Questo sito utilizza cookie per migliorare la tua esperienza di navigazione e rispetta la tua privacy in ottemperanza al Regolamento UE 2016/679 (GDPR)

                                                                                                             

Il classico decostruito: Siro Cugusi in mostra con "Chimere"

Il Museo Nivola di Orani, sempre propenso alla promozione di nuovi artisti attivi in Sardegna, ospiterà fino al 3 giugno 2024 la mostra Chimere, esposizione personale di Siro Cugusi. Curata da Luca Cheri e Camilla Mattola, la mostra è un viaggio nella produzione più recente dell’artista. Le pitture sono sia su tela che su carta e colpiscono per la tecnica raffinata e le molteplici suggestioni.
Il suo linguaggio artistico reinterpreta il concetto surrealista del “perturbante” e con queste opere si viene catapultati all’interno di scenari a metà tra inconscio, utopia e realtà.
Le pitture di Cugusi decostruiscono temi e generi della pittura classica. Il soggetto ricorrente del paesaggio naturale, per esempio, richiama formalmente i maestri del primo Rinascimento. Ma dal punto di vista simbolico, si avvicina di più al concetto di giardino come dimensione spirituale che ritroviamo ne Il giardino delle delizie, trittico quattrocentesco del pittore fiammingo Hieronymus Bosch.
La costruzione prospettica, che alterna tecnicismi pittorici rinascimentali a distorsioni tipiche della Metafisica e del Surrealismo, è centrale per unificare sulla tela una serie di elementi incongrui. Si intravedono parti anatomiche (che talvolta ricordano i corpi grotteschi di Francis Bacon), ingranaggi e pezzi di macchine, oggetti del quotidiano difficilmente identificabili e a volte quasi astratti.
Il grande formato conferisce alla pittura di Cugusi una qualità esperienziale: le tele creano un effetto immersivo. Tramite questi lavori, che propongono mondi paralleli, l’artista prova a costruire una personale dimensione estetica e poetica. Ma la ricerca è destinata inevitabilmente a scontrarsi con la realtà: per questo, non può che rivelarsi una chimera.
L’esposizione di Cugusi è accompagnata da un catalogo con i testi critici dei curatori. Inoltre, Chimere è stata preceduta dalla mostra della pittrice surrealista Bona de Mandiargues, connettendo spazialmente e dunque simbolicamente due diverse generazioni di artisti.

Ilaria Petroni, 24/04/2024

Arte e rigenerazione: un veicolo per restituire la bellezza.

 Al fatto che la bellezza salverà il mondo, come ci dice il principe Miškin nellIdiota di Dostoevskij, alcune di noi non hanno mai smesso di crederci. Per fortuna. E salvare significa anche recuperare, custodire, attraverso un lavoro di cura e attenzione, che è proprio della bellezza dai canoni non universalistici, ma di quella reale, vera. In giro per il mondo non si fatica a trovarne, ma a volte ce ne dimentichiamo tra lui i luoghi che viviamo quotidianamente. Per lungo tempo Napoli ha vissuto in questo torpore. Complici, con molta frequenza, i media che raccontavano di una città sporca e criminale, senza arte né parte; un posto in cui non soffermarsi se quello che si voleva era un pacchetto ben confezionato di pizze e mandolini sotto il sole del Vesuvio, coinvolti dalla felicità, creduta perenne, degli abitanti. Quel pacchetto ora è la realtà di una città gentrificata in cui nascono più ristoranti e b&b che autentici spazi di aggregazione, in cui il consumismo facile ha avuto la strada spianata a discapito di chi, seppur con fatica, è sempre appartenuto alla città

In questa prospettiva, risulta emblematica la Venere degli stracci di Michelangelo Pistoletto esposta in Piazza Municipio. Ideata nel 1967 riproducendo la Venere con mela dello scultore Thorvaldsen, a sua volta ispirata allAfrodite cnidia di Prassitele, dellistallazione esistono diverse versioni. Il 28 giugno 2023 la variante oversize viene esposta allaria napoletana per il progetto OPEN. Arte in Centro. In quel momento, quando la Venere incontra la colata di cemento della piazza che ha coperto alberi e verde intorno, forse ancor più che in precedenza, è evidente lintento di Pistoletto: far incontrare il bello ideale dellarte classica e lordine che lo contraddistingue con un cumulo indistinto di abbandono rappresentato dagli stracci. Lì, su quel terreno, i materiali in contatto hanno scopi differenti, e il senso ad ognuno è concesso da quello che ne dà lo sguardo umano; così la Venere, che guarda verso il mare e si proietta al futuro, restituisce il valore agli oggetti dimenticati e non più degni dimportanza. Incendiata 14 giorni dopo, listallazione è stata nuovamente restituita alla città l1 marzo 2024. Ancora una volta, dunque, la risurrezione di ciò che sembrava andato perduto.

