Questo sito utilizza cookie per migliorare la tua esperienza di navigazione e rispetta la tua privacy in ottemperanza al Regolamento UE 2016/679 (GDPR)

                                                                                                             

×

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 617

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 620

Spellbound a Villa Pamphilij, la danza continua anche quando la musica finisce

Mauro Astolfi coreografa pure il silenzio. Questo il tratto di maggior originalità osservato ieri sera in occasione della “Serata Spellbound”, che ha chiuso la parte estiva degli appuntamenti di “Invito alla danza”, il festival che dal 16 luglio scorso ha animato le serate di Villa Pamphilj. Con la sua compagnia, lo Spellbound contemporary ballet, il coreografo romano, tra i più apprezzati della sua generazione, ha proposto una tripartizione di balletti a cui hanno assistito in molti, nell'arena della villa di Monteverde. Lo spettacolo è partito con il passo a due “Small crime”, sul rapporto spesso conflittuale in una coppia, prosegue sul filo delle relazioni con “She is on the ground”, performance collettiva della compagnia che schernisce i tentativi a volte maldestri degli uomini alla conquista di una donna e infine la prima italiana della seconda parte dello spettacolo “Dare” dove alla coreografia si associa anche una scenografia composta e ricomposta dagli stessi performer.

Molto più movimentato e fluido il primo pezzo, come da drammaturgia della serata più lungo e corposo il secondo, con un performer che scende in platea e gioca col pubblico, di maggiore impatto visivo il terzo, tra una serie di pilastri di cartone che creano infinite combinazioni tra e coi corpi.

C'è, nella poetica di Astolfi, un flusso di ricerca continuo che va dalla Conctact improvisation di Steve Paxton ai “quadri” astratti di Sasha Waltz, passando per i movimenti fusion di Sidi Larbi Cherckaoui. La sua formazione tra gli Stati uniti e l'Europa è evidente ad ogni passo dei suoi danzatori (undici e tutti molto bravi).

Il corpo è sfruttato in ogni suo angolo e possibilità: corpi che si avvitano, si agganciano, fluiscono, si muovono come insetti, strisciano e si contorcono, sanno ironizzare sulle proprie azioni-reazioni. Nei primi due pezzi sembra un po' stereotipato il linguaggio (le donne da conquistare, spesso a terra con il maschio che si sdraia sopra, il “ti acchiappo-mi sfuggi”), che a volte rimanda a uno stile narrativo da sit-com televisive.

Il tratto più originale invece, come dicevamo, è la danza che continua anche senza la musica, con i ballerini che seguitano la performance nel silenzio assoluto, scandito solo dai loro tonfi e dai loro respiri affannati. Sembrerebbe la rottura di una nuova frontiera e probabilmente lo sarebbe se non fosse che invece il punto dolente dell'intero spettacolo è proprio la scelta della musica, a volte classica a volte futurista, quasi a echeggiare paesaggi “lunari”, che però rischia di appesantire il ritmo serrato delle coreografie, dilatando la distanza tra ciò che vediamo da ciò che ascoltiamo. Un effetto voluto?

Rosamaria Aquino 4 agosto

“Il cinema oggi fornisce più possibilità degli anni precedenti”: intervista al grande produttore Prashant Shah

Il cinema è la settima arte ma anche una grande industria che riserva un immenso potenziale anche in un periodo di crisi. C’è chi ci crede fermamente e con il proprio impegno incrementa la potente macchina del cinema. Come Prashant Shah, fondatore della BHP-Bollywood Hollywood Production. In occasione del suo arrivo in Italia e della sua partecipazione all’Ariano International Film Festival lo abbiamo intervistato.

Che cos’è per lei il cinema?
“Il cinema non è solo un business, ma soprattutto uno strumento per esprimere le emozioni. Permette di ballare, cantare, creare situazioni più violente o più piacevoli; quindi perché mai recarsi in un ufficio per lavorare? Senza dubbio è molto più bello entrare a far parte di questo mondo.

Il pubblico italiano ha accolto con grande successo i film Bollywoodiani, grazie anche a numerosi festival come il “River to River. Florence Indian Film Festival” e il “Salento Film Festival”. Le piacerebbe produrre un film italiano e lavorare in Italia?
“Fino ad ora non mi sono mai dedicato a un progetto in Italia. Questo è il mio sogno, vorrei poterlo fare, diversi produttori ancora non lo hanno fatto. Io vorrei essere tra i pionieri, anche perché in Italia il cinema ha un suo splendore, ha una sua storia, l’Italia è quasi la patria del cinema, ecco perché vorrei poterlo fare al più presto. Amo i registi italiani come Sergio Leone ma anche tantissimi altri. Quando ho prodotto un film tra Londra e l’America, uno dei miei operatori era italiano. Voglio raccontarti un aneddoto che lo riguarda, un particolare che ho scoperto solo dopo aver terminato il nostro lavoro. A causa di un cancro, lui vedeva da un solo occhio e allora gli chiesi come facesse a lavorare usando un solo occhio. Mi rispose che aveva bisogno di un solo occhio per il suo lavoro. Da questo episodio ho dedotto quanto le persone italiane, che si dedicano al cinema, sono eccezionali e vorrei poter continuare a conoscerle. Non dobbiamo dimenticare che l’Italia è la patria dell’arte, la culla dei creatori e degli artisti.”

