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Katia Ippaso: “Con Hikikomori parlo di bullismo e di inadeguatezza”

Katia Ippaso, da cosa è nato l’interesse per il Giappone?
“Innanzitutto ho capito che scrivo solo quando mi muovo o quando sono immersa in un moto di idee che mi conduce da qualche altra parte: è successo con libri, saggi e reportage che mi hanno portato ad esempio a Gerusalemme o in Cile. Mi è successo col mio unico romanzo, ambientato a New York, una città dove tanti anni fa ho vissuto per un anno e che ho raccontato per come l’ho conosciuta. La scrittura si lega in me spesso al movimento di spazio, funziona così. L’idea di scrivere una trilogia sul Giappone (composta da “Hikikomori”, “Doll is mine” e “Evaporati”) è nata prima come suggestione letteraria, perché amo la letteratura giapponese e ho incontrato una figura che veniva da un racconto di Banana Yoshimoto che poi sviluppandosi ha dato vita al personaggio di Shori, protagonista di Doll is mine, uno dei movimenti della mia trilogia.
Col tempo, avvicinandomi alla loro cultura, ho notato che i giapponesi danno un nome a ogni cosa e visualizzano attraverso i nomi i passaggi fondamentali dell’esistenza. A un certo punto è arrivato anche un viaggio in Giappone, sono stata lì poco meno di un mese, sono tornata e mi sono venute delle idee che ho deciso di sviluppare.
Poi ho capito che volevo scrivere delle tragedie greche contemporanee e che potevano essere ambientate in Giappone in quanto scenario insulare, con il fascino proprio di quei luoghi chiusi ma in verità molto evoluti. Dal Giappone arrivano segni di antichità e di modernità al contempo, ed è molto interessante”.

Di cosa parlano i tre movimenti della tua trilogia?ippaso
Hikikomori è l’unico testo della trilogia che ho scritto con un altro autore.
Doll is mine parla di una ragazza che vive in una delle cosiddette “case del sonno” (in cui giovani ragazze entrano in contatto con sconosciuti procurando loro diletto facendo ricorso al sonno). Credo che la tragedia della notte la viviamo tutti e sono molto attenta e interessata ai fenomeni di intermittenza sonno-veglia.
Evaporati è invece una tragedia di padri, ambientata in Giappone ma che in realtà potrebbe avere luogo ai confini del mondo. Racconto di un uomo a capo di una società di evaporazione e un aspirante evaporato. In Giappone esistono società clandestine di evaporazione che sono state inventate dopo la grande crisi economica degli anni ’90 per dare possibilità a uomini che sono caduti, hanno perso il lavoro o si sono spenti di rifarsi un’identità da evaporati. Come a dire che “abbiamo problemi esistenziali e sociali” e loro sono in grado di trovare forme rituali e concrete che diano conto di questi bisogni. Si tratta di soluzioni immaginifiche: in questo senso il Giappone è un paese che offre notevoli spunti dal punto di vista dell’immaginario”.

E Hikikomori?
“L’ho scritto nel 2011, è il primo movimento della mia trilogia. L’ho scritto con Marco, siamo amici da tanti anni e ci siamo trovati più volte a parlare di queste storie. Lui ha una grandissima cultura giapponese, è un notevole cultore di manga. È stata una bella avventura, io mi sono più concentrata sul rapporto madre-figlio, lui sul rapporto col nonno”.

Che radici ha il fenomeno dei ragazzi che si auto-emarginano nelle proprie stanze, senza più avere contatti con l’esterno? C’è una correlazione con le rigidità della società giapponese?
“In Giappone sono radicati dei formulari precisi e un forte senso dell’onore. Se il maschio cade, il disonore è grande sia per i padri che per i figli. In verità, seppur in forme più larvali e più nascoste dietro libertà che sono più che altro esibite, anche la nostra società occidentale riserva queste sorprese, magari in forma più nascosta e legate a fenomeni più periferici. Il Giappone mi ha dato maggior libertà immaginifica, ma con questo testo volevo dire che in fondo le abbiamo in casa nostra queste insidie. Sono addirittura tentata dall’eliminare il riferimento al Giappone, perché in fondo sono disagi molto diffusi, anche in Italia. Magari l’uomo non si ammazza se perde il lavoro, ma molti ragazzi vittime di bullismo si sono tolti la vita. A mio parere, il fenomeno dell’hikikomori ha molta attinenza col dilagare del bullismo. Questi ragazzi che si ritirano dalla scuola e dalla società hanno in larga parte subito attacchi di bullismo e hanno un profondo senso di vergogna radicato dentro. In questa tragedia volevo parlare più che altro di bullismo, della sopraffazione sui più vulnerabili e delle complicità anche inconsce che un genitore può avere rispetto a un sistema repressivo.

