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“Requiem for Pinocchio”: l’apologia della diversità

Quella di Pinocchio è una fiaba dal lieto fine ingannevole. “Requiem for Pinocchio”, ultimo spettacolo della “Trilogia dell’essere” (inizialmente ospitata al Teatro dell’Orologio), ricorda come il famoso e amatissimo burattino di Collodi sembrava aver realizzato il suo desiderio più grande: smettere di essere un burattino per diventare un bambino vero. Il bravo Pinocchio, sbagliando e imparando dai propri errori, era riuscito a non cadere nella tentazione di una vita sregolata, a evitare le cattive compagnie e a far battere il suo cuore di legno. Ascoltando i buoni consigli del Grillo Parlante e della Fata Turchina tutto pareva essersi concluso per il meglio. Ma adesso l’uomo-Pinocchio si trova sotto un minaccioso faro inquisitore, costretto a rispondere alle accuse di un tribunale riunitosi sul palco del Teatro India (che dopo la tristissima apposizione dei sigilli al Teatro dell’Orologio ha gentilmente ospitato sette degli spettacoli presentiRequiem2 nella sua programmazione).
Accuse ingiuste dal momento che lo stesso Pinocchio si dichiara innocente e, per di più, raggirato. A trasformarlo da imputato a difensore è Simone Perinelli, maglietta rossa e pinocchietto di jeans, esponendo un’arringa degna di Perry Mason. Definirlo solamente attore sarebbe troppo poco: Perinelli è un performer completo e versatile. Lo si comprende subito osservando il suo training fisico e vocale con il quale apre lo spettacolo. Corre, salta, batte i piedi e scalda la voce con risate birichine, catturando subito lo sguardo degli spettatori mentre questi stanno ancora prendendo posto in platea. Il suo è un teatro atletico, fatto di esercizi sopra una tavola di legno e saltelli alla corda, che parla attraverso un corpo nervoso e volutamente scoordinato. Voce, corpo e movimento: sono questi gli strumenti musicali di cui Perinelli si serve per suonare la sua musica e il suo teatro singolare, rifiutandosi di sottostare alle altrui etichette. Egli stesso è il mezzo necessario per gridare la sua protesta.
Il processo di Pinocchio è un processo, non tanto alla società in sé, ma alla sua omologazione. È una lode all’eccezione, un encomio alla straordinarietà. È un invito a non farsi ingannare dal piattume della massa, a essere diversi perché solo nell’elemento di distinzione si può trovare la vita vera. La difesa che il burattino espone in questo tribunale fuori dal tempo è il frutto di un’ars oratoria tutta musicale, quasi cantata, una poesia rap i cui toni sono modulati dalla cadenza e dagli intercalari toscani e dalla voce duttile di Perinelli. Requiem3Completamente solo sulla scena, in poco meno di un’ora, capovolge la fiaba di Collodi e la ripercorre analizzando punto per punto gli imbrogli di cui è stato vittima l’ingenuo burattino. La fatina “buonissima” si rivelerà, in realtà, una figura malsana e libidinosa; si scoprirà che la saggezza del Grillo altro non era che mera prudenza, mediocre coscienza borghese. Si comprenderà che quello che manca ai più è il rischio il coraggio di andare contro corrente e Pinocchio, fortunato e inconsapevole, è caduto del tranello tesogli della moltitudine: fargli sognare una libertà che già possedeva più di chiunque altro, cercare l’approvazione di tutti tranne che di se stesso. È ciò che accade sempre più spesso anche ai giovani. La paura di deludere un’entità superiore, di sfidare e di osare ciò che nessuna ha mai sfidato e osato, conduce a restare nel comodo e protetto guscio dell’uniformità, anche se il suo prezzo è una vita fatta di tappe obbligate, difficilissime da sfuggire, e di un precariato impossibile da evitare .
Pertanto Pinocchio chiede “...di tornare allo stato naturale delle cose chè, senza offender nessuno voler, da essere umano proprio non mi trovo. Poiché da burattin mai nessun mi disse che divenir bambin significasse crescere, diventare ometto, uomo, vecchio e poi morire. Ma la morte niente poi sarebbe, se non fosse che nel cammin di nostra vita mi ritrovai a dover lavorar per campare e la via della felicità s’è smarrita! Quindi...vi dico che questo vostro viver si chiama sopravvivenza”. Ma qualunque sia la sentenza definitiva, almeno passeranno in giudicato trenta nuovi comandamenti che Pinocchio-Perinelli esorta a seguire con scrupolosa leggerezza: il paese dei balocchi, Lucignolo e Mangiafuoco, il naso più lungo e più bello del mondo, la fatina cattiva, un cappio al collo al posto di uno scomodo cravattino, un ciuchino invece di un uomo. Sarà questa la nuova fiaba da raccontare ai bambini. E sarà l’ennesimo “c’era una volta un pezzo di legno...”. E dico “c’era perché ora non c’è più”.

Roberta Leo 10/03/2017

Leggete qui l'intervista a Simone Perinelli: https://www.recensito.net/rubriche/interviste/recensito-incontra-simone-perinelli.html

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