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“I Called Him Morgan”: amore e morte a ritmo di jazz. Il documentario di Kasper Collin a Venezia 73

Molte leggende o presunte tali hanno narrato dell'affascinante connubio tra musica e maledizione: dal patto con il diavolo stipulato dal bluesman Robert Johnson per guadagnarsi il talento assoluto fino al “Club 27”, rocker come Kurt Cobain, Jimi Hendrix e Janis Joplin misteriosamente morti tutti alla stessa età. Anime maledette e artisti indimenticabili. Ma la vita e morte del trombettista Lee Morgan è storia vera e provata: quella che ci racconta il regista svedese Kasper Collin nel documentario "I Called Him Morgan" presentato fuori concorso il primo settembre alla 73esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia.
Punto di riferimento per gli amanti del jazz, Morgan muore a soli 33 anni per mano della moglie Helen. Sarà proprio la voce dell’assassina, registrata durante un’intervista, a tracciare tutte le tappe della loro controversa storia d'amore: dal primo incontro a casa di lei, ritrovo per importanti musicisti e artisti, all'uscita di Morgan dal baratro dell'eroina proprio grazie alla caparbietà di Helen. Fino al gesto estremo in una fredda notte del febbraio 1972 quando due tempeste si preparavano a scatenarsi: quella di neve su New York e quella dell'animo ferito di Helen che non sopportava che il "suo" Morgan le preferisse una donna più giovane. Due colpi di pistola al petto e la vita e la carriera di Lee Morgan vennero spezzate per sempre. A raccontare del suo talento e del lungo rapporto con la sua carnefice, ci sono anche le testimonianze di amici e colleghi che in lui riconoscevano il grande musicista, il ragazzo scanzonato e quello perso del periodo più nero. La voce dello stesso jazzista risuona nel film, intervistato nel suo periodo più bello, quello della rinascita che non lasciava di certo presagire una fine così tragica.
Il ritmo del documentario si rivela non sempre in accordo con quello della passione che Lee Morgan riusciva a comunicare e con quello trascinante del suo grande amore: il jazz. Un’opera senza infamia e senza lode che narra con dovizia di particolari non solo la storia personale di Morgan ma anche l'importanza del contributo dato al jazz, in un periodo di fermento culturale e di grande ispirazione. Lo Slug, famoso club newyorkese dove si esibiva, dando vita a dei concerti rimasti alla storia per gli estimatori del genere, sarà anche teatro della sua morte, qualche secondo prima di intonare le prime note di uno dei suoi successi: Angela.
Un lavoro durato sette anni per raccontare anche la caduta e la redenzione di una donna vittima di sé stessa, di un minuto di pura follia: la sua voce, una cantilena potente e a tratti lamentosa, è emblema della sua insopportabile “condanna a vita” rappresentata dal rimorso di aver cancellato l’esistenza dell’uomo che amava.

Caterina Sabato 01/09/2016

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