La storia del cinema indiano comincia quasi contemporaneamente con quella del cinema europeo. L’industria cinematografica indiana ha creduto moltissimo nel cinema e grazie a una convergenza di forze è diventato un importante sistema industriale. Lei che ha ricevuto il premio Ernst & Young come “Imprenditore dell’Anno” cosa pensa del diverso esito e della crisi dell’industria cinematografica italiana?
“La causa principale della crisi è la pirateria. I registi ci mettono l’anima ma non bisogna tralasciare l’aspetto economico. Subito dopo l’uscita del film nelle sale è possibile trovarlo on line, provocando una perdita di valore e di denaro. Un altro aspetto importante sono gli incentivi del governo. Una grande risorsa potrebbe essere la promozione del turismo in Italia attraverso i film e le storie ambientate nelle location italiane. Non c’è una vera e propria crisi nel cinema, ci sono più opportunità adesso che prima. Quando è nato il cinema era l’antagonista del teatro. Adesso c’è questa nuova forma di comunicazione virtuale, che comunque crea opportunità e non va sottovalutata, ogni volta che c’è una crisi in realtà, c’è anche una grande opportunità.”

Il protagonista del film “My name is Khan”, che lei ha prodotto, ha un grande desiderio: parlare con il Presidente. Qual è il suo grande desiderio?
“Il mio desiderio è lavorare con Martin Scorsese.”

Quali sono gli elementi di una sceneggiatura o di un progetto che la convincono che sia la storia giusta da sostenere e produrre?
“Gli elementi che rendono un progetto ottimo sono vari e che confluendo in un unico progetto lo rendendo perfetto. Posso dire che un film è pronto quando, paragonandolo metaforicamente a un bambino che giunge a essere un uomo, c’è la giusta congiunzione di diversi elementi. Indipendentemente dalla formula è l’aspetto romantico su cui bisogna lavorare, in uno degli ultimi film che ho prodotto, il protagonista era innamorato della donna che l’ha ucciso.”

Che cosa pensa del successo delle serie televisive americane?
“Sicuramente sto pensando a un progetto del genere da realizzare in Italia.”

Gerarda Pinto 02/08/2015

Intervista a Sergio Assisi: regista di "A Napoli non piove mai"

In occasione dell’Ariano International Film Festival l’attore Sergio Assisi ha presentato il suo primo lavoro da regista e produttore “A Napoli non piove mai”, una commedia, che come lui stesso ha sottolineato, è un omaggio ai grandi volti e simboli di Napoli, da Eduardo De Filippo a Massimo Troisi. Sergio Assisi, nei panni di Barnaba, soffre della sindrome di Peter Pan mentre l’intelligente Sonia, interpretata da Valentina Corti, è una storica dell’arte che soffre della sindrome di Stendhal. La positività e l’ottimismo che permeano la città dove non piove mai, dopo lo scontro tra le due differenti personalità, riusciranno in qualche modo a riportare il sereno nelle loro vite. Noi di Recensito lo abbiamo incontrato e ci siamo fatti raccontare la sua esperienza e il suo rapporto con la sua città natale. 

Come è nata l’idea di realizzare questo film?
“Di solito nel primo film c’è sempre tanta autobiografia, tanti aneddoti raccolti nel tempo, un’idea maturata da quando avevo dodici anni, ho impiegato venticinque anni per farlo, ma non è importante il quando, ma il come. Le riprese sono cominciate un anno fa, nel mese di luglio, un periodo che stranamente è stato piovoso, tanto che molti mi hanno consigliato di modificare il titolo (ndr. dice scherzando); e come se non bastasse i lavori sono stati sospesi dopo venti giorni a causa di un mio incidente alla gamba. Ma con grande forza ho cercato di continuare il mio lavoro.”

Perché “A Napoli non piove mai”?
“Perché è il cuore del Sud, anche quando piove, anche quando le cose vanno male, alla fine, si cerca sempre di credere che possano migliorare. Non mi piace ironizzare in maniera gratuita sulla mia città, ci sono numerosi problemi e disservizi ma bisogna ricordare che custodiamo uno spirito che ci ha resi famosi in tutto il mondo, abbiamo forza e coraggio, non ci arrendiamo anche di fronte ai pochi mezzi che abbiamo.”

Ci sono altri progetti o sceneggiature nel cassetto?
“Già sto lavorando al secondo film, con la speranza che "A Napoli non piove mai abbia un buon riscontro di pubblico, in modo da partire subito con il prossimo perché adoro le commedie. Avrà una diversa ambientazione, tra l’Italia e un Paese estero che non posso dire.”

Il film sarà distribuito nelle sale il primo ottobre 2015 e Sergio Assisi si è avvalso della collaborazione con il musicista Louis Siciliani per una colonna sonora del tutto inedita.

Gerarda Pinto 01/08/2015

Libro della settimana

Facebook

Formazione

Sentieri dell'arte

Digital COM