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Incomunicabilità e vuoto nel "terzo uomo" di Cramarossa

Una passata di rossetto, un’altra di lucidalabbra e poi la matita per definire il contorno di una bocca (quella della protagonista Dolly) dalla quale emerge tutto lo svuotamento di senso delle parole e del linguaggio quotidiano. E’ infatti questo il terreno di ricerca dell’attore, regista e scrittore Andrea Cramarossa, che nel suo spettacolo “Il Terzo Uomo” andato in scena al teatro Abārico di Roma, prosegue la sua personale ricerca sull’importanza della parola, iniziato con la pièce “Fuoco di Cassandra”, il poemetto “Manicomio criminale” e il cortometraggio “Un dì all’azzurro spazio”.

Barbie appese al soffitto, spazio scenico essenziale riempito solo da due sedie, maschere e qualche oggetto funzionale ai giochi d’interpretazione dei protagonisti, tutto ciò crea l’universo vuoto e buio nel quale vivono Herbert e Dolly, fratello e sorella (interpretati dagli apprezzati ed efficaci Claudio Ciraci e Mariangela Dragone) giovani laureati, ad ogni costo intenzionati a diventare famosi. Parlano con una cantilena, con un’intonazione che non lascia emergere alcun tipo di emozione, ripetendo continuamente formule, parolacce, frasi di copioni che si esercitano a recitare nel loro intento di diventare attori e famosi. Come spettatori annoiati, i due protagonisti, guardano costantemente i loro orologi, imprigionati nelle loro monotone e superficiali esistenze, in cui tutto si fa perché si deve fare, in un “copia e incolla” che finisce per cancellare l’individualità e la soggettività. Sembrano gusci vuoti, esistenze che si trascinano in una banalità che li rende freddi e superficiali, ma proprio per questo capaci di calpestare gli altri senza alcun senso di colpa.

Lo spettacolo, consigliato ad un pubblico adulto per il suo linguaggio crudo ma attuale, le sue scelte forti e coraggiose e i molteplici piani di senso (più o meno espliciti), lungi dall’essere spettacolo per scandalizzare, è un tentativo ben riuscito di denunciare provocatoriamente ed anche ironicamente, l’incomunicabilità e la perdita di senso verso cui la società moderna ci costringe. 

 

(Luana Poli)  

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