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Il museo dell’innocenza di Orhan Pamuk: quando la realtà emula l’arte

L’appuntamento è di quelli da non perdere. Non v’è dubbio. Non è semplicemente un film, non è la consueta storia della letteratura che dà man forte al cinema, non è l’ennesima occasione per affermare ancora e semplicisticamente che un libro è meglio di un film: “Istanbul e il museo dell’innocenza di Orhan Pamuk” di Grant Gee è l’essenza della commistione, della mancanza di confine, del rapporto osmotico e imprescindibile che c’è tra arte e vita. Sembrerebbe una frase fatta, abusata, uno di quegli slogan adottati dai sani portatori di luoghi comuni. Eppure in questo caso c’è qualcosa di più, qualcosa che dimostra quanto non sia solo la vita a essere fonte d’ispirazione per l’arte, quanto il rapporto di scambio funzioni anche nel verso opposto.istanbul2
Istanbul è una città dalla storia immensa, è una e trina, un posto che probabilmente solo Roma riesce ad eguagliare in bellezza e ricchezza artistica. Istanbul era Costantinopoli, Costantinopoli era Bisanzio. Tre imperi, tre religioni, un’infinità di culture di cui quella terra spaccata in due dal Bosforo è stata e continua a essere culla. Letterati e compositori, cantanti e poeti, pittori e disegnatori: ogni genere d’artista ha subito il fascino di questo centro incantato, di quest’agglomerato urbano infinito, che ha fagocitato nel corso dei millenni sempre più territori. Una città che ancora oggi è in bilico tra l’Oriente e l’Occidente, che gioca la sua esistenza sull’incerto equilibrio della sua multietnicità, che lotta per entrare nell’Unione Europea e che poi ne disattende sistematicamente le richieste. Istanbul è tutto questo. Ma non solo.
Grant Gee ha deciso di portare sullo schermo cinematografico non l’Istanbul dei monumenti e del Corno d’Oro, non quella del Gran Bazar o di piazza Taxim, non quella dei quartieri asiatici, greci, cristiani, ortodossi ma una storia, un percorso di vita singolo e particolare, un itinerario che si svolge tra le strade ampie e illuminate della Istanbul bene – quella dei quartieri europei, di Nişantaşi e dell’hotel Hilton – e i vicoli maleodoranti e ricchi di vita di Cucurcuma. La storia di un amore duraturo ma non a lieto fine, l’intreccio di un romanzo che ha cambiato materialmente Istanbul. Tra i musei e le moschee, tra il mercato delle spezie e la Moschea di Solimano, tra la torre di Galata e quella di Leandro, tra un’infinità di case e palazzi c’è un museo nato da un romanzo, Il museo dell’innocenza, inaugurato dallo stesso scrittore turco e premio Nobel turco, Orhan Pamuk, dopo la pubblicazione del romanzo, un museo il cui biglietto d’ingresso è stampato all’interno delle pagine finali del libro, tra le righe che ci raccontano le ultime battute della storia; un museo che arricchisce ancor di più le strade di questa città dichiarata patrimonio dell’umanità, un museo che altro non è che una ricostruzione spaziale di un referente artistico.
Una riproduzione reale di un’idea letteraria, una conseguenza tangibile dell’influenza dell’arte sulla vita, una testimonianza della bellezza e della ricchezza della contaminazione.
Il documentario di Grant Gee (in sala solo il 7 e l’8 giugno) racconta tutto questo, e molto altro, in una specie di eterno ritorno in cui dall’arte si passa al reale e dal reale, di nuovo e magicamente, all’arte.

Anastasia Griffini 07/06/2016

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