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Mea maxima culpa: “The Night Manager” e i nervi scoperti del mondo occidentale

Ricordate il 2011? Era solo quattro anni fa e fa quasi ridere pensare quanto siamo stati ingenui. “Siamo stati”, noi europei, noi occidentali. La caduta di Mubarak in Egitto, l’inizio della “Primavera Araba”: una nuova alba per il Medio Oriente, una nuova era per il mondo. Era così che la vedevamo. Era così che la vedevano in Egitto quelle centinaia di migliaia di manifestanti in Piazza Tamir, mentre festeggiavano la fine di una dittatura trentennale.
Difficile credere quanto ci siamo illusi. E la cosa peggiore è quella voce, dentro la nostra testa, impossibile da arginare, che continua a ripeterci: è colpa tua. È colpa nostra.
Jonathan Pine quella voce la sente continuamente. La sente perché è un soldato, perché in Iraq, dove ha prestato servizio, pensava che il suo dovere di membro dell’esercito di Sua Maestà fosse quello di proteggere i civili. Ora Jonathan fa il direttore notturno in un grande albergo de Il Cairo e sembra che il suo compito non sia cambiato. Non è stato lui a scegliere quel lavoro, ma “il lavoro ha scelto lui”. E quello del “Night Manager” in un posto come Il Cairo può essere un mestiere pericoloso, specie se ti imbatti in una donna che ti consegna una lista di armi che una ricca famiglia egiziana, corrotta e potente, ha acquistato da un noto imprenditore occidentale, Richard Roper. Kalashnikov, napalm, mortai. Armi che di lì a qualche anno avrebbero affogato nel sangue quella tenue speranza di libertà.
“The Night Manager” è una nuova miniserie britannica-statunitense, nata dalla collaborazione tra l’inglese BBC1 e l’americana AMC. La serie schiera un cast stellare (Tom Hiddlestone e Hugh Laurie nei ruoli dei protagonisti) per portare sul piccolo schermo l’adattamento di un romanzo di John Le Carrè, “Il direttore di notte”, uscito nel 1993. In Italia la serie ha debuttato lo scorso 20 aprile e per il momento sono disponibili i primi due episodi, un’ottima introduzione che ha mostrato tutte le potenzialità del prodotto.
La serie tocca un nervo scoperto, mettendoci di fronte a una realtà che tutti conosciamo ma che rifiutiamo di affrontare. È la storia più antica del mondo: per scoprire la fonte di tutti i mali, segui sempre i soldi. E i soldi portano a quei nomi di uomini intoccabili, che hanno fatto la loro fortuna con il sangue di innocenti. Il tutto con il nostro tacito consenso mascherato da ignoranza. Ma se c’è un uomo che può redimerci tutti, quello è Jonathan Pine: sconvolto da ciò che ha visto in guerra e dalla perdita di una donna, con una personalità frammentata dalla rabbia e dall’impotenza, Jonathan accetta un incarico che lo condurrà nel lato più oscuro di sé stesso e del mondo, nell’unico modo possibile: infiltrandosi nell’organizzazione criminale di Roper, guadagnandosi la sua fiducia per riuscire, finalmente, a incastrarlo. Il tutto, ovviamente, cercando di non perdere sé stesso lungo la strada.
Dal sapore tipicamente britannico della spy-story, con riferimenti neanche troppo velati alla saga di James Bond (il numero di Angela Burr, contatto di Pine a Londra, è una combinazione di 0 e 7, per fare un esempio), “The Night Manager” ha affrontato magistralmente l’introduzione ai personaggi, molto complessi e difficili da gestire, considerando che la storia si svilupperà lungo soli sei episodi. Il merito è senza dubbio delle ottime interpretazioni di Hiddlestone (“The Avengers”, “Only Lovers Left Alive”) e Laurie (più noto in televisione come “Dr. House”), ma anche della sceneggiatura asciutta e potente di David Farr e della regia senza fronzoli di Susanne Bier. A questo si unisce una struttura molto azzardata ma efficace, che ha fatto dei salti temporali il suo marchio di fabbrica, almeno in questi primi due episodi.
Ma ciò che colpisce di più della miniserie è il suo tema portante, tanto potente da apparire quasi banale. Jonathan Pine è un uomo che non si arrende davanti alle ingiustizie del mondo, che offre sé stesso mosso da un’umanità che ci appare ingenua, quasi stupida. Come gli ricorda la stessa Angela Burr (interpretata da Olivia Colman, già nota al pubblico per “Broadchurch”), “nessuno lo avrebbe fatto”. Forse perché nessuno è abbastanza umano, forse perché siamo attanagliati dalla paura. Jonathan Pine è un custode, un uomo che veglia il nostro sonno mettendo in pericolo la sua stessa vita, mosso da un senso di colpa profondo, da una vergogna che lo tiene sveglio la notte. Può un uomo solo sacrificarsi per sconfiggere ogni male del mondo? Lo scopriremo su Sky Atlantic, dove già il prossimo 4 maggio andrà in onda il terzo episodio.

Giuseppe Cassarà 01/05/2016

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