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"La donna più grassa del mondo": le crepe dell'uomo moderno su amore, ecologia, spreco

REGGIO EMILIA – Impossibile non partire da “La donna cannone” di De Gregori: “e non avrò paura se non sarò bella come dici tu”. Inevitabile citare anche quel “Grasso è bello”, motto, slogan e film. Ma qui, ne “La donna più grassa del mondo”, il testo di Emanuele Aldrovandi ricco di sfumature e riflessioni e, al tempo stesso leggero, divertente e profondo, c'è molto di più. Anzi più se ne ragiona attorno e più sorgono, nascono, spuntano nuove idee, nuovi slanci, nuove frontiere da argomentare e sviscerare. Insomma “La donna più grassa” (prod. MaMiMò; c'è stato anche un bel crowdfunding cittadino per sostenere la piece: 140 tra privati e aziende per una raccolta di 5.000 euro) appena finisce lo spettacolo è proprio allora che, nello spettatore, continua il suo lavoro (e lavorio) sotterraneo dialettico alla ricerca delle parabole, delle metafore, del non detto, del nascosto nelle pieghe di una risata, nel colore di un frammento, nell'intenzione di una battuta (a proposito i dialoghi sono pungenti, incisivi e brillanti). Quello che dovrebbe sempre fare il teatro, non chiudere ma aprire, non terminare con il buio o con il sipario ma ampliare possibilità e lanciare la mente su terreni da sperimentare. Il cuore oltre l'ostacolo.44442157930_12c6fabf16_b.jpg

Grazie anche alla regia lucida, felice e veloce di Angela Ruozzi, e ai tre sulla scena che si intercambiano nei ruoli di boia e vittima (bell'amalgama creativa e intesa concreta tra Luca Cattani, Alice Giroldini e Marco Maccieri) “La donna più grassa” è una godibile e amara fiaba noir e al tempo stesso affresco del nostro tempo nato come disquisizione sull'ambiente ma che poi, nel corso della stesura di Aldrovandi, si è arricchita, senza barocchismi, è cresciuta e si è stratificata di nuovi significati e più letture. Ma andiamo per gradi: i tre in scena non hanno nomi, sono soltanto “La Donna più grassa del mondo”, “Il Marito” e “L'Uomo del piano di sotto”. Si parla di amore e relazioni patologiche, di fame e spreco di cibo, della vanità dei social network, della distruzione del pianeta Terra a causa dell'uomo, della colpevole consapevolezza del treno lanciato a velocità folle verso il surriscaldamento globale o l'uso della plastica o l'inquinamento dell'aria e dell'acqua senza che nessuno abbia la ferma volontà di dire basta, fermiamoci, scendiamo. Si parla della pigrizia dell'uomo moderno che preferisce rimandare senza prendere responsabilità né fare scelte di campo sperando che nel frattempo qualcuno dall'alto risolva tutto al suo posto.

44442159410_1067750778_b.jpgL'uomo del piano di sotto ha comprato la nuova casa al piano inferiore rispetto a quella della coppia protagonista senza accorgersi di una grossa crepa sul soffitto proprio in correlazione con la stanza dove vive, ormai immobile, la donna più grassa del mondo appollaiata in simbiosi col proprio divano nella profondità dei suoi 460 kg. Va da sé che la donna non si può spostare, quindi neanche il divano, quindi non è possibile riparare la crepa. I dialoghi carichi d'assurdo colorano le bocche del marito e dell'inquilino di sotto mentre la donna al piano di sopra mangia fintamente beata (il costume la fa sembrare una medusa in discioglimento). La famiglia dell'uomo del piano di sotto, avendo paura che il soffitto cada sulle loro teste, ha lasciato la casa e abbandonato il marito e padre. Una roba da Real Tv, da storie strappalacrime in stile “Malattie imbarazzanti” o “Vite al limite”. Che poi l'autore emiliano ha scelto una parola, “crepa”, attorno alla quale ruota tutto, che può avere tre significati: crepa appunto come lo spacco sul muro, l'inizio del cedimento, l'accenno del malessere che avverte del possibile e imminente crollo, crepa come il verbo sinonimo di morire, e la razza umana sarà l'unica che con il proprio stile di vita avrà contribuito alla propria estinzione, e crepa, anzi crepe come l'assonanza con le crepes, quindi da edile la parola si fa mangereccia, succulenta, dolciaria.