Alla stessa città, un giovanissimo scultore ha affidato la chiave di lettura di molte sue opere. Stiamo parlando di Jago, nome darte di Jacopo Cardillo, definito da molti critici come il nuovo Michelangelo”.

Il 5 novembre 2020, compare in piazza Plebiscito la scultura in marmo bianco di un neonato, rannicchiato in posizione fetale e con una catena a modi cordone ombelicale. Il titolo è Look Down, e linvito dellartista è a non fermarsi alle apparenze, ma di scendere a fondo per guardare a chi, già fragile come quel bambino, è rimasto incastrato in un momento di ulteriore difficoltà per gli effetti della pandemia in corso.

Tra le strade di Roma, invece, nel 2022, esattamente sul Ponte degli Angeli, aveva fatto riporre unaltra scultura denominata In Flagella Paratus Sum-Sono pronto al flagello, con le sembianze di un migrante. Prima di essere esposta, lopera aveva viaggiato insieme ai profughi provenienti dalla Libia sulla nave Oceans King.

Jago, da sempre interessato a dare -letteralmente- forma alle grandi sofferenze dellanimo umano, ha come caratteristica intrinseca quella di rendere il pubblico partecipe della realizzazione delle sue opere attraverso lutilizzo dei social, probabilmente come mezzo per avvicinarlo ad unarte, quella scultorea, espressione di un certo classicismo immaginato troppo lontano. Ma il legame con persone e luoghi è da sempre un punto fermo della sua arte.  Ed è proprio per questo che è in un quartiere come la Sanità, per moltissimo tempo legato a pregiudizi e ad abbandono, che lartista ha aperto il suo Jago Museum, nella Chiesa di SantAspreno ai Crociferi, riaperta e riaffidata alla città – tra le varie iniziative- grazie la mission di riqualificazione territoriale di Don  Antonio Loffredo.

Ma cosa significa fare Arte in Italia nel 2024?

Esistono sia artisti singoli che spiccano, ed esistono anche fenomeni di aggregazione artistica e culturale che ambiscono e in alcuni casi arrivano a tutelare e a ridare valore a spazi abbandonati con lobiettivo di salvare un luogo, una comunità, un ambiente, usando larte come comune denominatore e strumento di affiliazione.

Fra gli altri menzioniamo lesperienza di Metropoliz, il museo dellaltro e dellaltrove di Roma, https://www.spacemetropoliz.com/, grazie anche alla supervisione dellantropologo Giorgio de Finis. Qui molti artisti differenti, per stile e tecniche hanno scelto di dare il loro contributo. Lo spazio sulla Prenestina è ad oggi, nonostante le minacce di sgombero, un luogo che ospita diverse famiglie e allinterno del quale le attività per giovani e meno giovani si moltiplicano. Alcuni artisti dellAccademia di Roma hanno presentato workshop e progetti adatti al luogo includendo gli abitanti del posto. Come ad esempio durante i Fiori del Maam percorso durante il quale hanno lavorato le artiste Claudia Schioppa, Suida Dushi, Alessandra Viva, Marzia Greco e Aura Monsalves Munoz. Questultima dando in mano ai piccoli ospiti della ex fabbrica Fiorucci delle macchine fotografiche usa e getta catalogando e mettendo in mostra gli scatti che loro stessi hanno realizzato.

In questi luoghi larte è materia umana, viva, in continua fermentazione. Per citare un importante punto di riferimento nel mondo dellarte di oggi, Cesare Pietroiusti: Quella che non soggiace alle regole del mercato, non per motivi ideologici o per moralismi punitivi, ma perché a esser classificata come merce, manufatto con un inizio e una fine, oggetto indefinitamente spostabile, si sente appiattita e amputata. LOpera viva è appiccicosa, si porta appresso filamenti e collegamenti con oggetti, persone, stati danimo e relazioni.”

In molti casi queste esperienze emergono e si diffondono come per gemmazione spontanea, venendo poi, nei casi più fortunati, rese accessibili al pubblico in accordo con il Comune. Questo il caso di Cavallerizza, progetto nato a Torino nel 2014 ed esperienza di resistenza artistica contro-culturale. Un esperimento ibrido che ha dato luogo, fino al suo smantellamento nel 2019, a manifestazioni culturali di vario genere. In esposizioni annuali come HERE vi è stata la partecipazione di artisti giovani ed emergenti che hanno trovato in questo luogo un palcoscenico per mettersi alla prova. Per citarne alcuni, Lisa Redetti, classe 1993 diplomata allaccademia di Torino, recentemente espatriata in Germania per una residenza a Wiesloch. Pittrice introspettiva, che nellutilizzo dei vuoti e dei pieni descrive la propria memoria ed esperienza di vita. Oppure Andrea Catolino, che nella rappresentazione ossessiva del proprio ritratto ad olio, va man mano modificando il proprio volto nella ripetizione di una copia che proviene dalla precedente e che quindi si modifica ad ogni successivo passaggio fino a diventare irriconoscibile.

