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Al Teatro Pasquale De Angelis una replica speciale de "La Foto del Carabiniere", di e con Claudio Boccaccini

«Tutto quello che io racconto questa sera è successo», avverte in premessa Claudio Boccaccini, che il 23 marzo ha offerto una replica speciale del suo spettacolo La Foto del Carabiniere nel Teatro Municipale Pasquale De Angelis a Roma. Ma la premessa (e promessa) di veridicità non è quella (ab)usata da tanta fiction contemporanea, perché questo monologo di quasi un’ora e mezza non narra di generici (e presunti) fatti “veri”, ma della vicenda personale del suo autore, regista e interprete. Dal 2013 ad oggi, infatti, Boccaccini (classe 1953) si confronta attraverso questo lavoro (replicato ormai oltre cento volte in giro per l’Italia) col ricordo del proprio genitore, Tarquinio: un uomo «insofferente a qualunque forma di comando o di omologazione» (antifascista durante il Ventennio, antiamericano dopo la Liberazione), ma anche uno dei ventidue sopravvissuti alla rappresaglia nazista del 23 settembre 1943, grazie al sacrificio del vicebrigadiere napoletano Salvo D’Acquisto. Ed è proprio quest’ultimo il carabiniere ritratto nella piccola foto custodita da Tarquinio: una foto che è l’occasione, per il giovanissimo Claudio del 1960, di avventurarsi in un dialogo tra padre e figlio, dove la Storia collettiva irrompe nella storia personale, mostrando come la seconda sia letteralmente (e drammaticamente) figlia della prima.

La Foto del Carabiniere è dunque, prima di tutto, la rappresentazione diretta e appassionata di una ricerca personale nel vissuto, tra pubblico e privato, di (almeno) tre esistenze, ciascuna delle quali debitrice dell’altra. Ma è anche il viaggio in un’Italia scomparsa, rievocata con ironia e sincera nostalgia da un adulto che a suo tempo l’ha vista con gli occhi di un bambino, residente in «via dell’Acqua Bullicante, pieno centro… di Torpignattara»: dove, nell’anno delle Olimpiadi a Roma, ancora non erano arrivati termosifoni, frigoriferi e scaldabagno, al mare si andava con indosso i costumi di spugna («Come fare il bagno con un accappatoio!») e, prima di buttare il pane, gli si dava un bacio. L’uomo di teatro di oggi investe in questo ritorno al paesaggio materiale e umano di ieri tutto il bagaglio della sua esperienza e concezione teatrale: a cominciare dalla propensione a contaminare comico e tragico, cultura (cosiddetta) alta e popolare. Attraverso la concretezza di aneddoti e situazioni da piccola commedia romana e familiare d'altri tempi si crea infatti il ponte di complicità col pubblico attraverso cui, in diversi momenti, passano tanto le citazioni letterarie (da Gogol’ a Cechov passando per Beckett) quanto i brani più dolorosi della vicenda.

Ma la fondamentale risorsa espressiva dell’autore-regista-interprete sta nella propria presenza fisica, paterna essa stessa nel calore affettuoso che dispensa al pubblico e nella tensione perenne con cui abbraccia i diversi toni e figure del monologo. E non potrebbe che coincidere con l’essenzialità di un corpo sul palco il cuore di uno spettacolo dove, dichiaratamente, i gesti contano più delle parole. È in gesti come quello «del brindisi» tra il papà Tarquinio e Salvo D’Acquisto che si condensano le qualità dei singoli personaggi e dei rapporti che li legano, oltre che i momenti più densi e memorabili della performance artistica. Una prova che, non a caso, ci sembra sia riassunta al massimo grado da un altro gesto, quello di accostare la piccola foto del padre al proprio volto di fronte allo specchio: per misurare le somiglianze, ma forse anche, tanti anni dopo, per riscoprire, trattenere e condividere ogni volta un’immagine del passato, una parte di chi si è stati e di chi si continua ad essere.

Emanuele Bucci

24-03-2019

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