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La tragedia di un’infanzia infranta e la voglia di riscatto de “La Sposa Bambina”

Ogni anno più di settantamila bambini sono costretti a subire abusi sessuali, violenze fisiche e maltrattamenti psicologici di ogni tipo in diverse parti del mondo. Nelle aree più rurali dello Yemen e in altri paesi islamici la mostruosa pratica dei matrimoni infantili è estremamente diffusa perché nello stato della penisola araba questa usanza arcaica e barbarica non è considerata illegale.
Nojoom è una giovanissima yemenita di dieci anni costretta dalla sua famiglia a sposare un uomo più grande di lei di vent’anni ed è anche la protagonista de “La Sposa Bambina”, un film-denuncia proiettato in anteprima al Teatro Palladium di Roma l’8 marzo. Nel giorno della festa della donna la coraggiosa battaglia di questa piccola innocente per ottenere il divorzio diventa la lotta-simbolo del popolo femminile del suo paese, contro la violazione dei diritti umani.
Il film vincitore del Premio “Best Fiction” al Dubai Film Festival è basato su una storia vera ed è tratto dal libro “I am Nojood, age 10 and divorced”, scritto da Nojoud Ali, la più giovane donna divorziata al mondo, assieme alla giornalista franco-iraniana Delphine Minoui. La pellicola è doppiamente autobiografica perché ripercorre anche il vissuto della regista del film, Khadija Al Salami, la prima cineasta e produttrice cinematografica donna dello Yemen. Come Nojoud anche Khadija è stata vittima di un matrimonio precoce, data in sposa a soli otto anni. La donna ha provato a chiedere aiuto a sua nonna, la quale però è stata irremovibile: “il destino di una donna è sposarsi, oppure finire sottoterra”.
Anche la madre di Nojoom spiega a sua figlia che non deve opporsi alla decisione del padre, fautore di un atto legato a un’assurda tradizione, figlia della povertà e dell’ignoranza di una famiglia che vive tra le piantagioni di caffè situate sui monti dello Yemen, immortalate nella pellicola da una splendida fotografia che vuole mettere in evidenza la distanza della protagonista dal quel mondo remoto e quasi inaccessibile in cui è nata e che non le appartiene minimamente.
Nojoom (stella in arabo) viene “nascosta” (Nojood) dal padre, spaventato dall’idea che qualcuno possa stuprarla prima del matrimonio e gettare così il disonore sull’intera famiglia. Ed è proprio la paura che spinge l’uomo a darla in sposa così giovane e ancora vergine in cambio di una cospicua dote, quando i suoi unici interessi dovrebbero essere la scuola e le bambole. Nel giorno del suo matrimonio la bambina decide infatti di allontanarsi dalla casa fatiscente della città in cui la sua famiglia si è trasferita, per andare a giocare in strada con delle coetanee che non indossano i vestiti tradizionali. Ma quel momento di libertà è solo temporaneo, simboleggiato da un velo bianco sfilato al rallenty dall’addome della giovane per potersi divertire con le altre ragazzine, metafora di una costrizione millenaria e di un possibile futuro parto prematuro, prima causa di morte delle spose bambine.
Ma Nojoom ha la forza e il coraggio di ribellarsi alle violenze e ai maltrattamenti di un marito che non ama assolutamente la sua sposa, ma che anzi la picchia e la umilia, trattandola come una schiava pronta a “rimpiazzare” la madre dell’uomo, ormai vecchia, stanca e incapace di svolgere le faccende domestiche. La suocera asseconda il figlio in ogni decisione perché lo sposo ha pagato una grande somma di denaro per averla e perciò la bambina deve rispettare per contratto tutti i doveri coniugali, tra cui quello di concedersi contro la sua volontà durante la prima notte di nozze.
Lo spettatore non può non provare una profonda empatia nei confronti di un dramma che trattando questioni spinose e argomenti molto delicati, trasuda libertà e desiderio di giustizia da tutti i pori. La regista evita qualsiasi sensazionalismo preferendo una messa in scena estremamente autentica e quasi documentarista degli eventi che ruotano attorno a Nojoom, una piccola e innocente stella del firmamento, la quale trova riparo e conforto tra le mura della casa del giudice che ha preso a cuore il suo complicato caso.
Nell’aula di un tribunale il giovane magistrato che ha deciso di aiutare quella bambina che lo ha guardato negli occhi chiedendogli di ottenere il divorzio, ora chiede a tutti noi di agire sempre secondo coscienza, nella speranza che un giorno i matrimoni infantili vengano finalmente dichiarati illegali, reclamando il diritto alla vita ed esortando al rinnovamento culturale, morale e civile di un paese ancora estremamente arretrato.

Andrea El Sabi 13/03/2016

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