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Hemingway e boxe: il progettone di TrentoSpettacoli

TRENTO – “La boxe è quando un sacco di bianchi stanno a guardare due neri che si riempiono di botte” (Muhammad Alì). Ci sono delle piccole realtà che lavorano sul territorio non tralasciando la qualità, con progetti curiosi, aperti, inclusivi, giovani, freschi. Una di queste è sicuramente TrentoSpettacoli, un manipolo di trentenni-quarantenni che sta svecchiando la produzione, la distribuzione e la fruibilità teatrale in Trentino. Hanno idee Daniele Filosi e Maura Pettorruso, anime organizzative e drammaturgiche di questa sinergia che si esprime in una piccola cantina, lo Spazio Off, dove niente è lasciato al caso, l'aria è conviviale e dove non si va via senza aver brindato, con i rossi della regione autonoma, creando una comunità, cementificando le basi per un solido e nutrito gruppo di spettatori 20191010020024_313975_l.jpg(altro progetto che hanno in atto da diversi anni di formazione del pubblico è i “33 Trentini”) che non fanno mai mancare la loro presenza, supporto, vicinanza. Qui il teatro è artigianale (siamo accanto ad una carrozzeria), vero, sincero, si sente, trasuda dalle mura, dalle mani, dagli occhi vivaci di chi sta dietro le quinte, sul palco e sulle sedie del piccolo, ma mai claustrofobico, teatrino, gioiellino sanguigno dove poter sperimentare testi e capacità attoriali a pochi passi dal pubblico.

“Colpo basso sul ring: i dolori d'un giovane welter” (Gino Patruni).

Tutti gli elogi sopraelencati sono ben racchiusi dal nuovo progetto hemingwayano che ha raccolto, attorno alla figura del grande scrittore e reporter americano (passato e vissuto in zona durante la guerra), nei mesi di novembre e dicembre una decina di appuntamenti frizzanti, diversi, stuzzicanti, cosa che mancava, la freschezza, a queste latitudini fresche meteorologicamente, meno sprintose di guizzi incisivi e novità allettanti. Un aperitivo con i cocktail preferiti dall'autore de “Il vecchio e il mare”, una cena-spettacolo con ricette estratte dai suoi volumi in un ristorante stellato della zona, otto incontri tematici d'analisi e reading, due spettacoli, uno più avvincente e originale dell'altro: “50 bigliettoni”, tratto dall'omonimo racconto, con un attore e un pugile su un ring vero in una palestra di pugilato tra guantoni, riprese, gong, paradenti, vaselina, schivate, ganci, tutto rigorosamente reale, e “H Il Campione del Mondo”, proprio la pièce che abbiamo seguito.

“Shakespeare? Che peso è?” (Harry Greb, campione mediomassimi americano '22).

All'interno del piccolo e funzionale spazio trentino un ring con tanto di corde e quadrato, all'interno due belve, diverse, chiuse in una gabbia allo zoo, legate alla catena. Da una parte il riflessivo giornalista di guerra (Stefano Detassis, il doppio dell'Hemingway cronista in battaglia), voglioso di fare, scrivere, andare, girare, raccontare, che voleva mordere e mangiare e azzannare il suo tempo, di fronte, in H2.jpgquesto match senza guantoni e giocato su piani differenti e a armi impari, un soldato-boxer (Woody Neri, muscolare, di grande forza espressiva) un uomo semplice, poco istruito, diretto. La struttura a pianta centrale, con il pubblico in tutti e quattro i lati del ring improvvisato e i gong che scandivano le riprese dell'“incontro”, per la regia febbrile e d'impatto di Stefano Cordella, riesce a smuovere e coinvolgere, a spiazzare ed a farci sentire parte di un unico grande progetto, quasi proiettati all'indietro nel tempo, in qualche pellicola in bianco e nero, tra allibratori, pupe e cazzotti, scommesse e completi gessati.

