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Da attrice a drammaturga: il teatro secondo Marzia Ercolani

“Un sogno onirico”. Così Marzia Ercolani, attrice, poetessa, autrice, descrive “Sono morta anche io – testamento turchino di una fetocchia d’eccezione”, testo con il quale si affaccia al mondo della drammaturgia.

Portato in scena al Teatroinscatola di Roma dall’8 al 13 maggio, lo spettacolo è il racconto di un viaggio, alla ricerca di un essere umano puro, non ancora contaminato dalle imposizioni familiari e dalle costrizioni sociali.

Artista capace di rinnovarsi, mai stanca dello studio e della sperimentazione, Marzia Ercolani ci ha rivelato con grande entusiasmo la nascita di questo progetto teatrale, attraversato dalla poesia, affollato di creature fiabesche e segnato da drammi infantili.

 “Dopo tanti anni di totale dedizione alla compagnia Triangolo Scaleno, ho deciso di rendermi indipendente e di dedicarmi al primo lavoro scritto e interpretato da me. È prodotto da Atto Nomade, l’associazione che io e la mia socia, Elena Tenga, abbiamo fondato lo scorso dicembre”.

 

Lo spettacolo è andato in scena a maggio ma la drammaturgia è stata presentata un paio di mesi fa nell’ambito dei “Quaderni di scena”, incontri organizzati dal Teatro di Roma. Vuole parlarcene?

 “È stata Lucia Calamaro, che conosceva le mie poesie e ha letto brani della drammaturgia, a proporre il lavoro all’attenzione di Attilio Scarpellini, che mi ha dato la possibilità di presentare il testo”.

 

Com’è nata l’idea dello spettacolo?

 

“Studio da anni il tema trattato in scena, cioè l’educazione come prima forma di potere. Sono partita dai testi della psicanalista polacca Alice Miller, in particolare “Il dramma del bambino dotato e la vera ricerca del sé”, che parla del dolore prenatale, della violenza psicologica”.

 

Personaggi collodiani, riferimenti biblici, spunti shakespeariani. Tanti sono i libri e gli autori dai quali ha preso ispirazione.

 “Da Collodi ho preso l’ambientazione e una sola frase, “Sono morta anche io”. È quello che la bambina dai capelli turchini dice a Pinocchio durante il loro primo incontro. Il mio è un lavoro autobiografico, ma ho cercato di superare il piano personale per rendere tutto condivisibile. Pinocchio è un viaggio iniziatico, impregnato di esoterismo, carico di riferimenti, anche biblici. Un libro potente, altrimenti Carmelo Bene non gli avrebbe dedicato trent’anni della sua vita”.

 

Ha parlato di vicenda personale. Ma la storia privata è inserita in un contesto più ampio, sociale, culturale, religioso.

“La mia riflessione coinvolge la società occidentale, cattolica, la cultura gerontocratica del nostro paese, il sacrificio del figlio per il padre. E il paese dei balocchi non è forse il Teatro, quello in cui si muovono gli asini, i buffoni?”

 

Una critica al sistema teatrale, dunque.

 “Voglio parlare di un mestiere non riconosciuto ma anche della scuola che non funziona. E di quel burattino, non ancora bambino per bene, e per questo libero. Il mio è un viaggio alla ricerca del seme originario”.

 

Condividere il lavoro di scena con una compagnia, significa avere un confronto costante. In questi mesi di prove solitarie, ha avuto dei momenti di sconforto?

“Molti. Non ha vita facile, oggi, un'artista indipendente. All’inizio mi riprendevo con la telecamera per guardarmi, ma ho avuto anche il confronto. Con Alessandra Cristiani, danzatrice butoh, che mi ha aiutato a lavorare per immagini, con Fiora Blasi, attrice dal gusto clownesco, che mi ha seguito per tutto il percorso. Devo ringraziare anche Luigi Acunzo, assistente alla regia e Maria Carolina Rossini, che ha disegnato il cielo d’ispirazione vangoghiana sul quale mi muovo”.

 

Il pubblico come ha percepito lo spettacolo? Tutti i riferimenti, i sottotesti, sono stati compresi?

 “Il tema dell’infanzia è quello più percepito, quello che suscita più tenerezza. Non ho la pretesa che sia tutto compreso, è come nelle fiabe, ci sono molti livelli. Mi piacerebbe una platea di sconosciuti, ma non potrei fare a meno del pubblico di amici e addetti ai lavori. Vorrei uno spazio più grande, con le gradinate, ma sono molto riconoscente a chi mi ha ospitato, dall’Ex Lavanderia, dove ho provato, al Teatroinscatola, dove ho messo in scena lo spettacolo. In fondo il teatro altro non è che l’incontro tra una storia che si racconta e gli spettatori”.

 

(Rossella Porcheddu)

 

 

 

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