FIRENZE – Come essere nel suo salotto, come stare ad ascoltare i suoi aneddoti ad una cena, attorno ad un tavolo, le sue storie, le bizzarrie, le caricature, le follie, i personaggi che si affollano, tutte le stravaganze che poi sono entrate nelle sue pellicole. Ferzan Ozpetek ci accoglie nei suoi ricordi, ci fa spazio, ci dice di entrare in punta di piedi, con il sorriso e la gentilezza, con una leggerezza invidiabile anche quando tratta temi drammatici e argomenti personali strazianti. Subito fa accendere le luci in platea per guardarsi negli occhi. Cerca un filo diretto con il “suo” pubblico mai come questa volta così vicino, così dentro, così vivo. Un uomo solo sul palco, emozionato ma energico e spumeggiante e brioso, che si concede generoso mentre dietro le sue spalle passano le foto della sua vita: lui da bambino, la bellissima ed elegante madre, i fratelli, gli amici, il marito. Una carrellata del suo mondo questo “Ferzaneide” (prod. Nuovo Teatro di Marco Balsamo), spaziando tra realtà e celluloide capiamo che tutto quello che il regista turco-romano ha fatto confluire nelle sue trame e sceneggiature ha una grossa base fondata nella vita reale, negli accadimenti che gli sono capitati. Si sente, si percepisce che è risolto, che è circondato da amore e anche che tutto questo non è caduto dall'alto. Ci vuole talento anche nell'accettarsi e nell'essere amati.
Ma è il suo garbo quello che più ci ha colpito, l'eleganza, la cordialità e raffinatezza nell'aprire il suo cuore, nel mettersi a nudo. Infatti la locandina, il bellissimo disegno di Mimmo Paladino, ritrae una sorta di Cavallo di Troia (dall'Eneide alla Ferzaneide) come se fossimo noi spettatori ad entrare, con lo stratagemma del cavallo, tra le mura della fortezza del regista. E' salito su un palco senza aver bisogno né di popolarità né tanto meno di guadagni. Attore per una sera senza esserlo. Ma nonostante questo regge benissimo un palcoscenico enorme e impegnativo come quello del Teatro della Pergola. E' a suo agio con le memorie che si affacciano e si affastellano, con questo canovaccio che scorre, saltando dall'amata madre all'infanzia, ai suoi amori, alla scoperta del sesso. Un universo colorato come un arcobaleno il suo costellato non soltanto di lustrini ma anche di perdite, come quella del fratello o di tanti cari amici venuti a mancare in questi anni. Da adesso in poi vedremo in maniera diversa, con occhi più brillanti, i suoi film.
Quando racconta della madre è impossibile non commuoversi. Tutto è accennato senza drammi né lacrimevoli lamentazioni, un pizzico di cinismo disilluso ma anche tanto charme, polvere di stelle e amore sparso come neve in quota a decorare gli eventi che hanno, nel bene e nel male, segnato la sua folgorante vita, artistica e personale, e che, di fatto, sono intrecciate e strettamente legate a doppio filo. Si sente che è aperto verso l'altro, disinvolto, disponibile all'incontro. E ci racconta della madre che ad oltre ottant'anni si era invaghita del suo fisioterapista o di un suo amore incrociato in giovane età in un bagno turco, della genesi di “Saturno contro” e le sue superstizioni, del fratello scomparso per un tumore al pancreas, di quando era assistente alla regia per Massimo Troisi, di un signore anziano trovato su Ponte Sisto che aveva perso la memoria dal quale è scaturito “La finestra di fronte”, di “Mine vaganti” che è la storia familiare di un suo amico e del fratello.
Come tutti gli artisti Ozpetek “ruba” e prende in prestito dalla realtà che lo circonda e la sublima nel suo cinema. Tutto sembra frutto delle coincidenze e del caso fortuito, degli incroci, degli incastri che la vita ci mette davanti. E ci parla di Istanbul e di Roma, dell'affetto sconfinato che ha per Serra Yilmaz come di omosessualità e di felicità in questa sua chiacchierata fatta di sorrisi e di qualche lacrima, una chiacchierata tra amici. Impossibile non volergli bene.
Tommaso Chimenti 03/12/21