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“Donne di mafia”: la memoria necessaria in scena al Teatro Spazio 18b di Roma

Estate del 1992. Gli italiani sono sconvolti da due stragi che hanno come obiettivi Giovanni Falcone (23 maggio) e Paolo Borsellino (19 luglio), magistrati impegnati sul fronte dell’antimafia. Da qualche mese si è concluso il più grande Maxiprocesso della storia che ha inflitto pesanti pene ai membri di Cosa Nostra. La politica è piegata dalle inchieste di “Mani Pulite”: l’Italia intera è in ginocchio.
A seguito di quegli attentati, che in molti seguirono anche in televisione, ci fu tanta indignazione. I cittadini si ribellarono: a Palermo esposero lenzuoli bianchi dalle finestre e si organizzarono fiaccolate in tutto il Paese. Dal 22 luglio al 23 agosto, alcune donne siciliane - “le Donne del digiuno” - si unirono in un gruppo di protesta civile contro le organizzazioni criminali. «Iniziamo oggi pomeriggio con un presidio a Piazza Castelnuovo uno sciopero della fame, come cittadine di Palermo...» si legge sul volantino, come un grido di sopravvivenza: la volontà di voler continuare a vivere lì, ad abitare l’Isola, senza connivenza.
Quest'incredibile “storia di un digiuno lungo trent’anni, per non perdere il vizio della memoria”, scritta da Massimo Roberto Beato e diretta da Jacopo Bezzi, è raccontata in questi giorni da La Compagnia dei Masnadieri, laboratorio teatrale, nato nel 2007 grazie ad alcuni allievi dell’Accademia “Silvio d’Amico”, che ha tra gli obiettivi quello di diffondere la cultura e la conoscenza. Sul palcoscenico recitano Monica Belardinelli, Virginia Bonacini, Sara Meoni e Veronica Rivolta.
Assistere allo spettacolo, in scena fino al 26 maggio, è un’ulteriore occasione per assumere coscienza, a distanza di trent’anni, di come quegli eventi modificarono il corso della storia, un dissenso che cominciò a farsi sentire proprio in quei mesi. Questo è possibile grazie a passi teatrali, video, voci registrate e testimonianze originali. Si tratta di un esempio, soprattutto rivolto ai giovani, che col tempo ha smentito la frase lapidaria e arrendevole che pronunciò in quei giorni il giudice Caponnetto: “è finito tutto”.
Per fortuna il Paese si risollevò presto, non soltanto grazie a quelle persone che sentirono dentro un moto di rigetto verso tutto ciò che appartenesse al mondo dell’illegalità, ma anche grazie alle donne che la mafia l’hanno raccontata e combattuta da dentro, come la giovane Rita Atria, testimone di giustizia, scomparsa a 17 anni, che nel suo tema della maturità scrisse: «Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare. Forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo».

Francesco Saverio Mongelli   25/05/22

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