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Cortocircuito fra secoli e culture. Le foto di Chan-Hyo Bae

CHAN-HYO BAE. SARTOR RESARTUS
A cura di Antonio Calbi
30 settembre – 20 novembre 2015
Visionarea Art Space, via della Conciliazione 4, Roma
Ingresso gratuito

Venire da lontano e lasciarsi coinvolgere da una cultura altra è spesso un ottimo punto di partenza per rompere barriere e steccati fra mondi distanti. Uno sguardo diverso arricchisce però non solo chi si affaccia curioso, ma anche chi di quella cultura è parte integrante da secoli. In questo sottile e profondo rapporto fra distanze si può inserire a pieno titolo il lavoro fotografico di Chan-Hyo Bae.
Classe 1975, sudcoreano di nascita ma trasferitosi ormai da diversi anni a Londra, Bae mette in scena nelle sue fotografie dei complessi e accurati tableaux vivant in cui si ritrae nei panni e nelle pose di nobildonne e personaggi femminili dell'Inghilterra dei secoli scorsi, un lungo arco temporale che va grossomodo dal XIII al XIX secolo. "Mettere in scena" è infatti il verbo più adatto per leggere le sue immagini. Lo sottolinea anche Antonio Calbi, direttore del Teatro di Roma e curatore della mostra "Chan-Hyo Bae. Sartor Resartus" ospitata fino al 20 novembre al Visionarea Art Space di Roma. Nelle sue foto avviene un "transito […] dalla pittura al teatro, all'allestimento di veri e propri 'set' cinematografici […] nei quali però l'azione non si compie ma viene fissata attraverso l'immagine fotografica", scrive infatti Calbi.
Che l'arte, soprattutto negli ultimi decenni, torni a interrogarsi su se stessa, rimescolando le carte e ridosando gli ingredienti in un gioco costante di citazioni e rimandi, è un dato innegabile. Anche in fotografia si potrebbe citare fra gli altri il celebre lavoro di una Cindy Sherman per avere un'idea di quanto il travestitismo costituisca ormai pratica pregnante e diffusa. Con Bae, però, si assiste semmai a un doppio cortocircuito, perché non solo l'autore ribalta puntualmente i generi interpretando e facendo interpretare i ruoli femminili agli uomini e viceversa, ma dimostra esplicitamente col suo volto, pur reso più etereo dal cerone, la sua esplicita origine asiatica. Un elemento, quest'ultimo, che rompe improvvisamente l'incantesimo riuscito dei ruoli e delle ambientazioni rimettendo improvvisamente in campo la finzione come nodo concettuale nel gioco accurato dei travestimenti.
Su tutto aleggia comunque un'atmosfera ironica, elemento che fa delle foto di Chan-Hyo Bae dei riusciti meccanismi in bilico fra gli interrogativi del presente (multiculturalismo? Convivenza?) e il puntuale bisogno di non farsi schiacciare dal peso di quella esse maiuscola che apre la parola "Storia".

Marco Pacella 02/10/2015

L’enogastronomia a piccole Porzioni: la penna autorevole e la lucidità di Luigi Cremona

Animato da un incessante ricerca e dalla voglia di esplorare posti nuovi, Luigi Cremona, ingegnere e esperto di enogastronomia, ha scelto il cibo e la cucina come strumenti di conoscenza e di contatto con diverse realtà. La curiosità, sempre alimentata dai suoi numerosi viaggi, l’ha portato dai mercati popolari ai grandi ristoranti stellati, mantenendo fede alla sua idea di assaggio o porzione in cucina. La sezione sul sito di Witaly, la casa editrice fondata con la moglie Lorenza Vitali, dedicata alle recensioni di tutti i ristoranti d’Italia e non solo, e gli eventi enogastronomici si chiama proprio PorzioniCremona.
Ha collaborato con le più importanti riviste enogastronomiche e le sue esperienze di viaggio sono confluite nel Touring Club d’Italia, dove è consulente per la Ristorazione e l’informazione Alberghiera, in particolare per la Guida degli Alberghi e dei Ristoranti. E’ Maestro Assaggiatore Formaggi dell’ ONAF ,sommelier AIS e promotore di numerosi eventi e premi come “ il Premio al miglior Cuoco Emergente” rivolto ai giovani chef. La finale 2015 si svolgerà alle Officine Farneto di Roma lunedì 4 ottobre, nell’ambito del Cooking for Art e i protagonisti di questa sfida saranno Gianfranco Bruno de “Lo Scrigno dei Sapori”, Forenza (PZ), per il sud, Nikita Sergeev del “Ristorante L’Arcade”, Porto San Giorgio (FM),  per il centro e Oliver Piras dell’ ”Aga”, San Vito di Cadore (BL), per il nord.
Prima della finalissima Luigi Cremona ci ha raccontato come si è evoluta la professione dello chef e com’è nato il suo rapporto con la gastronomia.


Tra qualche giorno sapremo chi sarà il Miglior Chef Emergente 2015, cosa ha in comune questa nuova generazione di chef e cosa li distingue dai loro maestri?
"Sono ottimista, di generazione in generazione si va avanti, perché cambia la tipologia delle persone che si avvicinano alla cucina. Quando ho cominciato io, il cuoco era una professione di serie c, in ambienti terrificanti. Quaranta anni fa nessuno entrava nelle cucine, il posto di pregio al più era la sala, fare il cuoco era un mestiere poco considerato. Man mano la situazione si è evoluta fino a diventare una professione attraente non solo dal punto di vista economico, ma anche d’ immagine, di conseguenza anno dopo anno, si sono avvicinati persone che facevano altri mestieri per guadagnare qualcosa. Oggi tra gli chef ci sono tanti laureati, è chiaro, quindi, che migliora l’impostazione culturale e l’educazione. Sono sempre più capaci e dei professionisti, che non solo sanno cucinare ma anche muoversi e parlare bene."

