Questo sito utilizza cookie per migliorare la tua esperienza di navigazione e rispetta la tua privacy in ottemperanza al Regolamento UE 2016/679 (GDPR)

                                                                                                             

“Il nostro Eduardo”: il teatro di De Filippo come memoria dal respiro che si esaurisce al dissolversi della presenza

Dove iniziare un discorso su Eduardo De Filippo se non intorno ad un tavolo imbandito e ricolmo di gustose pietanze di cui si recita, come se fosse un sonetto, la ricetta? La convivialità della famiglia De Filippo è, in ordine d’apparizione, la prima indiscussa protagonista del lavoro di Didi Gnocchi e Michele Mally, Il nostro Eduardo, che poco aggiunge al genere in sé ma che si erge nell’intimità di uno sguardo attento e rispettoso, chiedendo ausilio sia alle fonti scritte che orali. Foto, filmati, lettere e ricordi dànno più chiarezza e tono al ritratto del drammaturgo napoletano, ancora pregno di zone d’ombra. Nell’alternanza tra materiali d’archivio e testimonianze il montaggio trova una sua non tanto originale quanto più didascalica ragion d’essere. I flashback cercano di entrare in profondità nelle contraddizioni di una vita artistica, se non di un’epoca, ma è con una ricetta culinaria ed i suoi odori che la narrazione prende un altro passo. È il ragù secondo Eduardo, quello di Sabato, domenica e lunedì (commedia in tre atti del 1959 poi pensata in due puntate per la TV fino ad arrivare al Cinema sotto l’occhio autentico di Lina Wertmüller), con tutti gli odori, la consistenza, la sfumatura a fuoco lento, l’assaggio fino al piatto freddo, passata la sacra festività domenicale. La portata sentimentale di una vita tra le righe di una ricetta. È con il ragù che tutto comincia e si conclude.

Da un soggetto di Didi Gnocchi, la sceneggiatura di quest’ultima, Tommaso De Filippo, Maria Procino e Matteo Moneta e la regia di Didi Gnocchi e Michele Mally che il progetto prende vita. I nipoti Matteo, Tommaso e Luisa, i figli del figlio Luca, scomparso nel 2015. Poi la storia personale e artistica di Eduardo si dipana. La nascita da figlio illegittimo di un altro celebre attore (come Peppino e Titina), Eduardo Scarpetta, l’erede di Antonio Petito e quindi della tradizione napoletana tutta. È dalla compagnia di Vincenzo Scarpetta che tutto comincia fino al difficile rapporto con il fratello Peppino e la vicinanza dell’adorata sorella Titina, fin dai tempi della compagnia “Teatro Umoristico I De Filippo”; il coronamento di amori e le tre mogli, Dorothy Pennington, Thea Prandi, Isabella Quarantotti. Il susseguirsi dei successi, i sogni, come quello di creare un teatro stabile d’arte a Napoli, la continua entrata ed uscita dal Cinema per pagare i debiti contratti e sostenere il suo teatro, il San Ferdinando, la maturità raggiunta dalle opere. È la centralità della famiglia a solcare, fin dagli esordi, una mai interrotta trance de vie: dall’eredità accolta dal figlio Luca, che debutta al suo fianco piccolissimo e che continuerà la tradizione attoriale di famiglia, la prematura scomparsa della figlia Luisella, gli intrecci familiari, gli abbandoni, i lutti.

L’ironia e l’emotività come grimaldello per accendere il senso critico delle persone e giungere ad una riflessione. Un attento osservatore della realtà, alla ricerca dell’ispirazione andando ad assistere ai processi della gente comune nel tribunale di Napoli. Il capocomico rigoroso, che chiedeva a tutti i membri della compagnia un impegno senza deroghe, fino ad apparire spietato nella sua severità. Il teatro come fede, etica disciplina di sguardo sul mondo. Il presepio come l’occasione di un teatro altro dove mettersi al riparo da ipocrisie e omologazioni della società e mantenere in vita l’onestà, un luogo dove c’è ancora un occhio di riguardo per la fragilità del prossimo e più cura per gli affetti. “L’uomo nasce vecchio per diventare giovane”, diceva. Volendo obiettare (non sia in collera con me, Maestro) direi che l’uomo nasce con il dono dell’innocenza mancando però d’esperienza; poi matura perdendo momentaneamente la prima ed inaridendosi con il raziocinio e la praticità della vita; invecchia, riacquisisce quell’innocenza ma con meno energie e memoria, elemento fondamentale per ricordare le esperienze. Una debacle. Ci sono mondi inconciliabili che si attraggono e si respingono, artisti che la vocazione comune unisce ma il genio individuale divide. E poi il successo che afferra abbaglia ed emargina, le strade che si sceglie di percorrere, le maschere da vivere ancora prima che da interpretare e le vite che si ha o non si ha la voglia di vivere. Eduardo era un satiro solitario, uomo in un tempo che non gli somigliava ma da cui non prendeva in maniera definitiva le distanze difendendosi con l’arma dell’ironia e del disincanto. “La realtà ha uno svantaggio quello di essere superata dall’arte” - diceva Flaiano - ed entrambi furono, come si dice, degli outsider. Un occhio critico, un’intelligenza raffinata per vedere oltre la superficie di quella marea montante che Pasolini definì sviluppo senza progresso. Un mondo di attori, comici, artisti e “facce toste” che ha condannato come legione straniera di indebiti appartenenti all’arte.

La curiosità come fucina della spontaneità e poi creazione delle commedie ispirandosi sempre alla vita. Complicarsi la vita, come gli diceva Carmelo Bene, e ridare a tutto ciò, con le battute e le trame, a partire da un (ri)corso dell’immaginario e della Storia, la dovuta attenzione, anche per ciò che lascia d’intentato il documentario. Allora, riapriamo insieme le opere, i documenti, le polemiche dell’epoca. Rileggere e approfondire. Non esisteva per lui l’incomunicabilità umana ma una difficoltà di comunicare. Un uomo in una permanente condizione di sottrazione fino a svuotarsi completamente, attorniato da un esterno che invade sempre più la sua interiorità, accerchiata dai problemi che l’essere umano non sa più affrontare e che, di riflesso, scappa, si disimpegna ed infine smarrisce. È il tempo di tornare al silenzio e all’ascolto, soprattutto di quella voce afona, risultato di varie condizioni vissute in quel mondo “effimero” che è il teatro, dove la memoria ha un respiro che spesso si esaurisce al dissolversi della presenza. La poeticità di un teatro che nasce a partire dall’embrione dialettale. La concretezza dalla lingua su corpi che divengono fantasmi, una volta calato il sipario. La voce data ai traumi del dopoguerra, come ultimo sforzo per giungere ad una società diversa fino al disincanto dei suoi personaggi, alla mancanza di volontà nel comunicare. Eduardo è il Novecento in quanto storia che si fa vita, secolare romanzo teatrale che prende posto accanto a Balzac e Zola. È in un suo celebre aforisma che dice: “Lo sforzo disperato che compie l’uomo nel tentativo di dare alla vita un qualsiasi significato è teatro”. Il teatro è un genere di vita, estremo tentativo di arrivare alla verità dell’esistenza.

Lorenzo Fedele 16/03/2023

Libro della settimana

Facebook

Formazione

Sentieri dell'arte

Digital COM