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Recensito incontra Duccio Camerini

Il regista e sceneggiatore Duccio Camerini è in scena al Teatro Piccolo Eliseo di Roma, fino all’11 dicembre, con “Risorgi”, spettacolo da lui scritto e diretto che parla di vecchie e nuove generazioni, ma soprattutto dei nostri tempi e della crisi della società contemporanea. Una vera e propria preghiera a cavallo tra la periferia e la campagna sventrata, con personaggi ai margini, persi, in attesa di una rinascita, di una personale risurrezione. La fotografia di un mondo indifferente e senza più una forma, un traffico di storpi e mendicanti.

“Risorgi” è uno spettacolo che parla di oggi, della crisi dei nostri tempi. Com’è nata l’ispirazione per questo testo?camerini1
“Dalla rabbia per una decadenza di Roma che appare inarrestabile. Ma credo anche che si tratti di qualcosa di fisiologico in tutte le grandi metropoli. Mi sono messo a lavorare su uno spunto che avevo, un protettore di storpi e mendicanti, e poi pian piano mi sono accorto che mi stavo ispirando a certi temi di Re Lear - il rapporto padri-figli, e il potere - ma anche di the Connection di Gelber, la vita lisergica, lo sballo, la fuga, la paura”.

Si respira un clima torbido, con personaggi borderline, in attesa appunto di una risurrezione, di una rinascita. Come può avvenire ciò? Crede che ci sia una speranza nella società attuale?
“Credo che sia un testo, uno spettacolo, che esplora un passaggio che sta compiendo la nostra società, un passaggio ancora buio e incerto, è evidente, ma che porterà secondo me prima o poi a riesplorare una forma dei rapporti umani, che invece ha subito una discesa vertiginosa negli ultimi trent'anni”.

I protagonisti sono personaggi molto complessi. Com'è avvenuta e come si è evoluta la loro costruzione?
“La voglia di costruire personaggi contraddittori come siamo tutti noi è stata la spinta. L'umano non può essere un modello solo quando è eroico e virtuoso, per chi racconta come me deve essere un modello anche nelle sue ignominie come anche nei suoi comportamenti contraddittori e perturbanti. I personaggi liberi in quanto soli, liberi di agire nel modo che gli è consentito, o all'interno dei recinti che si sono costruiti o dove sono caduti. Questa era il mio territorio d'indagine”.

Quanto il suo mestiere e la sua grande esperienza di sceneggiatore cinematografico e il cinema in generale hanno influenzato questo lavoro teatrale, anche dal punto di vista registico?
“Non lo so, non devo essere io a dirlo. Ma in ogni cosa che scrivo, dalle pièce più "narrate" alle più "messe in scena" come questa, la frizione tra la sintesi del teatro e l'immensità e l'indicibilità del mondo è la cosa che ancora mi fa venire voglia di misurarmi con un medium vecchio di migliaia di anni.”

camerini2Si può parlare di spettacolo neorealista? Di denuncia?
“Neorealista è una parola importante nella nostra cultura, e onestamente mi sembra fuori tempo massimo per quanto riguarda Risorgi. Denuncia? Di cosa? Di come siamo diventati? Allora sì. Ma tutti, tutti, anche chi una casa ce l'ha, e non si droga, e non commercia in bambini. Come diceva Seneca, la visione di atti ripugnanti ed estremi ci fa considerare che la vita è qualcosa cui va dato il giusto peso, e ci può solo spingerci a valutarla meglio. In questo senso, io penso che Risorgi sia uno spettacolo elisabettiano, o una specie di moralità medievale cucita nel duemila”.

Com'è nata la scelta del cast?
“Il testo è stato scritto appositamente per quasi tutti gli interpreti che sono in scena. Di solito è la cosa che mi viene meglio. Attori che avevo modo di conoscere, non solo per la loro arte ma in quanto persone con cui condividere un percorso. Gli attori che sono entrati nel cast quest'anno hanno fatto propria questa filosofia in modo brillante e generoso, dando vita a risultati sorprendenti”.