“Tutti nella boxe se la cavano bene, tranne il pugile” (Mike Tyson).

Se il cinema pullula di film a base pugilistica, basti pensare a “Rocky” come a “Million Dollar Baby”, a “Cynderella” come a “Toro scatenato”, ultimamente il teatro ha rispolverato i miti collegati a guantoni e uppercut: Mike Tyson addirittura è andato con il suo one man show a Broadway con un'affabulazione intelligente, sarcastica e una consapevolezza del palcoscenico innata, Patrizio Oliva in questi giorni è in scena al Teatro Nuovo di Napoli con l'autobiografico “Patrizio vs Oliva”, Francesco Di Leva si è messo nei panni di “Muhammad Alì”; il pugilato è sempre foriero di metafore esistenziali con il sangue, sudore, fama, gloria, cadute, rinascite, risalite, knockout, quel combattere come gladiatori in mezzo all'arena, tra corde che delimitano, dalle quali o esci a gambe in avanti o a braccia alzate.

“Nessuno è mai riuscito a mandarmi al tappeto. Tranne le mie sei mogli” (Jack Lamotta).

Detassis (pronto e capace) si fa narratore, arbitro e allenatore, mentre Neri (in piena forma e controllo, visto e apprezzato recentemente anche ne “Lo Straniero” del Teatro I)H5.jpg recita addirittura con il paradenti: si incastrano alla perfezione l'essere contenuto e millimetrico e preciso e sottovoce del primo con l'esplosività, la frenesia, la compulsività, l'elettricità del secondo, il primo posato e pacato, il secondo argento vivo che ribolle. Un ring che ci dice anche che dalle proprie vite non si sfugge, dal proprio karma non ci si può liberare facilmente, che la guerra non si può eludere, che le difficoltà vanno affrontate di petto e non eluse. E' un incontro di corpi, di intenti, di intenzioni, di ambizioni quello che si scardina e frigge in questo quadrato dove la penombra scandaglia i loro caratteri (sono due facce della stessa medaglia, i due lati, riflessivo e energico, di una stessa persona), una luce fioca che sa di racconto a veglia, di abbraccio caldo, di un sentire antico che ci fa sentire rappresentati ora dall'uno adesso dall'altro. Schioccano i round con il classico Hemingway-cafe_imagefullwide.jpgrumore metallico fremente del gong, rintocchi che rinsaldano, svegliano, ammutoliscono. La fluente e fresca drammaturgia di Maura Pettorruso parte da un piccolo racconto scritto in gioventù dall'autore di “Fiesta” per poi mischiare le assonanze, i passaggi, i momenti, con la vita del Premio Pulitzer in un impasto che dalla letteratura passa alla fiction, all'interpretazione fino ad arrivare alla vita reale: ne viene fuori un quadro emotivo, tangibile, pieno di spunti e riflessioni sulla vita e la sua leggerezza, sulla morte, e la sua pesantezza.

“Ho sempre trattato le persone con i guanti. Da boxe" (Danilo Arlenghi).

E' l'incontro fortuito tra due ragazzi cresciuti troppo in fretta che si ritrovano, una prima volta a Chicago adesso a Bassano, si fanno da specchio, l'uno la vertigine dell'altro, l'uno la rivincita e il sogno dell'altro, il pugno e la carezza, la forza bruta e la penna, le illusioni e le delusioni della guerra che non porta mai vantaggio per nessuno. Tocco di Cordella-Pettorruso è la morte del pugile che viene mimata, interpretata, decisa, dentro e fuori il teatro e la scrittura, come fosse una prova tecnica per riuscire a trovare l'angolazione migliore, il finale più brillante, la conclusione più consona: tutte quelle possibilità che la vita, a differenza del teatro, non ti dà mai nell'ultimo atto.

“È il posto più bello del mondo, il ring. Sai quello che ti può capitare” (Mike Tyson).

Tommaso Chimenti 26/11/2019

 

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