02HikikomoriCome valuti il ruolo del computer e dei social network in questo disagio dilagante?
“I ragazzi che si chiudono nelle loro stanze hanno subito qualcosa per cui non si sentono all’altezza e vivono la loro condizione di diversi con sofferenza. Il computer in questo può essere un amico. Col mio testo non ho però voluto dare giudizi, ma problematizzare. Basti pensare che perfino Lucio Dalla mi raccontò a 60 anni di aver vissuto mesi di alienazione davanti ai videogiochi. Non mi permetto di giudicare l’abuso del computer perché ritengo che le patologie o le alienazioni ci raccontino meglio di tanti fenomeni lineari e della cosiddetta “normalità”: ci raccontano dei bisogni, dell’umanità vera. Questi ragazzi sentono di essere inadeguati, di non farcela, che c’è qualcuno che si aspetta qualcosa da loro e così, schiacciati da questo senso di responsabilità, i più fragili finiscono per inciampare. Spesso mi sento così, sembrerà incredibile ma Hikikomori l’ho lavorato sentendomi io stessa come il Ragazzo, lavorando sulle mie zone di fragilità. Capita di sentirsi espulsi, messi da parte e può succedere a ogni età”.

Parlaci della Madre, interpretata da Luisa Marzotto.
“La Madre presenta una vasta gamma di emozioni, è sia vittima che carnefice e la sua complessità raffigura al meglio i movimenti drammaturgici, che sono stati studiati in risonanza con alcuni momenti precisi del testo, per cui si avvertono continui capovolgimenti. Lei è sia il corpo sacrificale che il punto di riferimento per il Figlio. Vive anche lei una profonda tragedia, che tenta di risolvere attraverso gesti e pratiche ossessive come i lavacri o la continua offerta di cibo, utile a riempire i buchi dell’anima. Simbolicamente, il Figlio lo rifiuta ma costringe la Madre a mangiarlo”.

Simone Carella 21/12/2016

Recensione di Hikikomori: https://www.recensito.net/teatro/hikikomori-la-tragedia-dell%E2%80%99isolamento-e-le-colpe-dei-padri.html 

Coop il supermercato del Futuro

Da Expo Milano 2015 al Bicocca Village, da prototipo sviluppato insieme alla Carlo Ratti & Associati in cui sperimentare la spesa di domani a realtà quotidiana. Il nuovo supermercato del futuro, progettato da Coop, apre i battenti a poco più di un anno di distanza dal “Future Food District” e sarà un vero e proprio laboratorio dove innestare via via esperienze innovative. Il nuovo centro è frutto della collaborazione fra Coop Italia, Coop Lombardia e Consorzio Nord Ovest. Il progetto, che riprende alcuni elementi del concept elaborato da Carlo Ratti, è firmato da Inres, il Consorzio di Progettazione del movimento cooperativo, è stato realizzato con la collaborazione di Accenture per la parte tecnologica e di Studio FM Milano per il progetto di identità visiva ed è basato su tecnologia cloud, IoT e di riconoscimento gestuale di Microsoft.

Circa 1000 metri quadri di superficie di vendita, 6000 prodotti con molto take away e freschi e freschissimi (ortofrutta, carni e pesce), il ritorno dopo la sperimentazione in Expo dei tavoli interattivi, che richiamano i banchi del mercato, con l’elemento tecnologico delle vele che attraverso 54 monitor sono in grado di presentare un’“etichetta aumentata” dei prodotti. Il semplice gesto della mano verso il prodotto consentirà di ottenere sugli schermi indicazioni che vanno al di là di quanto riportato sul packaging in etichetta, con informazioni su origine delle materie prime, istruzioni per lo smaltimento e promozioni in corso. Ai tavoli interattivi si aggiungono 46 totem-touch dotati di scanner per visualizzare le informazioni di tutti i prodotti in vendita, indipendentemente dalla loro collocazione, in linea con le esigenze di un consumatore sempre più avveduto e consapevole.