Quando e com’è nata la sua passione per la gastronomia?
"Quando ero studente, avevo la passione per i viaggi. Andando in giro per il mondo, ho scoperto che il mercato, soprattutto in certi posti dell’Oriente, l’India in particolare, ha un fascino straordinario, soprattutto cinquanta anni fa, oggi l’ha un po’ perso ma resiste ancora. Oggi a Parigi è il mercato il luogo che consiglio di visitare, a parte il tour culturale. Il mercato è una bella fonte per capire come mangia, come vive, come si rapporta la gente. Il cibo è un qualcosa con cui si raffronta tutti i giorni, varie volte. Per me è un metodo importante per capire come vive la popolazione di una nazione. Da qui è nato questo accostamento gastronomia e prodotti che si è evoluto nella ristorazione. Ho cominciato ad andare in giro per i ristoranti negli anni 70, facevo l’ingegnere poi la passione è cresciuta e allargata." 

Quali sono gli alimenti che consuma quotidianamente e che non possono mancare nella sua cucina?
Cose semplici, sono sempre in giro, per il novanta per cento della mia vita. Quando sono a casa, la parola d’ordine è cose “banali”, mangio le cose che non trovo in giro. Le verdure, ad esempio, è difficile che in un ristorante di qualità ci siano le verdure, sono sempre un piatto marginale, un piccolo complemento, anche quando fanno un piatto vegetariano è sempre arzigogolante. Ogni tanto mi viene voglia di mangiare i “friarielli”. Quando è la stagione giusta, passo per Napoli e mangio i friarelli senza salsiccia, oppure la mozzarella di bufala. Non possono mancare il culatello e i grandi prodotti d’Italia. Io non amo cucinare, amo assaggiare. Non gratifico molto mia moglie, do poca soddisfazione sia agli chef quando vado in giro, perché assaggio e mangio poco, sia in casa perché preferisco mangiare cose semplici."

Potrebbe spiegarci cosa intende quando dice che “il critico deve assaggiare con la testa, non con la pancia”?
Se ci facciamo guidare dalla pancia non andiamo lontani. Se mangiassi un piatto di spaghetti ben condito non avrei, dopo, né la fame, né la voglia, né le condizioni tecniche di base come la libertà del palato, per apprezzarne i sapori. È come se bevessi un litro di vino e poi facessi le degustazioni. Non ho mai capito, fin dall’inizio, forse per temperamento o carattere come facevano i miei pochi colleghi, negli anni Ottanta, (perché all’epoca erano pochi) erano tutti abbastanza rotondi, io ero l’unico magro. Questa gente mangiava tanto, e tuttora è una forte componente. Io faccio fatica a fare come fanno gli altri, perché è necessaria la lucidità."

Gerarda Pinto 01/10/2015

“War is over”: l’Italia della Liberazione tra scatti di sorrisi e guerra

La guerra è un atto di strascichi di cui la Liberazione non è meno violenta.
La mostra che si svolge dal 26 Settembre al 10 Gennaio 2016 presso il Museo di Roma – Palazzo Braschi, “War is over!”, dedica 140 immagini (tra cui alcune inedite) assieme a filmati d’epoca al periodo fra il 1943 e il 1946.
Il focus è il connubio tra civili e militari italiani assieme agli eserciti alleati e ai partigiani. Già questo si rivela un punto interessante per via di una dichiarata problematicità del racconto – dalla parte dei vincitori …? – sia proveniente dagli scatti dell’Istituto Luce che dalle fotografie dei Signal Corps (servizio di comunicazione dell’esercito statunitense).
La mostra non intende inquadrare un percorso cronologico degli ultimi anni della guerra e del primissimo dopoguerra, quanto piuttosto rendere pubbliche immagini censurate dall’organo ufficiale di documentazione fotocinematografica del regime e gli scatti a colori raccolti in un raro repertorio presso la NARA (National Archives and Records Administration) di Washington. Il bianco e nero dell’Istituto Luce a fronte del colore dei Signal Corps connotano un’Italia destabilizzata da una guerra non solo fatta di armi e sangue, ma di conflitto fra stili di vita nell’ordine del potere e di una società raffigurabile anche in maniera informale.
Dieci sezioni tematiche (tra cui La guerra non è come un film, Vincitori e vinti, Amore e guerra, Consolazioni e divertimenti) e tre postazioni video compongono il senso fortemente cinematografico di ogni testimonianza in cui risaltano le differenze tra la cultura italiana e quella statunitense nell’immortalare il sorriso nella guerra, la possibilità di provare piacere e gioia, di avvicinare un bacio distaccato da ogni volontà di distruzione o necessità di protezione.
Il valore di questa mostra risiede nell’esplicitare l’importanza della rappresentazione, singolarmente e al di là della storicità di un evento (che viene data per acquisita …), al fine di indagare ciò che affettivamente si perdeva nelle maglie della censura e ciò che veniva sottolineato dalla propaganda statunitense sulla salvezza di un popolo domato.
La guerra può finire, la guerra sta finendo, la guerra è da vivere.
“War is over” racconta le speranze e gli slanci per una ricostruzione che si possa pensare totalmente diversa dal passato. La guerra e la Liberazione come due identità, l’Istituto Luce e i Signal Corps come due strumenti temporali dello stesso evento in cui si possa stare insieme in un’Italia diversa.

Rosa Traversa 30/09/2015

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