LUCCA – “Tutti stanno cercando qualcosa, alcuni di loro vogliono usarti, alcuni di loro vogliono essere usati da te, alcuni di loro vogliono abusare di te, alcuni di loro vogliono essere abusati” (Eurythmics, “Sweet dreams”)
Ci sono degli spazi, periferici attorno alle grandi strutture consolidate dalle capienze e dagli alti numeri, che andrebbero meglio focalizzati nel discorso dell'arte e sull'arte regionale. Penso a luoghi come Spam di Roberto Castello a Porcari, a mondi come Il Grattacielo di Livorno, a incantesimi come Il Funaro di Pistoia. O bucolici e concreti come La Tenuta dello Scompiglio a Vorno, vicino Lucca che ha visioni lungimiranti, frontiere come un campo lungo cinematografico, respiro aperto sulla vallata dove è più facile creare e ospitare, dare casa e residenze, vedere germogliare prima semi e poi tramutarsi in frutti, un luogo dove la bellezza ti posa una mano sulla spalla rassicurando il futuro traballante. In questa manciata di mesi prima della chiusura dell'anno è esplosa l'ampia rassegna “Assemblaggi provvisori” con una serie sfaccettata di progetti che adesso vedono la luce, affiorano la testa, emergono dal dubbio e si fanno mostra.
Incuriosente è stato “Girlisagun”, tentativo d'indagine a capitoli e step di confronto e raccordo e rottura e ragionamento sul genere, sulle divisioni come sulle affinità fino alla sovrapposizione. Se scompaginiamo, dividiamo, spacchettiamo il titolo ci appare chiaro il verbo: “Girl is a gun”. Ma la ragazza e la pistola sono un affondo provocatorio, un lancio in mezzo allo stagno, un giavellotto scagliato nel silenzio. La compagnia AjaRiot-AlmaVenus ha distillato gocce di sensualità e sessualità, di erotismo e nudo sulla linea dialettica, a tratti morbosa altre pruriginosa altre ancora coraggiosa e liberatoria, della donna-vittima sessuale. “La felicità è benefica per il corpo, ma è il dolore che sviluppa i poteri della mente” (Marcel Proust).
Il “mettersi a nudo” (non esiste maschio e non esiste femmina) è la chiave per entrare, il perno che fa da appoggio al pensiero critico, che i corpi in sé non sono né volgari né pornografici, che il nudo non è provocatorio né scandalistico. E' l'intorno moralizzante che li rende, corpo e nudità, oggetti fuori dal reale, tabù da celare, parole da evitare con gincane e slalom cervellotici. Si susseguono, a gruppi, a grappoli, immagini e stralci dove ritualità e sacralità degli atti, di movimenti condivisi di corpi, ai quali donavano profondità degli intensi chiaroscuri, posture e mosse tra preghiera e iniziazione. L'aria che si inala ci porta, come Alice a tuffarsi nel buco nel bosco, dentro le monumentali fotografie dell'artista Spencer Tunick, ai suoi corpi accatastati e affastellati, uno sull'altro come legna da ardere, come fosse comuni, come insetti brulicanti, come un unico impasto su tela, senza differenziazioni, senza distinguo. Il nudo abbatte le barriere, il nudo è comunista, non esalta l'ego.
E ci sono confessioni dei quattro atletici performer condite dai numeri freddi che produce l'esistenza e l'anagrafe, numeri che danno un senso al tempo passato su questa Terra, esperienze, deplorevoli come meravigliose, che creano una biografia, il corpo che vive, si sfà, si forma, si frantuma e rinasce, che mette insieme l'anima, quel corpo invisibile fatto di credenze e certezze, di nostalgie e pensiero, di coscienza e soffio vitale. “Il corpo è un indumento sacro” (Martha Graham).
Un cellulare insegue e inchioda nudi che corrono e si rincorrono illuminati sfocati. Siamo pezzi di corpi assemblati, noi agli occhi degli altri, nella loro memoria e sogno, gli altri ai nostri occhi, prendiamo, sezioniamo. Il dolore diventa piacere, il piacere si muta in dolore, in quell'intercapedine balliamo la nostra danza tra perbenismo, religione e ricerca della soddisfazione personale, in punta di piedi ci muoviamo tra desideri repressi e autocensura. Il dado è tratto, il danno è tratto. Il testosterone ci muove, non dobbiamo incasellarlo. Non dominarlo, forse cavalcarlo. “L'anima aiuta il corpo e in certi momenti lo solleva. E' l'unico uccello che sostenga la propria gabbia” (Victor Hugo).
Tommaso Chimenti 15/09/2016
Foto: Alice Mollica, Emanuele Policante