Maresa Palmacci 06/12/2016

Graziano Piazza racconta a Recensito il suo “MisuraXMisura”

È in scena al Teatro India, fino all’11 dicembre, “MisuraXMisura”, una delle opere più affascinanti di Shakespeare, nella traduzione e nell’adattamento di Graziano Piazza, il quale ha dato vita ad una pièce che mette al centro l’individuo, invitando a guardare dentro di noi, a conoscerci e a trovare quella misura, quell’equilibrio necessario a governarci. Un vero e proprio caleidoscopio di emozioni, sentimenti, temi contrastanti , dualismi, vizi e virtù, una tragicommedia in costante equilibrio tra leggerezza e dramma, un classico dal sapore fortemente attuale, quasi eterno.
Il regista e interprete racconta così ai lettori di Recensito, con questa intervista, i dettagli della suo spettacolo, spiegandone il significato più profondo.

A 400 anni dalla scomparsa di Shakespeare porti in scena “MisuraXMisura”. Perché proprio quest’opera del Bardo e che relazione può avere con la società odierna?
“La ragione e la necessità di questa scelta è perché rispetto ad altre pièce, “MisuraXMisura” è quella che più ha una coralità d’insieme, in cui un intera società, il governo di una città, che può diventare di una nazione, ma purepiazza1 di un mondo, riesce a farci vedere che le stesse cose possono riguardare dal grande uomo al piccolo uomo, anche non chiuse in se stesse, ma aperte verso la ricerca di un governare, osservare e sentire che cosa vuol dire cambiare per quanto riguarda se stessi. È come se questa pièce ci desse modo di cogliere la possibilità diretta tra la parola e l’azione”.

Si affrontano lussuria e devozione, altruismo ed egoismo, pietà e rabbia, politica ed etica, giustizia e compassione, tematiche forti, antitetiche e più che mai attuali. In che modo si può arrivare ad una misura, ad un equilibrio tra le parti, sempre in relazione alla società contemporanea e come cerchi di manifestarlo nello spettacolo?
“Chiaramente Shakespeare non dà una soluzione vera e propria, non dà una misura. Noi per altro lo abbiamo chiamato “MisuraXMisura” con la x, perché volevamo che la parola “misura” si confrontasse e si specchiasse con se stessa. È come se questa x fosse la spiegazione di un calcolo, ma anche un modo affinché le due parole in qualche modo si doppiassero, si guardassero nel suo doppio, per cui questa misura indica la possibilità di guardarsi, di osservarsi, di riconoscersi nell’altro e attraverso l’altro guarire delle proprie ferite o grazie all’altro riuscire realmente a vedere le proprie abitudini, le proprie emozioni, anche le proprie violenze, ciò che l’istintività bestiale degli uomini non riesce tanto a contenere . Le meravigliose musiche di Arturo Annecchino cercano di alleggerire tutto ciò, non è un’opera pesante, bensì passa attraverso leggerezze e si precipita verso tensioni e crudeltà. Quindi i linguaggi continuano a essere presenti, e si alternano un linguaggio più alto e uno più basso, ciò che riguarda il cielo e ciò che riguarda la terra, ciò che riguarda una purezza e ciò che riguarda una virtù negata, anzi la volgarità quasi . Tutto questo secondo me è molto vicino alla dimensione contemporanea, come tutti i classici che sanno essere costantemente contemporanei e contemporaneamente si rinnovano, proprio per questo abbiamo scelto di intraprendere anche una via di nuova traduzione”.

piazza2Sei rimasto fedele all’opera di Shakespeare? In quali termini e prospettive ha attuato questo riadattamento?
“Sono rimasto fedele a Shakespeare, ho fatto soltanto dei tagli e ho ridotto gli attori da 17-18 a 12 , eliminando alcuni minori personaggi minori, però ho fatto ad esempio un inglobamento se così si può dire: il personaggio del boia l’ho incluso in quello di Pompeo. Pompeo doveva diventare il suo assistente, invece io lo faccio diventare proprio il suo sostituto , perché il boia in questo momento è malato e non c’è, allora anche in basso nelle carceri, come in alto c’è stato il vicario sostituto del Duca , c’è il sostituto. “MisuraXMisura” è una delle pièce più cariche di indicazioni bibliche, come dice il titolo stesso, ed è un una’ occasione per guardare a che punto siamo. Ho fatto poi piccoli adattamenti minimi, ad esempio Madame Oberdan l’abbiamo chiamata semplicemente Madame ‘O ,un riferimento kleistiano, però anche di questa “O” che è la grande “O” del Globe. È una ruffiana, una prostituta che interpreta la virtù al contrario, è come se fosse la regina dei bordelli, se fosse qualcosa che parla della filosofia del bordello, del che cosa vuol dire vendere il proprio corpo. Allora ho inserito una citazione da Klossowski , dal testo “Moneta vivente”, in cui parla dello scambio dei corpi dal punto di vista del capitalismo.

