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Non ci sono superstiti nel regno della fantasia, morti tutti e “Sono morta anch'io”

Dove sono finiti il Piccolo Principe, Alice, Dorothy, Pinocchio e gli altri protagonisti dei romanzi per ragazzi? Saranno forse scomparsi a cospetto dell'infinita offerta televisiva?
Venerdì 20 maggio, sul palco del teatro dell'Orologio al festival Inventaria era presente una donna-bambina in un tulle bianco che delineava la sua sagoma ai piedi di uno specchio. “Sono morta anch'io e qui sono tutti morti” sono le sue prime parole dopo una radiocronaca calcistica dei goal del campionato di Serie A. Con l'aiuto di Collodi, Arthur Miller, Shakespeare, nel teatro di Brecht, Carmelo Bene e per assimilazione anche Roberto Latini, Marzia Ercolani racconta la storia del suo Pinocchio in vesti femminili. Dalla morte alla nascita e la crescita per poi svanire mirando le stelle.
Sillabando per la prima volta “ba-ba-babbo!” impara a camminare, traballante sulle gambe, ad andare a scuola e a giocare. Ma la scuola non è il posto fantastico di cui si parla, i banchi sono stretti e gli insegnanti a volte inadeguati, allora “la sonomortascuola non dovrebbe essere obbligatoria”. Il gioco, con un tronco d'albero e delle scarpette color oro si fa luogo di paura, “tutti vogliono il mio oro”, il suo sogno di essere regina delle stelle è in pericolo e l'unico posto sicuro sembra lo specchio. A questo chiede “Fammi entrare, ho paura” ma poco dopo si legge la scritta “NO”. Lo specchio, simbolo dell'identità, rinnega la sua protezione, si è soli a questo mondo, il babbo non la sente e neanche lei può aiutarsi. Intanto dietro l'angolo si nasconde Lucignolo, che la prende con sé. Cinque spazi scenici, ognuno per un momento diverso del racconto, dove il corpo dell'attrice reagisce, sempre in tensione, si trasforma sollecitando l'immaginazione. Non un personaggio, ma tanti: è Pinocchio, è la bambina stesa a terra, è Lucignolo, ognuno con una propria gestualità e voce.
La storia è tragica, il titolo “Sono morta anch'io” lo preannuncia, c'è la paura di una bambina, che attraversa la luce e il buio, disorientata, con i suoi continui sbalzi dall'euforia alla delusione. Quando arriva Lucignolo non si ha più niente da perdere. Marzia Ercolani toglie il naso e si posiziona sotto il cappello appeso poco sopra la sua testa, con voce graffiante e ammaliante seduce. Il microfono, le luci a intermittenza e la musica, sono per il principe del sabato sera e del divertimento (un po' come Roberto Latini in “Ubu Roi”).
Lucignolo si racconta: “Povero Edipo, unica vittima che la storia racconta. Colpevole di essere morto […] Voglio fare il maestro, unico ammesso in questo Paese: insegnare a giocare.” Quando la bambina si trasforma è stesa a terra a dire “si, no”, in un crescendo dal divertimento fanciullesco alla rabbia di “a-si-no!”, e mantiene questo fuoco di sdegno parlando di coloro che sono esiliati nell'autoerotismo dell'acclamazione. Quando gli applausi non arrivano bisogna consolarsi da soli, come gli artisti incompresi, non apprezzati.
La chiusa è poetica, c'è il passaggio in una nuova fase della vita, come una farfalla, si libera del suo vestito, rimanendo in un costumino azzurro. Con gli occhi pieni di luce nuota verso le stelle, con le braccia tese al cielo, in una lieve diagonale. A loro si rivolge: “L'unico valore di fede è il seme che siamo. In questa casa siamo tutti morti, tranne uno, che non muore mai”. Scompare così dietro lo specchio, da dove appare una luce grigia e si percepisce il suono della televisione, unica superstite, dio del consumismo. Sopravvive all'uomo, surclassa l'arte, la cultura, le storie delle favole, la narrativa, la fantasia e la curiosità.

Federica Guzzon 24/05/2016

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