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Premio Giulio Questi: alla Casa del Cinema la prima edizione per cortometraggi digitali

Partigiano, pittore, scrittore e regista. Attore per caso ne “La dolce vita” (1959) di Federico Fellini, e amico personale di Michelangelo Antonioni. Collaboratore della rivista politica “Il Politecnico” di Elio Vittorini, e aiuto regista di Francesco Rosi e Valerio Zurlini. Sono, questi, solo alcuni degli innumerevoli volti di Giulio Questi, uomo dal talento poliedrico e versatile, nonché uno dei più originali artisti del nostro cinema. Partito come documentarista e autore di racconti, negli anni Sessanta Questi è passato poi al cinema dirigendo ben sette lungometraggi, tra cui il western di culto “Se sei vivo spara” (1967) e “La morte ha fatto l’uovo” (1968), entrambi valenti dell’impeccabile montaggio di Franco Arcalli, in arte Kim. Tra i due artisti, infatti, si formò non soltanto una proficua collaborazione ma anche una profonda amicizia, tanto da essere poi soprannominati da Enrico Ghezzi la coppia “Jules e Kim”, in onore del famoso film di François Truffault. Nella sua vita, insomma, Questi non si è fatto mancare nulla, compreso episodi fuori dall’ordinario come l’aver tirato coca nel bagno di Richard Burton, dormito nel letto della Loren a Central Park o l’aver trascorso alcuni giorni con Gabriel Garcia Marquez nell’isola di Baru.
E ora, a due anni dalla sua scomparsa (avvenuta nel 2014 all’età di novant’anni), la moglie Diana Donatelli ha voluto ricordarlo e rendergli omaggio istituendo presso la Casa del Cinema della capitale la prima edizione del “Premio Giulio Questi”, concorso dedicato ai cortometraggi di autori provenienti da tutto il mondo e di età inferiore ai ventisette anni. Un vero e proprio evento di levatura internazionale pensato appunto per promuovere e sostenere le opere di questi giovani videomaker,questi interamente realizzate in digitale, ovvero sia con videocamere professionali che con cellulari e smartphone.
Quello del cortometraggio era infatti un linguaggio che lo stesso Questi apprezzava e conosceva benissimo, tanto da arrivare a scriverli e realizzarli autonomamente, con la propria telecamera e in totale solitudine. Produzioni, queste, frutto di quel solipsismo a lungo vagheggiato e completamente fuori dagli schemi, nonché articolate nella tematica del doppio e della multi-personalità, come testimoniato da “Ingorgo diacronico”, uno dei suoi ultimi lavori. Per lui, infatti, il cortometraggio non era altro che un racconto, scritto però “non attraverso l’inchiostro ma tramite le luci e le ombre della telecamera”; uno strumento, cioè, che era esso stesso il messaggio del suo pensiero.
La serata del 15 giugno ha visto dunque la proiezione dei cinque corti finalisti, selezionati a partire da più di cento. Ha aperto il ciclo di presentazione, “L’ultimo dolce di Carlo Cantuccio” dell’austriaco Alexander Peskador che racconta di un incubo surreale e buffo su quelle paure insite in ognuno di noi, qui impersonificate da una gigantesca torta che si nutre del proprio festeggiato. A seguire è stata poi la volta dell’italiano “Crossroads” di Marco Napoli, un raffinato melodramma sulle nostalgie di incontri non vissuti e di attimi persi, e di “Bosque muerto” della venezuelana Lorena Colmenares che narra invece di un uomo che cerca di nascondere le prove del crimine commesso in una foresta che custodisce però un segreto spaventoso. Quarto cortometraggio è stato invece quello iraniano delle ventitreenne Mona Moradi, “Breath”, sulla guerra e sulle visioni oniriche di un bambino che sta per nascere nell’illusione di un mondo migliore. A chiudere la cinquina è stato poi “Mamie, qu’est-ce que tu fais la?!”, del duo francese Pierrick Chopin e Corentin Romagny, una satira pungente e grottesca sul mondo dei reality televisivi e del loro potere alienante.
La giuria, composta da Stefano Consiglio, Alberto Mucciaccia, Silvia Napolitano, Francesco Cordio e presieduta da Enrico Ghezzi, ha dovuto pertanto scegliere tra queste cinque coraggiose e sperimentative opere decretando alla fine un solo vincitore. E così, all’insegna di quest’audacia e di tanto talento, il premio, dal valore di 3.000 euro, è stato poi assegnato a “Bosque muerto”, premiato appunto per la sua capacità di raccontare con ironia nera e graffiante la realtà sudamericana del femminicidio a opera dei narcotrafficanti. Secondo i giudici, infatti, si è trattato di “uno straordinario lavoro di montaggio e di fotografia, nonché una storia di enorme suspense visiva ed emotiva. Un corto che, ne siamo sicuri, sarebbe piaciuto moltissimo a Giulio”.

Camilla Giantomasso 16/06/2016

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