“Fin da Expo 2015 avevamo scommesso sulla trasparenza e sull’innovazione come modalità attrattive per i consumatori di oggi e di domani – spiega Marco Pedroni, Presidente di Coop Italia - Il passo successivo che compiamo con questa apertura a Milano è rendere ciò che faceva parte di un’esperienza eccezionale un fatto quotidiano, usuale. Pensiamo di essere in linea con ciò che gli italiani chiedono sempre di più a un punto vendita; certo convenienza e assortimento, ma anche un’esperienza di acquisto completa, veloce e con modalità nuove ma in linea con i valori di sicurezza e trasparenza di Coop”. Tra le caratteristiche dei consumatori italiani del 2016 spicca infatti una grande voglia di sperimentazione che premia chi nell’offerta propone novità: i punti vendita considerati innovativi hanno registrato una performance superiore di 8 volte alla media del mercato (dati RapportoCoop 2016). E il supermercato del futuro milanese si innesta all’interno di un percorso di Coop di sperimentazione di diversi modelli di vendita a seconda dei contesti di insediamento: appena un anno fa l’apertura a Torino del format “Fiorfood” dove l’eccellenza gastronomica si fonde con l’offerta di prodotti a marchio Coop, mentre a Firenze si prosegue sulla scia del punto vendita di Novoli (inaugurato 3 anni fa), più mercato locale che supermercato.

Nel Supermercato Coop di Bicocca verrà riproposta l’esperienza di Expo con il grande DataViz posto all’estremità opposta rispetto alla barriera casse: quasi 20 metri di lunghezza coperti da 54 monitor, che nel corso del tempo rappresenterà in tempo reale i dati raccolti all’interno del punto vendita (i prodotti con cui stanno interagendo i consumatori, la hit-list dei prodotti più venduti), ma anche dati e contenuti provenienti dalla community Coop. Nei primi giorni il videowall sarà utilizzato per proiettare contenuti visivi legati ai valori di Coop: sicurezza, eticità, convenienza.

Il supermercato del futuro vive in continuità con lo spazio ristorazione “Fiorfood Cibo & Incontri” e tra i servizi gratuiti offerti il “Coop Drive” che dà la possibilità di ordinare la spesa on line (http://www.coopdrive.it/) e ritirarla dopo 2 ore in negozio nell’area dedicata al parcheggio senza scendere dalla propria auto: una forma particolare di e-commerce. Inoltre, come già avviene in tutti gli altri negozi di Coop Lombardia, sarà possibile ritirare gratuitamente migliaia di prodotti di non alimentari ordinati online (http://www.cooponline.it/), pagandoli anche al momento del ritiro.

“Per Coop Lombardia è il 56esimo punto vendita ma è chiaro che per noi è una sfida che raccogliamo, forti del successo di Expo 2015 – sostiene Daniele Ferrè Presidente Coop Lombardia- Traghettiamo un protototipo nato in un contesto eccezionale in un supermercato che dovrà soddisfare esigenze quotidiane. Tra l’altro siamo in un contesto urbano particolare come il Bicocca Village dove centri direzionali importanti si fondono con una grande offerta di intrattenimento e tempo libero. Crediamo che questo sia il contesto migliore per rendere ordinaria ciò che non possiamo che considerare comunque un’evoluzione della shopping experience e rivendichiamo con orgoglio l’unicità di questo modello di vendita”.

Anish Kapoor al MACRO di Roma e l’immobilismo delle “arti-star”

Nonostante per molti possa suonare come il nome di una pietanza indiana, Anish Kapoor è un artista quotatissimo sul mercato e affiancabile alle grandi menti della “pensierosa” arte contemporanea. A distanza di oltre dieci anni l’artista torna a Roma con una mostra di dimensioni sbalorditive che lo ha impegnato un anno nel concepimento e nella realizzazione di questo allestimento. Invitato a produrre nella fucina del MACRO, Kapoor al fianco del curatore Mario Codognato, dà vita a questi grumosi lavori che sfruttano la materia artificiale del silicone per riprodurre quella organica di una carne sanguinolenta ancora palpitante nel vivido rossore del sangue. La 01AnishKapoormostra sarà visitabile fino al 17 aprile 2017 ed è sponsorizzata e supportata da BNL.

