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Segreti di famiglia: una Bomba sott’acqua

In concorso a Cannes, Joachim Trier si è fatto notare con la sua terza opera filmica, che si confronta con tematiche dense e riflessive, con emozioni, ricordi e prospettive distorte, che nell’intreccio si allargano si snodano e riassumono le loro posizioni.
Il tempo è sospeso mentre Isabelle Reed (Isabelle Huppert) chiude gli occhi, ha capito che la morte è arrivata, che lo scontro è inevitabile. Che mentre le lamiere del paraurti si piegano, il parabrezza frantumandosi ha già cosparso l’aria delle sue schegge. La morte in questa frazione è stata dilatata dal regista in una lunga poesia.Huppert
Un incidente in auto stronca la vita della fotoreporter che, a tre anni dalla sua scomparsa, viene celebrata con una mostra a New York. Tra l’archivio si cercano scatti inediti e il marito (Gabriel Byrne) con i due figli (Jesse Eisenberg e Devin Druid) si confrontano con la vera donna che si è celata sempre dietro il mestiere di madre, moglie e fotografa. Costantemente presente e assente, il regista norvegese non racconta sicuramente i “Segreti di famiglia”, ma la storia di una donna che spezza un cerchio, i cui elementi perduti nella nostalgia non sanno più come stringersi di nuovo.
In una scrittura che costruisce bene il film e infrange la pesantezza del tema con scene che alleggeriscono e riportano ad una naturale verosimiglianza, si procede tra l’onirico e il reale in un’alternanza tra la narrazione quotidiana e la perdita - specialmente quella del figlio adolescente Conrad - dentro il tormento e la densità di un dolore che non prende aria e resta immerso in una nostalgia ossessiva, rappresentata con immensa poesia.
“Segreti di famiglia” esula del tutto dalla vera storia che si cela dietro un titolo destrutturato e manomesso dalla distribuzione italiana. “Louder Than Bombs” in realtà racconta tutto nella densità di poche parole. La freddezza e poi il calore con cui attraversa i temi della morte e della perdita riflettono bene le prese di posizione le distanze, i personaggi. Ogni parola, ogni gesto e ogni silenzio è calcolato verso la strutturazione di un personaggio coerente, che Trier ha saputo disegnare con la finezza e col talento con cui uno sceneggiatore/regista riesce a catturare la curiosità dello spettatore. In un’inedita e poetica violenza scaturisce quel cupo dolore che attanaglia chi “subisce” la morte e la distorta consapevolezza della gioia di vivere che alla fine schiarisce le nubi, riaffiora dalla superficie e prende finalmente aria tornando alla vita.

Nelle sale dal 16 giugno 2016.

Emanuela Platania 01/06/0216

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