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“La mia vita raccontata male”, Bisio e gli insuccessi di un'esistenza

PRATO – Sarebbe bello se tutte le vite avessero l'opportunità e l'occasione di poter essere raccontate. Che ognuno di noi avesse la fortuna di poter spiegare le nostre debolezze e cadute, le nostre lacrime e tutti quei momenti intimi che ci sono rimasti dentro negli anni e hanno costruito il nostro personale album delle fotografie. “La mia vita raccontata male” innanzitutto non è affatto raccontata male, anzi; la scrittura di Francesco Piccolo è sempre toccante, ironica, commovente, entra nelle pieghe del personale per diventare universale e arrivare a tutti i cuori, a tutte le nostre memorie, ai ricordi condivisi del primo amore, delle partenze, dei cambiamenti, dei momenti di passaggio. Ricordare: riportare al cuore. Ecco la forza di queste parole, calde, seppiate, nostalgiche ma senza amarezza né rabbia, nemmeno disillusione o disincanto (il fanciullino qui è vivo e vegeto) leggere e profonde, serene, dolci, riappacificanti con il nostro io. Perché bisogna perdonarci i fallimenti Bisio-1078x720.jpge le debacle. “Perché a vent'anni si è stupidi davvero”, stornellava Guccini, ma anche a trenta, a quaranta e oltre. Quando ci guardiamo indietro verrebbe sempre da farci una carezza tenera e amorevole al noi che eravamo qualche anno o decennio prima, sorridendoci, abbracciandoci, dandoci quella pacca sulla spalla o parola di conforto che in quel momento nessuno ci ha donato.

In scena Claudio Bisio ha quella naturalezza del vecchio amico che ti mette a tuo agio e ti dice accomodati, stiamo un po' insieme stasera, senza schemi, senza tempo, raccontami, ti racconterò. Con Bisio viene sempre in mente Daniel Pennac e il suo Signor Malaussene oppure la voce di Sid, il bradipo dell'“Era Glaciale”. E, pensando a Pennac, la costruzione di questo “La mia vita” (prod. Teatro Nazionale di Genova; 1h 30' scorrevolissima; visto al Teatro Politeama Pratese) può far pensare, come impianto diaristico e cronologico, a “Storia di un corpo”, proprio del Gallione_cast_LMRM_9732-phMarinaAlessi-934x720.jpgromanziere francese. La regia di Giorgio Gallione ha quattro elementi di forza: le decise di sedie sparse sulla scena, imponente di finestre e porte e mattoni, dove è stato ricreato un interno casalingo, sedute che il conduttore di Zelig utilizza spostandosi per introdurci nelle sue diverse età, le innumerevoli vecchie televisioni con tubo catodico disseminate per tutto il palco che ci danno il sapore del gracchiante, del bianco e nero, di quell'imperfetto che in fondo ci piaceva, i gruppi di tanti oggetti appesi che a più riprese scendono dall'alto ad innescare e affrescare un nuovo quadro temporale del protagonista, altre sedie o libri o ancora piante. Per ultimo ma non ultima, anzi fondamentale, la musica (i due chitarristi Marco Bianchi e Pietro Guarracino) per sottolineare e drappeggiare i crack di questo romanzo di formazione, arpeggiando note nazional-popolari che pungono le biografie di tutti, da Ivano FossatiE di nuovo cambio casa” e “Dedicato”, fino a “Ufo Robot”, o “Non amarmi” di Aleandro Baldi.

“La mia vita” è un respiro soffice, è una sdrammatizzazione delle nostre esistenze, è il tentativo di relativizzare le sconfitte e i “fallimenti La-mia-vita-raccontata-male-def.jpgche per tua natura normalmente attirerai”. Di impatto anche le luci (di Aldo Mantovani) che spaziano da un blu elettrico ad un rosa shocking a un verde psichedelico ad esaltare attimi, circostanze, azioni. L'antidivo/antieroe Bisio ci porta per mano dentro questa biografia (la sua? quella di Piccolo? un mix delle due? un'ipotetica romanzata e letteraria? non ha importanza) che tutti tange: i primi fidanzamenti alle scuole medie con i primi annessi dolori che sembrano insuperabili, la mamma che ci asciuga i capelli in bagno e ci mette il borotalco e quegli odori e mani ci rimarranno per sempre stampati tra il naso, il cuore e il cervello, le prime scelte politiche anche se nate per pretesti occasionali, gli amori liceali sentendosi sempre fuori fase, in fuorigioco, fuori tempo massimo, e poi il lavoro che ingrana e le prospettive che mutano radicalmente, i figli e la vita che prende pieghe inaspettate e del tutto non programmate.

“La mia vita raccontata male” di Piccolo/Bisio sono dei morsi, è un assaggiare, un toccare, un mettere i polpastrelli dentro un'autopsia del tempo di un uomo medio (mai mediocre) tra sentimenti alti e questioni più basse, perché nessuno di noi è Superman, siamo tutti Clark Kent, nessuno è Batman, al limite possiamo essere Robin, nessuno è Gastone siamo tutti Paperino, sfortunati di lusso, siamo dei buoni gregari che a volte si tolgono delle piccole soddisfazioni cercando di guardare quello che si ha invece che quello che non abbiamo avuto né quello che non avremo mai, puntando più sull'essere che sull'avere, senza invidia né gelosia perché la vita è un soffio.

Tommaso Chimenti 15/03/2023

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