Questo sito utilizza cookie per migliorare la tua esperienza di navigazione e rispetta la tua privacy in ottemperanza al Regolamento UE 2016/679 (GDPR)

                                                                                                             

×

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 766

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 722

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 697

In occasione della nuova apertura dell’esposizione “Van Gogh. I Colori della vita”, una novità collaterale è stata pensata per il pubblico: una grande mostra di gruppo in cui otto pittori contemporanei, su indicazione di Marco Goldin, hanno lavorato su alcuni temi cari all’artista. “Attorno a Van Gogh. Otto pittori e i colori della vita” accompagnerà, al San Gaetano di Padova, la sontuosa monografica sul grande pittore, prevista fino al 6 giugno.
Ad essere esposte saranno i lavori dei rappresentanti della migliore pittura contemporanea in Italia, ciascuno con un nucleo di sette opere: Laura Barbarini, Franco Dugo, Attilio Forgioli, Matteo Massagrande, Cetty Previtera, Giuseppe Puglisi, Laura Villani e Piero Zuccaro.
Accanto a questi vanno ricordati Piero Vignozzi e Andrea Martinelli, a cui Goldin aveva affidato il potente “prologo” del progetto e che hanno accompagnato la prima parte della mostra su Van Gogh con le loro opere.
La particolarità della richiesta proposta dal curatore della mostra è stata una soltanto: non imitare Van Gogh, ma interpretare i temi, i luoghi, le emozioni che l’artista olandese ha suscitato con i suoi capolavori, aggiungendone un filtro emotivo personale.
Il risultato ottenuto è un’originale ricerca, legata dal fil rouge vangoghiano, distinta dalle differenti sensibilità artistiche degli interpreti, visioni diverse, temi e tagli assolutamente personali, dal figurativo all’astratto: così gli spazi del San Gaetano di Padova accompagnano le sale dell’esposizione su Van Gogh.
Un evento nato anche nel tentativo di mostrare come la pittura sia un linguaggio universale senza tempo, attraverso questo lungo viaggio dello spirito di una personalità geniale.
Gli artisti coinvolti nella mostra, afferma Goldin, “sono stati catturati dal restituire quel fiato di vento che hanno sentito scendere dalle montagne del destino o vibrare in mezzo ai campi di grano, magari sotto un cielo stellato. Hanno sentito che si può fare ancora pittura come dichiarazione d’esistenza e d’amore”.

Noemi Spasari  30/04/2021

Il nuovo film di Julian Schnabel non è una biografia su Van Gogh, bensì la ricostruzione dei suoi ultimi quattro anni di vita tra Arles e Parigi, che avviene tramite un processo di “accumulazione” di stralci di eventi realmente accaduti e tasselli reinventati, ripercorsi, alfine di raccontare l’uomo dietro al segno, e l’artista prima dell’opera. Non solo i quadri come riferimento ma anche le famose lettere, scambiate tra Vincent e suo fratello Theo, unico punto di riferimento. vangogh1 

L’interesse del regista, anche lui pittore e artista figurativo, non si concentra troppo sugli aspetti storico-critici ma prova ad evocare un risultato tridimensionale e materico dell’intento del pittore; nel ruolo di Van Gogh, Willem Dafoe, già vincitore della Coppa Volpi e ora in corsa per il premio Oscar, si mette alla prova esercitandosi in prima persona a dipingere (con esercizi suggeriti dal regista che gli consiglia di iniziare dagli oggetti per poi passare ai paesaggi) diventa qui il tramite per un senso più alto, che si muove appunto oltre il successo e l’interazione con l’altro (viene ad esempio rappresentata l’amicizia controversa con Paul Gauguin e i rapporti con gli abitanti di Arles), presentando la solitudine di un uomo al cospetto della natura travolgente, la sua corsa verso l’eternità della rappresentazione di un qualcosa che non si inventa, ma che solo grazie al suo dono è in grado di vivere per sempre.

La regia di Schnabel, autore che già in passato si è messo alla prova con vite celebri (basti pensare a Basquiat del 1996), realizza un racconto circolare e molto spesso apparentemente confuso, alcuni eventi si sovrappongono, altri battono duramente nella scansione di un finale preannunciato: grazie ad una regia dinamica e fluida, l’approccio del regista si connota in maniera specifica e il suo sguardo si realizza attraverso la pittura che si dispone sulla tela. Il pittore olandese viene ripreso durante le lunghe passeggiate per Arles, nella Francia del sud, e la natura gli suggerisce un impeto vitale irrinunciabile: deve dipingere, deve farlo in fretta, perché solo la realizzazione finale riesce a completarlo facendolo sentire parte di un tutto che non trova negli altri.

vangogh2L’assorbimento degli elementi circostanti è un’esigenza che lo porta spesso a stendersi e rotolarsi, a coprirsi il volto di terra, a cercare la luce divina e gialla. La follia dell’uomo è più una distorsione del senso delle cose, uno scollamento dal tangibile, che determinerà l’automutilazione e la scelta di ricoverarsi alla clinica di Saint-Rémy. Le riprese si fondono con la confusione delle sue percezioni: la visione è alterata, appiattita, appannata, come in un ricordo di cui si dimenticano i contorni. E le voci sovrapposte nella testa dell’artista emergono e rimbombano anche per lo spettatore, che non può fare a meno di sentirsi perso. Infine, nel 1890, la morte oscura, nebulosa, ancora non chiara, per mano di due ragazzi o suicida. (Nel libro del 2011 Vincent van Gogh. The life, scritto da Steven Naifeh e Gregory W. Smith, i due autori discutono circa una tesi diversa dal suicidio). Il successo di Vincent Van Gogh si manifesterà solo dopo la sua morte, e sarà indescrivibile.