Ma è con la TAZ, espressione traducibile in italiano con la formula Zone di Autonomia Temporanea, lesperienza artistica con cui si può comprendere qualcosa in più su questi luoghi. Si tratta di un termine coniato in un testo del 1985 di Hakim Bey, dove viene celebrato il nomadismo psichico e viene fatta unanalisi della storia e dellarte delle controculture degli anni 80 e 90. 

Terrorismo poetico, PT. Hakim Bey, dedica una parte del suo libro a questo specifico modo di fare arte. 

Larte dei graffiti ha donato un podi grazia a orribili sotterranei della metropolitana e rigidi monumenti pubblici. Il terrorismo poetico può anche essere creato per luoghi pubblici: poesie scarabocchiate nelle lavanderie, piccoli feticci abbandonati nei parchi e nei ristoranti, xerocopie incollate sotto i tergicristalli di macchine parcheggiate, grandi slogan di personaggi appiccicati nei cortili di parchi giochi, lettere anonime inviate a destinatari scelti, trasmissioni radio pirata…

PT è un atto nel teatro della crudeltà, che non prevede palco, né file né posti seduti, niente biglietti niente muri. Per funzionare del tutto la PT deve essere categoricamente slegata da tutte le strutture convenzionali per il consumo dellarte (gallerie, pubblicazioni, media).”

Nel film I Cento Passi, c’è un discorso che, nonostante sia erroneamente attribuito a Peppino Impastato, da sempre difensore a gran voce di un ideale di città lontano da sopraffazioni e vili giochi di potere e per questo ucciso dalla mafia nel 1978, ci viene in aiuto per racchiudere il senso di quanto detto su: Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un'arma contro la rassegnazione, la paura e l'omertà. All'esistenza di orrendi palazzi sorti all'improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l'abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore".

Arianna piccoli e Noemi Rinaldi

 

A Palazzo Fava in mostra dal 21 marzo l’arte bolognese dell’Ottocento 

Oltre cento opere d’arte fra dipinti, acquarelli, sculture, disegni, incisioni e maioliche saranno ammirabili fino al 30 giugno al Palazzo delle Esposizioni nella mostra intitolata Da Felice Giani a Luigi Serra – L'Ottocento nelle collezioni della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna. L’esposizione a cura di Angelo Mazza, realizzata in collaborazione con Genus Bononiae e inserita nel progetto La pittura a Bologna nel lungo Ottocento | 1796 – 1915, ha l’obiettivo di far conoscere l’evoluzione dell’arte della città emiliana dall’epoca napoleonica alla Prima Guerra Mondiale attraverso lo sguardo di circa trenta artisti attivi in diversi settori delle arti figurative e applicate.

Fra queste ultime spicca la manifattura bolognese Minghetti con gli oltre trecento pezzi del servizio da tavola commissionato nel 1888 dal duca di Montpensier per palazzo Caprara, mentre fra i dipinti troviamo quelli degli artisti formatisi nell’Accademia Clementina o nel Collegio Venturoli: le opere di Gaetano Gandolfi, Felice Giani e Luigi Serra ma anche i ritratti di Pietro Fancelli e Pelagio Palagi. Queste tele rappresentano il passaggio tra il Neoclassicismo accademico settecentesco e le nuove tendenze dell’arte romantica, aperta alla rappresentazione di soggetti storici come quelli del Ritratto di Giuseppe Gaetano Mazzacorati  di Clemente Albèri o del dipinto Nicolò de’ Lapi prima del supplizio di Luigi Busi. Non mancano le opere primonovecentesche, realizzate da Felice Vezzani e Giovanni Masotti.

Dell’inventore del vedutismo urbano bolognese Antonio Basoli si potranno ammirare i paesaggi archeologici fantastici nei dipinti celebrativi delle conquiste di Roma e numerose rappresentazioni della sua città, protagonista anche delle vedute di Gaetano Filippo Tambroni, Ottavio Campedelli e Luigi Bertelli. Quest’ultimo, che opera a cavallo fra Ottocento e Novecento e appartiene quindi a un periodo successivo, è protagonista della rivoluzione naturalista nella pittura del paesaggio, mentre artisti come Zannoni, Ravegnani, Guardassoni e molti altri le cui opere sono esposte in mostra ritraggono la Bologna dei tempi di Carducci, modernizzata a seguito del piano regolatore.

Le sale della mostra ospitano poi i modelli in terracotta delle statue di Palazzo Hercolani in Strada Maggiore, realizzati da Giacomo de Maria, i bozzetti dei monumenti celebrativi di Enrico Barbèri  e quelli delle scenografie teatrali di Giuseppe Badiali, il quale collaborò anche alla messa in scena delle più famose opere liriche ottocentesche.

Per compiere questo viaggio nel tempo attraverso ogni tipo di espressione artistica della città di Bologna non resta che visitare Palazzo Fava.

Cecilia Cerasaro  20/03/2024

Pagina 1 di 129

Libro della settimana

Facebook

Formazione

Sentieri dell'arte

Digital COM