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Lutto nel mondo della TV: ma ricordi e idee non hanno Limiti

Ha un che di comico il destino di chi per anni è stato sotto i riflettori, al centro e sotto le luci della ribalta, e poi dimenticato torna a interessare una volta morto. Animatore di tanta televisione dagli anni ’60 in poi, autore di canzoni di successo come l’arcinota e ormai francamente inflazionata “La voce del silenzio”, Paolo Limiti (nato nel 1940) nei tempi più recenti era riuscito a ritagliarsi solo una rubrichetta all’interno del programma “Cristina Parodi live” (La7, 2012).

Non è una novità che l’uomo, il mondo, ma soprattutto il “Belpaese” abbia tranquilla dimestichezza nel destinare all’oblio il presunto obsoleto e nell’affannarsi poi a celebrare e ringraziare, tra speciali e approfondimenti, cadaveri un tempo uomini e donne dai meriti artistici e culturali evidenti. È successo con tanti altri e doveva succedere anche con Paolo Limiti, un professionista più che un artista, una personalità il cui nome vivido sarà sulla bocca di tutti per un’altra manciata di giorni per poi finire di nuovo nel buio di qualche Enciclopedia della televisione.

E sì – niente di strano, ché, soprattutto fra le nuovissime generazioni, il nome di Limiti non dice niente, forse a malapena il suo volto rievoca un «ah, sì, è quello della tv». 

Già, «quello della tv», o quello nella tv – o quello che è la tv? Di sicuro, in larga parte, la terza opzione è quella più corretta. Per quanto, infatti, alla maggioranza degli spettatori che da oggi vanno verso il domani dicano poco la faccia, gli occhi azzurri e il capello rosso-carota, e pochissimo il nome di Paolo Limiti, è più che certo che il suo fare televisione abbia avuto e avrà strascichi potenti sul mondo del piccolo schermo. Soprattutto perché buona parte della programmazione di punta della tv-di-Stato (per limitarci a questa), più o meno consapevolmente, deve molto a quell’idea, per quell’epoca geniale o mortuaria a seconda dei punti di (s)vista di critici ed esperti, di spettacolo-amarcord che fu “E l’Italia racconta”, del 1996.LIMITI2

Andato in onda fino al 2004, ribattezzato a più riprese (da “Ci vediamo in TV, ieri, oggi e domani”, passando per “Alle due su Rai1” e “Ci vediamo su Rai1”) fino al definitivo e più netto (dal 2001) “Ci vediamo in TV”, è stato questo probabilmente il programma più riuscito del Limiti nazionale. Non solo in termini d’ascolti o di apprezzamento da parte del grande pubblico, ma perché fu essenzialmente il primo a cogliere un’esigenza e un gusto ancora non generalizzati, la comprensione e intercettazione dei quali sono, oggi, l’obiettivo, spesso raggiunto, di molti autori e direttori di rete – esigenza e gusto dello story-telling rievocativo.

Raccontare il tempo che fu, il ‘come eravamo’ e il ‘cosa succedeva’, alternando vere e proprie monografie su grandi personaggi e temi del passato al recupero di vecchie glorie, tra canzoni un tempo tormentoni e gustosissime meteore, aneddoti di costume e polemiche d’antan. Il tutto portato avanti con sfrontata colloquialità e sano nostalgismo, evitando ogni sentore di accademismo o saccenza: si gioca, nel ricordare, si gioca pure quando sale un velo di malinconia per il tempo che non c’è più.

Costruire la sensazione, insomma, di un enorme focolare domestico (mediatico) attorno al quale sta un’intera nazione che, sempre divisa, per quell’appuntamento a ritroso nel proprio passato e nel passato dei propri padri e padrini, sta invece unita: questo fu in definitiva il lavoro, il merito più grande di Limiti. Ecco che allora programmi cult di mamma Rai come “Techetechetè” e ancora di più “I migliori anni” del buon Conti (senza spingersi al parossismo, che però sa di verità, di operazioni di fiction storico-culturali incentrate sui grandi italiani di ieri) devono non poco all’idea di vent’anni prima di Paolo Limiti.

Poco importa, allora, se il nome e la faccia sbiadiscono quando restano, ancora produttive, le idee: Limiti è da morto più vivo, se, come ha dimostrato, in televisione non c’è niente di più presente del passato.

Sacha Piersanti

28/06/2017

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