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Cinque Tequila… per favore! Il nuovo film di Jack Zagha Kababie

Emiliano, Augustin, Benito e Pedro sono amici da una vita. Sono quattro simpatici vecchietti messicani, le cui vite non hanno mai avuto nulla di particolarmente speciale o esaltante, anzi, spesso sono state e continuano ad essere attraversate dalla delusione, l’anonimato e dalla sconfitta. Pedro, il più carismatico del gruppo, annuncia di essere vicino alla morte e chiede ai tre compagni di esaudire il suo ultimo desiderio: portare un tovagliolo al museo di José Alfredo Jiménez, il più famoso compositore di musica ranchera messicana di sempre. Il tovagliolo non è un tovagliolo qualsiasi, vi è infatti scritta la prima versione di un grande successo di Jiménez con una dedica personale a Pedro, che aveva incontrato il grande musicista molti anni prima. Dopo la morte dell’amico, Emiliano, Augustin e Benito decidono di tener fede alla promessa fatta, cominciando un viaggio pieno di sorprese ed imprevisti.

I tre sono molti diversi tra di loro: Emiliano (José Carlo Ruiz) è afflitto dall’artrosi, ha una moglie resa ogni giorno più confusa dall’Alzheimer e ha perso una figlia a causa della droga, il che lo ha reso insicuro e cinico. Augustin (Luis Bayardo) è un uomo molto rigido, ansioso, ipocondriaco, pieno di paure e messo in disparte da un figlio irriconoscente che decide di mandarlo in una casa di riposo per compiacere una moglie egoista ed ignorante. Benito (Eduardo Manzano) è vedovo da poco e anche lui è stato abbandonato dai figli, ma non dal fantasma della moglie, con cui continua una sorta di vita coniugale che lo fa sembrare ad un tempo pazzo e realista. L’improbabile trio decide di mettersi in viaggio, senza avere la minima familiarità con mezzi di trasporto, costi, pericoli e difficoltà da incontrare per un viaggio che dovrebbe portarli alla piccola città Guanajuato, per rendere omaggio all’amico scomparso e al grande Jiménez.

Il regista Jack Zagha Kababie (che fino ad ora si era cimentato in cortometraggi e nella produzione) confeziona un racconto che si muove su due dimensioni emotive parallele: la tristezza e l’ironia. Il suo film parla (e molto bene) della tragedia della terza età, quando si è circondati da indifferenza, solitudine, da un progressivo decadimento non solo del corpo ma anche della propria vita sociale e affettiva. Kababie indica l’ancora di salvezza nella forza interiore, nella capacità di combattere il vuoto che si ha attorno ridendo della vita, affrontandola giorno per giorno, senza aspettarsi nulla ma non per questo lasciandosi andare ad un fatalismo che storicamente affligge la società messicana da sempre, e di cui la discografia di Jiménez è stata uno degli esempi più esemplificativi.

“En el último trago” (tradotto in Italia con Cinque Tequila) mischia sovente la dimensione del sogno, del soprannaturale, della fiaba, con la realtà. Ma è un’unione sterile, senza vita, senza mordente e per di più confusa, che non dona allo spettatore nulla di nuovo o di stimolante, riuscendo solo a deprimerlo dal primo minuto all’ultimo. Indeciso tra racconto realistico o fiaba, il film di Kababie si muove incerto su una terra di nessuno, non è né un vero road movie, né una disamina su una condizione, quella della vecchiaia, dove l’esperienza è un tesoro da donare agli altri, per aiutarli a superare gli ostacoli del complicato cammino dell’esistenza. Da questo punto di vista, un confronto con quel sublime capolavoro che fu “The Straight Story” di David Lynch appare impietoso.

Il film fallisce anche sul piano fantastico-onirico, non creando una reale dimensione narrativa che elogi la fantasia, la creatività della mente umana, la libertà che nasce dall’immaginare una realtà alternativa che invece di essere sublimata, il film di Kababie sembra quasi condannare. D’accordo, fare paragoni con “Remember” o “Le Huitième Jour” può essere ingeneroso, ma le premesse portavano a sperare in qualche cosa di più.

I dialoghi sono deboli, così come i personaggi che alla lunga risultano ridicoli più che comici, il tutto senza dare un solo momento di credibilità al racconto, con i presunti colpi di scena che sono più telefonati di quelli dei film horror americani. Alla fine le cinque tequila serviranno agli spettatori, più che ai protagonisti del film, per riprendersi da un’esperienza cinematografica deprimente e grigia.

 

 

Giulio Zoppello 18/06/2016

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