Dal punto di vista registico come hai cercato di mettere in scena questa tragicommedia, tra ironia e leggerezza? Hai accentuato più l’aspetto ironico o quello tragico?
“Sicuramente quello ironico, quello di una crudeltà che sa far anche divertire proprio perché è così crudele, e lo fa con nulla. Infatti in maniera shakespeariana abbiamo solo un luogo neutro, con delle quinte e un fondale che può illuminarsi. Siamo in una condizione molto vicina a quella del Globe, cioè lasciamo che l’immaginazione crei ciò che la parola di Shakespeare dice. Abbiamo eliminato nell’adattamento anche i riferimenti alla città di Vienna, ossia i riferimenti sono a un luogo che può essere ogni luogo , che può essere ovunque e da sempre, anzi forse qualcosa che può essere addirittura proiettato nel futuro.

Il cast è numeroso e molto valico, con numerosi giovani attori. Che valore può avere secondo te per un pubblico giovane uno spettacolo come questo che ha al centro l’uomo con le sue contraddizioni?
“Secondo me i giovani si divertono, colgono l’aspetto bislacco, un po’ più paradossale del testo. Questa estate quando abbiamo debuttato a Segesta, c’erano ragazzi a cui era piaciuto molto e c’erano anche dei bambini che si appassionavano alla storia, che ne prendevano parte, perché in qualche modo si crea una sorta di spy story e si desidera sapere come va a finire. Ad un certo punto c’era il Duca che doveva dire che il fratello di Isabella era morto e un bambino ha urlato “non è vero, è nascosto”.

È una pièce che lascia comunque un barlume di speranza.piazza3
“Il finale è un happy and un po’ amaro sotto certi aspetti, perché queste coppie che si rimettono insieme, non si capisce più dal punto di vista affettivo che tipo di rapporto possano avere . Nel quinto atto si entra veramente nella recita, è come se ci fosse al quadrato, ed è lì che la misura si specchia con se stessa, il teatro e quella x in cui la misura da parte del pubblico è quella soglia che permette di specchiarsi. Abbiamo cercato con semplicità di mezzi e relazioni di entrare nella complessità dello spettacolo e renderlo in qualche modo godibile.”

Si tratta quindi di un esempio di teatro classico per affrontare il presente. Per te che nella tua carriera ti sei spesso occupato di drammaturgia contemporanea, com’è stato cimentarsi con un classico?
“Ho avuto spesso modo di lavorare con i musicisti e i grandi musicisti di musica contemporanea sono dei grandi strumentisti di musica barocca, le strutture della contemporaneità hanno a che fare con archetipi classici. Per cui rielaborare ed entrare nella vibrazione della parola shakespeariana, cercando di mantenere il verso, di tenere presente una ritmica, una danza dei corpi, è molto vicino in realtà a una contemporaneità. Non c’è classicità, il modo è quello di confrontarsi con ciò che appare e ciò che è. E questo riguarda sia la contemporaneità, che la classicità”.

Sei anche interprete. Che approccio hai avuto invece dal punto di vista attoriale?
“Questa estate interpretavo il Duca, adesso invece sono Angelo, la vittima che il Duca elegge e che mette sotto osservazione in questo suo grande esperimento alchemico, che crea i presupposti affinché il calore suscitato dall’attrito emozionale affettivo che questo Angelo ha, offra la possibilità di sciogliere gli elementi, quindi di ricrearli e trasformarli in qualcosa di nuovo”.

Maresa Palmacci 04/12/2016

Foto di scena: Achille Le Pera

Il dubbio, le croci, Cohen: Recensito incontra Alessio Bonomo

La sua ultima idea ha preso piede da qualche settimana in un piccolo locale del Pigneto, il Club55. Conversazioni in musica "A lume di candela", che privilegiano un ascolto attento e si adagiano su toni confidenziali. Alessio Bonomo è un autore originale, che ha iniziato la sua avventura più di 15 anni fa a Sanremo. Dopo aver assistito alla sua apertura di rassegna il 30 ottobre scorso, abbiamo deciso di incontrarlo per farci raccontare il suo elogio del dubbio, le sue croci, le sue canzoni.

