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David Bowie e Paolo Poli: la rievocazione di Marco Cavalcoli attraverso la voce e la magia del teatro

Un solo attore in giacca e cravatta a rappresentare più personalità. “Santa Rita and the Spiders from Mars” è un reading camaleontico: Marco Cavalcoli mostra sé stesso come David Bowie e Paolo Poli ma anche, con ormai acquisita perizia tecnica, quanto sia complesso il mestiere del performer e quanto certe doti, senza prescindere dallo studio, siano innate. Con il minimo movimento, il piccolo palco è gestito in modo vivace tramite l’ausilio del canto, della dizione, della pronuncia inglese, della voce e della mimica facciale. È il 23 maggio 2018, data in cui Paolo Poli avrebbe compiuto ottantanove anni; siamo nel Saloncino del Teatro della Pergola di Firenze, a lui dedicato e, a festeggiare con lui, il fantasma di David Bowie. Si tratta di una doppia intervista resa come un dialogo tra due personalità che, in fondo, hanno molto in comune.

Scritto e diretto dallo stesso Cavalcoli, “Santa Rita and the Spiders from Mars” è emblema di un teatro che si pone il problema di comporre e mettere in scena una nuova drammaturgia, uscendo dal sistema alto ma immobile dei titoli appartenenti al teatro classico. Una nuova drammaturgia che si pone l’obiettivo di costruire qualcosa rievocando due miti della storia recente dello spettacolo. Una nuova drammaturgia che, infine, vuole raccontare temi delicati come il transgender, la bisessualità, la a-normalità di persone amate e accettate nella loro notorietà ma anche criticate negli atteggiamenti quotidiani. Sono argomenti sensibili trattati con tatto grazie a due exempla. L’autore-attore si appropria intelligentemente di spazi non tradizionali e agisce su una pedana, tra un microfono e un leggio, scegliendo come sfondo uno schermo su cui sono proiettate immagini d’archivio. D’altra parte è consapevole e rispettoso della sacralità del luogo teatrale e fa in modo che il suo microcosmo dialoghi con il cosmo del Saloncino, con il suo sipario rosso, con le sue alti pareti, con le sue porte.

Un’ora dinamica in cui la semplicità della messinscena si pone in contrasto con l’esplosione di energia: la potenzialità dell’idea generatrice si sprigiona senza esagerazione, optando per una forma estetica pulita, piacevole, delicata alla vista. La voce, punto forte di Marco Cavalcoli, permette all’attore di esserci, non tanto fisicamente ma soprattutto mentalmente, così come lui stesso precisa e mette in pratica, concretizzando il suo pensiero poetico e filosofico in scena.

Benedetta Colasanti 25/05/2018

 

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