Il Teatro Parioli si arricchisce, con la rassegna Parioli Sounds, di sonorità inedite, con uno sguardo rivolto ad artisti italiani emergenti, come nella serata del 19 ottobre, che si apre con Persian Pelican, il progetto di Andrea Pulcini che aggrega cantautorato e sonorità di ampio respiro, che dal folk con suggestioni nordeuropee si immergono nei riferimenti sonori dei decenni passati, per un effetto coinvolgente e convincente.
Il palco poi è tutto per Lucio Corsi, reduce dalla pubblicazione del “Bestiario musicale” e per la prima volta dal vivo con una band. Il bestiario ha rappresentato per molti poeti, letterati e musicisti, la possibilità di cantare un’umanità variegata e i suoi più disparati tipi. In un universo fiabesco un po’ distorto, Corsi racconta il suo “Bestiario musicale”, popolato di creature animali umanizzate e con dna ormai inesorabilmente mutati a causa della vicinanza con gli uomini. Animali che, vivendo a contatto con i turisti curiosi o tra negozi e pizzerie, hanno perso la loro aura mistica, la loro saggezza o la loro forza. E che adesso, piuttosto imborghesiti, si accomodano sugli allori di un passato glorioso, in cui i loro antenati avevano poteri magici, ammantati di quel fascino così arcano.
Viene quasi da pensare allo stile narrativo di Dino Buzzati, all’immaginario de “Il segreto del Bosco Vecchio”, lieve eppure capace di raccontare benissimo la sofferenza, all’intersezione tra fantasia e poesia. Un progetto, questo di Lucio Corsi, che, portato dal vivo con la band, non ha nulla da far rimpiangere alla versione in studio ma, anzi, aggiunge una leggera spolverata di jam session, tra atmosfere swing e reminiscenze psichedeliche. I brani sono brevissimi, orecchiabili e facili da memorizzare, proprio come filastrocche per bambini, ma rese più speciali dalle introduzioni dello stesso Corsi, che si abbandona a un racconto flussuale. Ma non chiamiamolo storytelling. Quello di Lucio Corsi è il chiacchierare di un ammaliatore, un prestigiatore di parole e melodie dalla fantasia sfrenata e visionaria e con una presenza scenica incredibile, nonostante l’atteggiamento timido e dimesso.
Il concerto è diviso in due in modo netto: la prima parte è quella in cui il cantautore toscano esegue con la band l’intero “Bestiario”. Poi gli altri quattro musicisti vanno via per lasciare il palco al menestrello che, da solo, con la chitarra e la sua innata capacità di intrattenere il pubblico, collega il passato e il futuro della sua carriera alternando brani come “Le api”, “Soren”, “Blu”, “Le onde” e “Senza titolo”. Ritornano tutti in scena per il bis (uno vero!) in cui si raccontano di nuovo le gesta della lepre e di un lupo che è nemesi della scaramanzia umana.
Lo show di Corsi si fonda su una narrazione ribaltata: ci si immerge in un immaginario fatto di paradossi in cui gli istrici diventano come mazzi di rose legati per la coda, o ci si imbatte in lepri-astronaute, cinghiali che sono come enormi sassi che corrono senza sosta sulle colline maremmane, civette con due soli al posto degli occhi che accecano nella notte del bosco e volpi ingrassate a forza di gelati offerti dai bambini tedeschi. Un viaggio fluttuante nell’infanzia e nella fiducia che lo spettatore ripone in questa esperienza perché, in questa atmosfera atemporale e color pastello si avvera, più che mai, quel tacito accordo tra chi sta sul palco e chi siede in platea, del credere – senza muovere obiezioni – a tutto. Persino che ci sia un movimento punk nella foresta, capitanato da un’upupa pronipote di una zebra.
Letizia Dabramo 23/10/2017