“La nostra ragione non può assolutamente trovare il vero se non dubitando”, si legge in un passo dello Zibaldone di Leopardi. Sembra che anche tu metta in piedi una specie di elogio del dubbio in “Gli uomini camminarono sulla luna”. È così?
"Sì. Credo che dubitare e cercare di ragionare con la propria testa sulle cose sia l'unica strada che ci può consentire, se non di coglierla, almeno di avvicinarci alla verità. Soprattutto in un mondo come quello di oggi dove la comunicazione è diventata talmente centrale e potente da essere spesso capace di sostituirsi alla realtà."

“Con affetto, un amico”: un mese fa al Club55 abbiamo riapprezzato la tua versione di "Famous blue rancoat", l’ultima con Leonard Cohen ancora in vita. Cosa significava per te Cohen e quanta importanza avrà per te d’ora in poi cantare quella canzone?
"Cohen l'ho sempre vissuto come un esempio di integrità. Un artista che nonostante il grande succeso ha sempre dato la sensazione di essere rimasto fedele ai motivi per i quali ha cominciato a scrivere. Continuare a cantare quella canzone dopo la sua scomparsa, sarà per me, come prima e forse più di prima, una bella emozione."

Prima di Cohen hai tradotto anche Dylan in “La ragazza del nord”. De André diceva che era un bene tradurre colleghi di altre lingue, perché ci si esercitava e al tempo stesso ci si dimostrava umili nel diffondere poesia straniera. L’importante, per De André, era però non tanto tradurre letteralmente ma entrare il più possibile nello spirito della canzone. È stato così anche per te?
"Per me 'tradurre' signafica provare a restituire, attraverso il mio linguaggio, l'emozione che la canzone originale mi ha dato. Concordo con De André sul fatto che le traduzioni strettamente letterarie non abbiano molto senso."

Oltre a Dylan e Cohen, hai altri modelli a cui ti ispiri?
"Più che da modelli direi che mi lascio ispirare da tutto ciò che mi trasmette sensazioni profonde: una canzone, un libro, una scena vista per strada."

Che cos’è Rapsodica?
"In senso tecnico è un'associazione culturale. In senso più ampio mi verrebbe da dire che è l'aspirazione di cinque visionari che attraverso l'unione delle forze provano a rendere un pò più bello ed etico il mondo della musica e dello spettacolo."

Che ruolo gioca la rabbia nelle tue canzoni?
"Il ruolo che gioca la rabbia nelle mie canzoni è quello di essere trascesa."

Charlotte è la donna di cui si innamora il giovane Werther. Nell’opera di Goethe è soprannominata Lotte, curioso nomen omen italiano che forse può aprirsi al senso della tua canzone. Chi è la tua Charlotte?
"La mia Charlotte è una nipotina. Scrissi quella canzone quasi per gioco e inizialmente per un uso privato. È l'augurio fatto ad una bambina di rimanere pura, di non farsi contaminare troppo dal mondo che crescendo incontrerà. Caratteristiche umane, e in questo c'è un'analogia, che anche Goethe attribuiva alla sua Charlotte."

Che rapporto hai con la letteratura?
"Quello con la letteratura oggi è un rapporto molto istintivo, non seguo da vicino la sua evoluzione ma quando incontro qualcosa che mi colpisce, approfondisco e magari per un pò mi interesso solo a quello."

Un disco nel 2001 e uno nel 2014. Nel frattempo, però, oltre a tanti altri progetti hai firmato testi e musiche per lo spettacolo di Alessandro Haber “Haber bacia tutti”. Che esperienza è stata?
"Haber bacia tutti era un vero e proprio disco di canzoni, non uno spettacolo. Scriverlo e realizzarlo è stata un'esperienza molto forte e in qualche modo sorprendente. Per scrivere ho cercato di guardare il mondo attraverso gli occhi di Haber, e questo mi ha consentito di cogliere molte cose da prospettive nuove che non avrei conosciuto altrimenti. Sono molto legato a quel progetto e mi auguro che prima o poi venga riscoperto."

“Ognuno ha le sue croci”. Che croce si porta Alessio Bonomo?
"Le croci sono come gli esami di Eduardo, non finiscono mai. Io non ne ho una in particolare, come tutti ne ho diverse ma fino ad oggi, toccando ferro, posso dire di essere riuscito a reggerle tutte."

Daniele Sidonio 1/12/2016

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