album, in definitiva, dai contorni di una piccola, fragile e allo stesso tempo robusta, scatola di giochi destinata a riempirsi, sempre di più, d’importanti filastrocche.

Marco La Placa  29/10/2017

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