Di origini indiane naturalizzato inglese, Kapoor lo si ricorda per Widow, l’enorme struttura conica nera incurvata che si apre su due lati comunicanti e che attraversa metà del primo corridoio all’entrata delle sale espositive del MAXXI. Opere di simili suggestioni non mancano a imbastire l’enorme salone del Macro, come le superfici specchiate concave e convesse che ne hanno marcato a lungo il successo e la sua impronta identitaria. Oltre a ospitare questo repertorio, riporta gli Internal Objects in Three Parts (2013-2015) trittico che lo ha ispirato per le sue nuove creature dato che ne recupera quasi gli stessi elementi.
L’idea di far emergere dai supporti verticali e artificiali del muro come della tela, una dimensione informe e organica, è la stessa che lega molto il concetto di emersione di un’idea così come viene, spontaneamente. Kapoor - tra le tante affermazioni fatte in conferenza stampa - dopo questo lavoro sembra essere giunto alla consapevolezza che per un artista la preoccupazione di dare significato all’opera non dev’esserci [the artist shouldn’t worry about the meaning of his work], aprendo al cospetto di ciò che debba essere o meno considerata arte una serie di riflessioni molto provocatorie. Le influenze di grandi artisti del passato sono numerose come ci elenca Codognato nel testo che presenta il suo lavoro: dalla carne 02AnishKapooraperta di Rembrandt allo sfregio della tela di Fontana, dall’informe organico di Bacon fino alle "ustioni" di Burri. Ci aggiungiamo noi quelle cinematografiche di un genio come David Cronenberg, o restando nell’ambito prettamente artistico, il realismo violento e provocatorio del sangue di Herman Nitsch; solo per fare due nomi che appartengono almeno a un contesto più "contemporaneo" e vicino al nostro artista.
L’apprezzabile idea dell’utilizzo del silicone per riprodurre la sostanza di una carne che non può putrefarsi o ricomporsi in qualcosa di identificabile; il richiamo a un materiale che si unisce sempre di più al corpo umano con le sue protesi; la pretesa di stillare sangue e al tempo stesso provocare simultaneamente sensazioni affascinanti di morte e di sesso costituiscono le suggestioni che immergono lo spettatore in queste grandi opere. L’insieme costituisce una collezione di stile e bellezza: c’è armonia nella composizione di opere tanto brutali e carnali e allo stesso tempo una paradossale freddezza. Nel complesso però non rimane la soddisfazione di trovarvi in Kapoor un ulteriore passo avanti, ma piuttosto un atteggiamento molto reazionario rispetto alle opere passate, mostrandosi quindi, oltre i convenzionalismi delle nuove opere, come un’esposizione da retrospettiva.

Come si identifica un personaggio del calibro di Anish Kapoor nel contesto artistico odierno.

Kapoor in conferenza ha affermato di non aver paura del fallimento. Dice che questo dovrebbe convivere con la natura dell’artista. Il margine del fallimento però è anche così labile che a volte, invece, non ci si accorge di averlo oltrepassato. Seppur sforzandoci nella ricerca di un significato solipsistico, didi-hubermaniano e superiore, il problema delle “arti-star” sta proprio 03AnishKapoornella loro letterale indifferenza e alterità rispetto al contesto artistico che li circonda. Un atteggiamento di cui ormai da molto tempo si è identificato l’ambiente “alto” dell’arte contemporanea. Non basta poterselo permettere tanto più per il fatto che diventa un’arte di repertorio che non sa più cosa dire e a quanto pare non ne sente persino il bisogno. Tale attacco non è strettamente rivolto ad Anish Kapoor, ma al tipo di arte che rappresenta.
Nonostante tale ragionamento possa sembrare sfrontato e ingenuo, questo deriva dal fatto che l’impalcatura speculativa e politica che sostiene archi-star e arti-star sta vacillando sempre di più, ed è importante parlarne. A maggior ragione in un periodo di crisi dove a emergere in un contesto come il Macro dovrebbe essere un’arte molto più aperta al rispetto di uno spettatore comune (e stiamo parlando di una struttura che tra le grandi realtà artistiche della capitale resta tra le più eterogenee e stimolanti) e non esclusivamente al pubblico di settore e alla figura dell’ ”operatore culturale”. Sennò continuiamo a prendere in giro l’arte perché o è mediocre o non la capiamo. E continueremo a vedere sugli scaffali ridicoli libri che titolano “l’arte spiegata ai truzzi” perché a quanto pare è troppo complessa per la gente comune, mentre più semplicemente è inciampata da tempo sulle sue stesse alterazioni. Tanto vale allora continuare a farci prendere in giro - ma almeno in maniera brillante - da un Cattelan.

Emanuela Platania 18/12/2016

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