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Al Romaeuropa Festival “Le mouvement de l’air” non sposta una foglia

Dopo lo spettacolo del 2013 “Hakanai”, Adrien Mondot (metà scienziato e metà giocoliere) e Claire Bardainne, (grafica esperta di scenografia digitale) meglio conosciuti come collettivo Adrien M/Claire B, tornano al Romaeuropa Festival con “Le mouvement de l’air”.
Una scenografia digitale di immagini proiettate e fasci di luce sulle tre pareti di un parallelepipedo aperto costituiscono il terreno virtuale su cui Rémy Boissy, Farid-Ayelem Rahmouni, Maёlle Reymond, realizzano le loro danze.
Un’ora e un quarto in cui la lotta tra reale e immaginario viene raccontata attraverso lampi luminosi, inseguimenti, contrasti con un intangibile attrito, rumori di tempesta e musica dal vivo, in un’atmosfera, a tratti, dal sapore “capoeireño”.
Ora dervishi rotanti ora anima che si stacca dal corpo, i movimenti dei tre performer spesso anticipano senza interagire veramente con l’ambiente; i gesti non stupiscono né affascinano e il gioco, costruito all'interno di un sofisticato dispositivo digitale, risulta così fine a se stesso.
La coreografia di Yan Raballand, con la collaborazione di Guillaume Bertrand, non racconta, non trascina, non trasporta e forse, nella rappresentazione del sempre verde rapporto uomo-donna, risulta didascalica e poco sorprendente.
Mentre la musica dal vivo celebra una tanto agognata “libertè” a cui, a questo punto, tutti noi aspiriamo, anche il disegno luci di David Debrinay sembra svelare il trucco accostando le ombre alla proiezione digitale e rovinando la magia.
Anche se i performer imbracati sembrano volare, lo spettacolo non decolla. Il tentativo di librarsi fallisce.
Si resta, ancora più pesanti, inchiodati alla sedia senza mai aver provato l’inebriante sensazione di restare "con i piedi ben piantati sulle nuvole".
Credits dello spettacolo: http://romaeuropa.net/festival-2015/le-mouvement-de-l-air/

Miriam Larocca 25/10/2015

"In girum imus nocte et consumimur igni": l’universo parallelo disegnato da Roberto Castello

Dark - Light: le uniche parole udibili per l’intera durata dello spettacolo, dettano lo status interiore ed esteriore di una scattosa, tormentata e frenetica danza.
La musica batte un ritmo ipnotico in quattro quarti, per più di un’ora i sei danzatori vestiti di nero, si spostano in quadri di luce tra movimenti accelerati e stasi inquietanti.
Di luce e buio è fatta l’esistenza di questi strani zombie che continuano a vivere lo spazio incessantemente, cercando forse un senso dell’esistere e proseguendo, in automatico, un percorso tracciato dal chiarore in porzioni di scena.
Guidati da Roberto Castello, gli interpreti Elisa Capecchi, Alice Giuliani, Mariano Nieddu, Giselda Ranieri, Ilenia Romano e Irene Russolillo, sembrano mossi e tirati da invisibili fili a varie velocità e differenti intensità, in una trance percettiva che deforma i tratti e rende visibile l’affanno e la fatica.
Un lavoro fisico estenuante.
A volte sembrano narrare delle brevi storie in bilico tra l’ironico e il macabro: litigi, sostegni, improbabili feste con trenini e balli di gruppo dove, non appena qualcuno prova a staccarsi dalla massa, viene immediatamente raggiunto, superato e persino fagocitato.
Anche se a un tratto, la voce fuori campo aggiunge: "the end is near", sembra che il fuoco non si spenga ma continui ad ardere incessante, sul placo e in platea.
"In girum imus nocte et consumimur igni", "Andiamo in giro la notte e siamo consumati dal fuoco", enigmatico palindromo latino dalle origini incerte, è il recente e magnetico lavoro della fucina lucchese Aldes che apre la stagione danza del Teatro Vascello.
Un'esperienza immersiva che trascina per un'ora in un universo parallelo.

Credits: http://www.teatrovascello.it/2015_2016/schede/in_girum.htm

Miriam Larocca 21/10/2015

Akram Khan Company in "Kaash" al Romaeuropa Festival 2015

"Dance first, think later. It's the natural order" scrisse Samuel Beckett nel suo "Aspettando Godot": che Akram Khan fosse lì a spiargli gli appunti?
In lingua hindi "kaash" significa "se" e forse per Khan, di fronte a ogni quesito possibile o dubbio amletico, la risposta è sempre e comunque la danza.
Nella sua coreografia datata 2002 e oggi riproposta al Romaeuropa Festival, si sondano i buchi neri della fisica, si scarnifica l'essenza del dio Shiva: la violenza cosmica, la natura meditativa, il ciclo eterno di creazione e distruzione.
Con scene del visual artist Anish Kapoor e musiche del compositore Nitin Sawhney, entrambi artisti di origini orientali, ma attivi in occidente, "Kaash" è la danza multiculturale per cinque interpreti, accolta sin dal debutto come esempio paradigmatico della grande potenzialità di sintesi interculturale del suo creatore.
“Kaash” è leggerezza e precisione. Potenza.
Fuori da ogni volontà narrativa, lo stile del coreografo si staglia prorompente attraverso movimenti di gruppo, sincronici e correlati che si rifanno alla danza antica kathak dove, in uno spazio scenico scuro ed elegante, sembrano riprodursi azioni tipiche di una cerimonia religiosa. I danzatori riescono a divenire un unico corpo dotato di più estensioni, una macchina perfetta, cercano e trovano sillabe nell’aria, le ascoltano, le acchiappano, ne attribuiscono un senso.
Grazie a Peter Brook che lo scelse ragazzino nel cast del suo «Mahabharata», Khan ha imparato che "l’essenzialità è complicatissima, ma che si può riuscire a elevarla ad arte".
Talento indiscusso, amato da dive e addetti ai lavori, nato a Wimbledon da una famiglia originaria del Bangladesh, Akram Khan, si è già guadagnato nell'Olimpo dei coreografi un ruolo di tutto rispetto.
Forse per questo, molti artisti degni di altrettanta stima, sono tra il pubblico a godersi lo spettacolo e, nel finale, tra Nanni Moretti e Stefano Bollani (per citarne solo due), applaudiamo fieri, Nicola Monaco, il danzatore italiano che oggi interpreta il ruolo che fu di Akram Khan.

Credits dello spettacolo: http://romaeuropa.net/festival-2015/kaash/

Miriam Larocca 20/10/2015

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