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The Neon Demon: il sanguinario elisir di bellezza di Nicolas Winding Refn

Che il mondo della moda sia unanimemente considerato superficiale e abitato da personaggi senza scrupoli morali non è di certo una novità; che giovani ragazze affascinate da questo ambiente, aspirino all’anoressia rincorrendo un malsano stereotipo e puntando alle passerelle di tutto il mondo è cosa ben nota. Il tutto condito da invidie, pressioni psicologiche e patinate apparenze. Molti film hanno trattato l’argomento, dai biopic su leggendari stilisti come Coco Chanel e Yves Saint Laurent, ai demenziali “Zoolander” e “Bruno” fino al cult “Il diavolo veste Prada” e al classico “Blow Up” di Antonioni. Di certo se un regista visionario e spesso criticato come Nicolas Winding Refn si dedica all’argomento è sicuro che la sua interpretazione sarà inedita o quantomeno controversa.
The Neon Demon”, undicesima fatica dell’autore danese, presentato in concorso all’ultima edizione del Festival di Cannes tra mille polemiche, vede come protagonista una candida (e convincente) Elle Fanning nei panni di Jesse, sedicenne Theneondemon4smarrita, sola al mondo, che arriva a Los Angeles in cerca di fortuna nel mondo della moda. La sua bellezza naturale colpisce subito tutti: l’affabile truccatrice (Jena Malone), la proprietaria di una delle maggiori agenzie per modelle della città (Christina Hendricks), il quotatissimo fotografo, le perfide colleghe.
Gli elementi cardine delle produzioni di Winding Refn ci sono tutti sin dall’inizio: le intermittenti luci al neon, ipnotizzanti e cornici di scene misteriose e affascinanti; il sangue, che gronda dal collo di Jesse stesa su un divano, con il viso ricoperto di lustrini, nella scena iniziale del film; l’inconfondibile colonna sonora elettronica di Cliff Martinez ormai, alla terza collaborazione con il regista, che sembra mescolare i Goblin di “Profondo Rosso” con la musica da passerella. E naturalmente la violenza insopportabile che arriva come un pugno in faccia ma si fa attendere a lungo. Infatti, a differenza dei precedenti lavori di Refn, che calavano lo spettatore sin dai primi frame nella percezione del dolore fisico, in “The Neon Demon” è la violenza psicologica a farla a lungo da padrona, quella che condanna l’innocente bellezza di Jesse a diventare superba e svuotata di ogni sua essenza. È l’ambiente “vampiresco” nel quale è entrata a far parte a succhiarle via tutto il suo candore. Le altre ragazze farebbero follie per essere autentiche come lei: senza modifiche artificiali, senza “plastica” alla quale fare la manutenzione come per le macchine. La colpa per la quale Jesse pagherà caro sta nel suo magnetico viso, nella pelle diafana, nelle onde inebrianti dei suoi capelli color oro.
Theneondemon3Troppa bellezza per rimanere intatta, per essere davvero innocente, pura. Questo incanto non fa che generare solo del male. Lo dice anche lo spregevole guardiano dello squallido motel in cui Jesse alloggia (interpretato da un quasi ignorato Keanu Reeves): lei è il demonio. “Tutta questa bellezza deve morire” cantava Nick Cave in Where the wild roses grow. E questo non è che il preludio a quello che si trasformerà in un horror cannibalesco, nel quale, modelle già “datate” per continuare a dominare indisturbate sulle nuove leve raccoglieranno l’eredità di quella che è stata una delle serial killer più spietate della storia, dalla quale il film prende spunto: la sadica contessa Elizabeth Báthory che, narra la leggenda, per rimanere giovane facesse il bagno nel sangue delle vergini che faceva morire tra le più atroci sofferenze.
Partendo da un tema così affascinante e inquietante il regista danese ci regala, come sempre, delle immagini di una potenza che a tratti stordisce ma che raccontano, più di quanto qualsiasi dialogo potrebbe fare, l’evolversi psicologico della protagonista. Come nella scena in cui Jesse viene “iniziata” nel mondo della moda: illuminata da un riverbero rosso, cambia decisamente sguardo, gode nel vedersi allo specchio e maliziosamente bacia la sua immagine come un Narciso in estasi. E come tale il suo destino sembra scritto.
Nel raggiungere i meandri della violenza, Winding Refn prende, forse, troppo la rincorsa e l’impatto con la follia perversa delle “vampire” si rivela così privo di adrenalina, persa lungo la narrazione. Sequenze scioccanti non ne mancano e nemmeno quella tendenza a rendere pura estetica anche l’immagine più disturbante: come dire che, comunque, Refn è rimasto fedele a sé stesso, sperimentando un nuovo modo di condurre la storia, coerente anche nella sua capacità di far discutere, spaccando in due pubblico e critica.

Caterina Sabato 07/06/2016

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