Schnabel riesce a restituire l’essenza del bisogno rappresentativo che coglie Vincent Van Gogh portandolo ad una frenesia unica di realizzazione. La stessa che motiva ogni artista e che lo veicola come soggetto comunicante. L’eco della rappresentazione dell’atto creativo di Clouzot si fonde alla grande sensibilità estetica del pittore e regista newyorkese, nonché alla forza espressiva delle opere, ed è inevitabile essere travolti dalla sensazione di totalità.

Silvia Pezzopane - 28/1/2019

Le immagini sono prese dal sito ufficiale del film.

Geniale, incompreso, radicale, innovativo, unico. Van Gogh è sicuramente uno degli artisti più controversi e interessanti che abbia mai attraversato questo mondo e tanto è stato detto su di lui e sulla sua arte. Il documentario diretto da Giovanni Piscaglia e scritto da Matteo Moneta, “Van Gogh. Tra il grano e il cielo”, offre uno sguardo nuovo e parte dal lascito della più grande collezionista delle sue opere, Helene Kröller-Müller, per raccontare l’unione spirituale di due anime affini, dominate entrambe dal tormento e dall’inquietudine. I due non si incontrarono mai in vita ma condivisero la stessa tensione verso l’infinito e la ricerca forsennata di una dimensione religiosa pura. L’occasione per ripercorrere l’intensa parabola artistica di Van Gogh è la mostra curata dallo storico dell’arte Marco Goldin e allestita alla Basilica Palladiana di Vicenza, che raccoglie 40 dipinti e 85 disegni provenienti dal Kröller-Müller Museum di Otterlo, in Olanda. La delicata voce di Valeria Bruni Tedeschi accompagna l’intero racconto attraverso le tante lettere scritte da entrambi nella loro vita. Ripresa all’interno della chiesa di Auvers-sur-Oise, la stessa dipinta da Van Gogh qualche settimana prima di suicidarsi, l’attrice ci porta per mano lungo i principali periodi dell’attività del pittore. Dagli anni olandesi, dominati dai colori scuri, terrosi, che richiamano le scene di vita contadina così magnificamente ritratte, si passa al periodo parigino dove Van Gogh sperimenta soluzioni mai provate da nessuno. Scopre Seurat, conosce Signac ed è subito l’esplosione del colore.

Gli accostamenti cromatici della pittura a piccoli tocchi degli Impressionisti e ancor di più dei Post-Impressionisti viene portata ai massimi livelli espressivi, segnando lo stile unico che lo ha reso indimenticabile. Ma è solo sotto il sole di Arles, in Provenza, che il pittore si perde nella luce e nell’estasi della pittura en plein air. Sarà il periodo più felice di Van Gogh, che di lì a poco manifesterà le prime crisi che lo porteranno prima al ricovero e poi al suicidio. Al viaggio dentro la mostra, che dà un grande rilievo anche al disegno nella pratica artistica del pittore, si affianca quello in alcuni dei luoghi più importanti per la sua arte, oltre a una serie di riprese del Kröller-Müller Museum. Sfortunato in vita, Van Gogh poteva facilmente essere dimenticato insieme alle sue opere se non fosse stato per Helene Kröller-Müller che con la sua collezione è riuscita a restituirgli l’affetto e il riconoscimento che non aveva avuto in vita. Van Gogh è per lei un esempio da seguire, qualcuno in cui riconoscersi. Una delle donne più ricche d’Olanda, Helene Kröller-Müller dopo un viaggio in Italia, tra Milano, Roma e Firenze decide di fondare un museo per condividere con gli altri la serenità e il conforto che trae dall’arte. Convinta che l’arte si gusti meglio solo lontano dal tumulto della città, lo pone immerso nel suggestivo bosco di una vasta riserva naturale e, oltre alle opere di Van Gogh che occupano il cuore del museo, all’interno si trovano capolavori di Picasso, Seurat, Signac mentre all’esterno un grande parco della scultura accoglie lavori di Rodin, Moore, Fontana e molti altri. Distribuito da Nexo Digital, “Van Gogh. Tra il grano e il cielo” (al cinema solo il 9-10-11 aprile) ci avvicina quindi alla tormentata vita del pittore che forse più di ogni altro ha influenzato l’arte del XX secolo e lo fa narrandoci l’intreccio indissolubile di arte e vita che ha condiviso con la sua più grande ammiratrice.

Giorgia Sdei 31/03/2018

 

Giorgia Sdei

30/03/2018

Libro della settimana

Facebook

Formazione

Sentieri dell'arte

Digital COM