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“Echoes”: al Teatro India fino al 29 aprile, un monologo a due voci nel racconto della Donna

Echoes” è un testo di Henry Naylor, scrittore, drammaturgo e giornalista inglese, due anni passati fra Siria e Afghanistan e premiato al Fringe Festival di Edimburgo nel 2015. Gioca con lo spazio e il tempo prendendosi una grande libertà, ieri e oggi, il Califfato e Ipsiwch in Inghilterra, la grigia cittadina da cui dipana la vicenda delle due protagoniste. Tilly, interpretata da Federica Rosellini spigolosa e eterea, che nel tardo Ottocento va in sposa a un ufficiale dell’esercito di Sua Maestà, di stanza in Afghanistan. E Samira, Francesca Ciocchetti, più viscerale e fisica, che lascia la sua casa per fare la “sposa Jihad”.

La regia di Massimo Di Michele modella “Echoes” comprimendo i due monologhi originari e facendoli somigliare ad una cantata a due voci, fondendo le due esperienze in un flusso, un rimbalzo di echi perechoes1.jpg l’appunto, di due vite, due personalità, due carni, che parlano e lottano contro una storia che sembra ripetersi all’infinito, apparentemente sempre uguale a se stessa. Il regista costruisce una doppia drammaturgia, seguendo binari paralleli che amplificano l’intensità della narrazione. Al dato verbale si affiancano sequenze di movimenti corporei che le due attrici eseguono nella prima parte dello spettacolo, per poi ripeterle come un pattern nella seconda. L’intuizione del regista viene concretizzata grazie al lavoro della coreografa Francesca Zaccaria, che ha definito i movimenti delle due interpreti richiamando in maniera evidente gli influssi del teatro-danza di Pina Baush. Un’alternanza di gesti fluidi e taglienti che scandisce il racconto di queste due giovani donne, finalmente capaci di esprimersi con il proprio corpo, come non gli era permesso dai codici imperanti di due società lontane ma ugualmente maschiliste. Sospese in questa non-vita e in un non-luogo, due solitudini si scoprono sorelle e iniziano un passo a due verbale e corporeo. A muoversi è soprattutto la parte superiore del corpo, mani e braccia che fluttuano rendendo visibile ciò che a parole non si può esprimere, in contrasto con una maggiore rigidità nei movimenti delle gambe, ben piantate in terra o impegnate in un’energica corsa. Il desiderio di maternità e l’aborto, la scoperta della propria sessualità e la sua repressione, la ricerca di una crescita interiore e la sua impossibilità: ogni significato è racchiuso in un gesto, dalle dita che abbottonano il ventre ai veli immaginari che scoprono i piedi nudi, dai palmi rivolti al cielo in segno di preghiera alla mano che aleggia sul capo, disegnando visivamente i pensieri.

echoes2.jpgGioco di specchi, la duplicità dello spettacolo si riflette anche nella fisicità differente delle due attrici: l’una esile e scattante come un insetto, l’altra tanto sinuosa e morbida da evocare la figura di madre. Diversità che si annullano nei costumi di Alessandro Lai, dove un’immaginaria nudità viene restituita attraverso tessuti delicati dai colori tenui, simili all’incarnato. Questa immagine virginale viene spezzata nella conclusione dello spettacolo, con Federica Rosellini che torna in scena indossando un coloratissimo bikini, “pronta per la prova costume”. Fino a questo momento l’unico colore, forte, che compare è il giallo dei tubi, la matassa posata al centro e ai lati del palco. È in questo groviglio che le due attrici rimangono intrappolate: il dovere, la moralità, gli ideali, la religione, gli affetti, le aspettative, un intero mondo che le opprime e di cui in scena si fanno carico anche fisicamente. Questi fili sono anche un tunnel che si lascia attraversare permettendo alle due giovani donne di conquistare la consapevolezza del proprio vissuto, che poi è amarezza e delusione. Echoes è fatto di gesti e movimenti, ma anche di parole, che raccontano di condizione femminile, di maternità, matrimonio. Degli errori che una donna può commettere, nel definire la sua storia, di abuso di potere e di violenza. Violenza privata e non solo, perché il testo gira intorno all’universo donna seminando sguardi che abbracciano orizzonti più vasti.

Il respiro della Storia si fa sentire, considerazioni su imperialismo e terrore che, se da un lato servono da necessario contesto al percorso delle duechoes3.jpge donne, dall’altro sembrano sviare un po’ l’opera dal suo tracciato. Un problema di scrittura, più che di regia, ed è un bene che Di Michele non sposti mai troppo l’obiettivo dalle sue protagoniste. Due attrici, due donne che vanno in scena su un testo, e qui sta il bello, scritto da un uomo e messo in scena da un uomo. In un mondo capace di mentire a se stesso al punto di liquidare la questione della violenza di genere come un problema di genere, femminile ovvio, "Echoes" suona davvero come un’anomalia. La violenza sulle donne è un problema collettivo, ma principalmente maschile, perché è la mano dell’uomo che la commette e la sua mente crea il pensiero che giustifica l’abuso di potere alla base di tutto. Eppure, di uomini che scrivono di e sulle donne, che riconoscono il sapore scomodo di questa verità, ce ne sono pochi. Questo è il merito principale di Massimo Di Michele e Henry Naylor. Aver coniugato un punto di vista artistico a una chiara posizione morale. Se anche la messa in scena fosse stata poco convincente, se la recitazione fosse stata arruffata e le idee confuse - e non è così - "Echoes" avrebbe valore di per sé, come un dito puntato nella giusta direzione. Ma lo spettacolo funziona, e si può anche andare oltre.

Ilaria Costabile, Francesco Costantini, Silvia D’Anzelmo 27/04/2018

Leggi l'intervista a Massimo Di Michele: https://www.recensito.net/rubriche/interviste/echoes-massimo-di-michele-intervista.html

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