Intervista con Davide Manca, da "Et in terra pax"
L'intervista gentilmente concessaci da Davide Manca avviene durante una pausa pranzo sul set di un film che sarà pronto nei prossimi mesi e che lo vede, anche grazie al successo di" Et in terra pax", nelle vesti di, come è ovvio, direttore della fotografia, ma con molte responsabilità in più.
D. Allora, "Et in terra pax" è nelle sale da pochi giorni e praticamente ogni sera o quasi è un sold out. Ottimo inizio direi. Ho notato anche la grossa partecipazione che buona parte della troupe, te compreso, avete messo per coinvolgere quanto più pubblico possibile e quindi sensibilizzare alla visione. Avete legato molto, sembra quasi una grande famiglia.
R. Assolutamente, dici benissimo. Il coinvolgimento è stato totale e da parte di tutti. Non voglio sembrare banale ma nel caso di "Et in terra pax" il legame che si è creato all'interno della troupe è stato molto profondo. Nei film fatti a basso costo queste cose accadono spesso ma è difficile che si leghi anche con le comparse o con tutte quelle figure che appaiono invisibili ma su un set sono fondamentali. Penso a tutte le persone che si sono messe a disposizione per dare una mano mentre giravamo e che poi finito il film hanno avuto un ruolo fondamentale nel passa parola e nello spingere il pubblico ad andare a vedere il film.
D. Come è stato girare il film nel quartiere di Nuovo Corviale? Tutti sanno che è una zono molto depressa della periferia romana. Voi come vi siete trovati?
R. Quando siamo arrivati, i primi giorni, una certa diffidenza era tangibile. Molti temevano che stessimo girando un nuovo "Gomorra" e che quindi avremmo attirato l'attenzione sul quartiere in modo negativo. Le persone temevano che ne venisse fuori un'idea sbagliata. Nuovo Corviale non è un quartiere abitato da disonesti ma da persone umili e che non per forza delinquono. Quando il consiglio di quartiere ha approvato la sceneggiatura praticamente abbiamo ricevuto il lascia passare più importante proprio perchè da quel momento per il quartiere eravamo diventati degli amici, una sorta di grande circo. Da quel momento la solidarietà della gente è stata incondizionata.
D. La scena del film che ti ha dato maggior soddisfazione?
R. Sicuramente più di una. Però una che possa essere rappresentativa al riguardo è la scena in cui ci si avvia al finale del film. Marco, il personaggio principale, è agitato e confuso, fuma incessantemente. Lo vediamo in primo piano che guarda apparentemente nel nulla. Di colpo l'illuminazione cambia e trasforma la percezione che abbiamo del personaggio. Come se qualcosa in lui fosse di colpo mutata. Si avverte il cambiamento. Da li farà la sua scelta e si avvierà verso il finale del film che chiaramente omettiamo...
D. Come si è rivelato girare in digitale con la Red?
R. Potrà sembrare strano ma è servita tantissima luce. Si è rivelato più difficile che girare in pellicola. La capacità per la pellicola di impressionarsi anche con poca luce è una possibilità che un anno fa il digitale da noi utilizzato non permetteva. Sono comunque assolutamente a favore del digitale perchè lascia la possibilità a film di basso costo di poter essere fatti e lascia tante possibilità anche in fase di post produzione.
D. La scena più dificile che hai girato?
R. Sicuramente tutta la parte girata nella cava. Abbiamo lavorato dalle nove di sera alle otto del mattino. Era la scena con più effetti speciali, più mezzi, gli spari, il fuoco. E poi provate a pensare cosa possa voler dire illuminare una cava di notte...(Ride).
L'intervista termina con lo scadere della pausa pranzo. In fondo siamo sempre su un set cinematografico e i tempi si sa sono ristretti.
(Gianluca Bianchi)
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