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Garibaldi di Kaemmerle e Rutelli: simbolo di libertà e giustizia

SANTA MARIA A MONTE – Tutti noi pensiamo di conoscere bene la figura di Garibaldi. L'eroe dei Due mondi, Anita, i Mille, l'Obbedisco, le mille targhe viste in ogni città dove sta scritto “Qui ha dormito”. Eppure c'è molto da dire, da tirare fuori dalle pastoie del tempo, da quello che superficialmente crediamo o abbiamo letto di sfuggita senza approfondire. Nozionismo da cruciverba più che altro, al quale la presenza di Andrea Kaemmerle (che il phisique du role per interpretarlo a dir la verità ce lo ha sempre avuto) e la penna fine di Manfredi Rutelli hanno deciso di porvi finalmente rimedio in equilibrio tra la loro inconfondibile ironia, sagacia senza forzature, e una storiografia documentaristica, mai pedante ma preziosa e precisa, delineando un personaggio tout court che non può essere definito se non compreso nella sua interezza, senza limiti, soprattutto in relazione ai tempi in cui ha vissuto. Una vita eccezionale, fuori dagli schemi, per forza leggendaria, sopra le righe, eccentrica, altissima, morale. (Un intermezzo fuori dal coro e fuori dal contesto: “Garibaldi” era anche il soprannome che Maria Cassi dava al suo (e nostro) caro cuoco/chef/scrittore Fabio Picchi, ideatore e curatore del Teatro del Sale e del Cibreo di Firenze, da poco scomparso, che ci manca e che non dimenticheremo). E poi vogliamo ricordare la canzoncina (vagamente canzonatoria) ritornello-stornello “Garibaldi fu ferito, fu ferito ad una gamba, Garibaldi che comanda, che comanda i bersaglier”, declinando tutte le parole con le cinque vocali per far ridere i bambini?Kaemmerle Garibaldi.jpg

Ecco da qui il sottotitolo, “Garibaldi, su una gamba”. Garibaldi colpito da fuoco amico nell'agosto del 1862. Ma la vita di GG è per sua stessa natura eroica, convulsa, piena di accadimenti irripetibili, unici, a tratti impossibili: decine di giri del mondo, viaggi in Giappone, ha abitato a Instambul come a New York, tre mogli, infiniti amori, quindici figli ufficiali, arresti e sempre fughe ed evasioni rocambolesche, parlamentare in cinque Stati sovrani diversi. La coppia Kaemmerle e Rutelli decidono per la via non temporale, non progressiva, non didascalica, senza date né appigli né punti di riferimento nel classico incedere, sua firma e cifra, dell'attore che, nella sua corpulenza che si fa parola e carne, gesti e mani a prendere IMG_2097.jpge calcare e tenere e abbracciare tutta la platea, farla propria, un cunto (tutto toscano) che diventa cascata e valanga a strapiombo fin quando non ti sommerge, ti ingloba, fin quando non si fagocita il pubblico. Ha questo potere Kaemmerle di essere esplosivo, di cullare e mordere, di carezzare per infine stilettare con forza, dolce e rude sembra di sentire la tridimensionalità delle sue parole come polpastrelli rustici su gote vergini. Il pubblico ne è travolto, sempre, e lo lascia fare come un turbinio, come un vortice, come una tromba d'aria in mezzo al mare che tutto trancia portando con sé. Raccontare la vita di Garibaldi è impossibile, una volta capito questo assunto la strada è già in discesa.

Ma questo “Garibaldi” procede in una triangolazione originale: non è il Garibaldi narrato dall'autobiografia vergata da Alexandre Dumas né quello tratteggiato dalla coppia di divulgatori Piero Angela-Alessandro Barbero, ma quello che emerge dal ritratto che ne fa Luciano Bianciardi, altro caposaldo della cultura kaemmerliana. La genesi del play è di ritrosia e di disamore: Kaemmerle, che ama e idolatra Bianciardi, crede che lo scrittore toscano, anarchico e polemico, abbia fatto il generale in camicia rossa letterariamente a pezzi. Invece si ritrova le pieghe delle pagine grondanti di stima, di rispetto per l'uomo, per le idee, per il suo lascito. Quello che colpisce non è tanto la sua lezione in vita, che qualcuno potrebbe paragonare ad un Che Guevara più romantico e un po' più annacquato, ma quanto nel tempo, dopo la sua morte, ad ogni latitudine, si sono prodigati, promossi e moltiplicati i movimenti garibaldini e i garibaldinismi che continuano a tramandare quei valori tutt'oggi, in vario modo, a vario titolo. Garibaldi che in vita era una vera rockstar, un semidio intoccabile e le cui gesta, in un mondo senza grandi mezzi di comunicazione, erano seguite grazie a dispacci e bollettini da più parti del mondo. Era un simbolo indomito, di libertà, di potere è volere, repubblicano, anticlericale, senza posa, senza padroni né padrini.Andrea Kaemmerle (2) LH.png

L'inizio è accattivante con una sorta di confessione di un imputato che, davanti alla Storia, di profilo e con la voce artefatta di un'eco taroccata e meccanica, esprime il suo disappunto di fronte a questo personaggio che realmente nessuno di noi conosce ma del quale abbiamo soltanto qualche piccola nozione sparsa. Ed è vero quello il testo ci dice: “Le statue di Garibaldi ti guardano dall'alto in basso come a dirti Ho fatto l'Italia vedi di non sporcarmela”. Garibaldi, che si è speso e battuto contro il Potere, è diventato nell'immaginario comune, per nostra assoluta ignoranza, il Potere stesso in una traslitterazione che confligge con la realtà degli accadimenti. Kaemmerle, grazie anche all'escamotage del personaggio inesistente, la madre di GG con la quale dialoga, ora è il narratore adesso è lo stesso capitano di ventura: il più grande navigatore, più di Marco Polo, più di Cristoforo Colombo. Il suo primo viaggio per mare, a poco più di vent'anni, è da Marsiglia a garibaldi su una gamba 3.jpgOdessa in barca a vela per caricare del vino. La sua iconografia grafica ci ricorda un po' Gesù, un po' Sandokan e un po' Marx, abbracciando gli estremi, facendo toccare gli antipodi in un unico simbolo. Personaggio mosso da istinti semplici ma proprio per questo il suo messaggio è arrivato in ogni Continente ed è sentito uno del popolo in ogni Nazione nella quale ha messo piede. La Regina Vittoria, così come Marx, non lo vorrà incontrare perché Garibaldi aveva la peculiarità di mettere in ombra chiunque talmente la sua popolarità era ingombrante. Le sue innumerevoli spedizioni vennero foraggiate tra gli altri anche da Verdi, conobbe Victor Hugo, a New York lavorava per Meucci mentre Abramo Lincoln gli scrisse una lettera per assoldarlo come generale nella guerra civile tra Nordisti e Sudisti. Questo “Garibaldi” è una sorta di Zibaldone dove le notizie vengono sparate come pallettoni di carabine e ognuna sembra inverosimile, quanto meno strana o irreale. Una vita avventurosa è il minimo che si possa dire per descrivere quella del Giuseppe Nazionale. Bene hanno fatto Kaemmerle e Rutelli nel riscoprire questa sua imponente figura (teatralmente quasi non affrontata) che tutti crediamo di conoscere (qui la falla della scuola) ma che soltanto pochi hanno percezione della straordinarietà della sua vita sempre in viaggio, sempre in battaglia, sempre pronto all'azione, senza mai tirarsi indietro davanti a nessuna causa, sempre moralmente coerente con i propri valori.

Tommaso Chimenti 12/09/2022

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