La donna più grassa potrebbe essere la metafora proprio della Terra malata e ingozzata, sporcata, infangata dagli uomini che le ruotano attorno. E sicuramente è anche una critica all'amore e alla famiglia tradizionale: il Marito, nella semplicità di volere il bene della moglie, la riempie di carboidrati e zuccheri, volendo che la donna rimanga schiacciata da se stessa, dipendente da lui, reclusa in quelle quattro mura senza la possibilità di autonomia di movimento, di scelte personali. Ed è anche una critica a questa assurda, compulsiva, ossessiva ricerca del like, del “mi piace”, che ci fa sentire importanti e un po' meno soli, ci fa credere di essere migliori, più appetibili, popolari, con quella parvenza di essere amati e benvoluti. Infatti la donna, seppur nelle sue condizioni di immobilità e salute precaria data dall'eccesso di adipe, continua a fotografarsi e a pubblicare i suoi scatti sui social dove crede di essere famosa e adorata per quello che è, mentre viene “cliccata” solo per il suo ruolo da freak, da fenomeno da baraccone, per “la curiosità dell'orrido” che genera nello sguardo giudicante altrui. Ed è una critica anche a questa deriva del vocabolario che vuole cambiare le parole credendo di mutare anche il loro significato: non più grassa o obesa ma oversize o meglio ancora curvy, oppure i nostrani robusta, corpulenta o formosa che ha un recondito fascino erotico.44442160010_d7205586a4_b.jpg

Ma chi è che ama di più la donna? Il marito che acconsente ad hamburger e patatine in quantità industriale o L'uomo del piano di sotto che, con l'unico fine di poterla spostare per riparare la crepa, la fa dimagrire con la forza e la “tortura”? Ed è anche una critica al nostro sistema moderno nel quale nessuno è più disposto a fare sacrifici per ottenere risultati, dove vogliamo tutto e subito senza lacrime ma solo sorrisi, solo cocktail e aperitivi, solo fotografie bidimensionali dove tutti stiamo bene e nessuno piange, nessuno soffre o fatica o lavora o suda, sarebbe deplorevole, non sarebbe cool. Ed è anche una critica alla distruzione scientifica del nostro pianeta, tra disboscamenti, veleni gettati negli oceani e tra le nuvole.

Il bello, e tragico, è che sappiamo tutto, sappiamo come andrà a finire (innalzamento della temperatura terrestre, scioglimento dei ghiacci, così come antipasto tanto per cominciare) ma non abbiamo la volontà (perché continuare a perpetrare il sistema in atto è più facile) di cambiare il nostro stile di vita, di rinunciare a qualcosa del nostro benedetto/maledetto “progresso”, a votare qualcuno che non punti alla crescita industriale 45346540945_ae64c214a8_b.jpgma alla conservazione ambientale (“Solo quando l'ultimo fiume sarà prosciugato, quando l'ultimo albero sarà abbattuto, quando l'ultimo animale sarà ucciso, solo allora capirete che il denaro non si mangia”, diceva Toro Seduto).

E poi c'è un finale, diciamo un secondo finale, spassoso, intelligente, arguto, vivace, che vale da solo l'andare a vederlo (non faremo spoileraggio, tranquilli). A volte per dire certe cose il politicamente corretto è un boomerang, per cambiare le cose ci vuole rudezza, una presa di coscienza ruvida che scuota le masse, a meno che non vogliamo fare la fine dei dinosauri. E' tutto grasso che (Coca) Cola. Purtroppo.

Tommaso Chimenti 16/12/2018

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