CATANIA – Costeggiando la strada del Teatro Verga si passa prima davanti ad un sexy shop per poi incontrare una agenzia di pompe funebri prima di imbattersi nello Stadio Cibali, praticamente eros e thanatos ed infine il play: sommando amore, morte e gioco si ha il teatro. E di sesso e morte parlano queste “Baccanti” che da 2500 anni continuano a dirci, a sondarci, a creare frange. Altra piccola “morte” simbolica è l'addio, deciso da altri, della regista Laura Sicignano che nell'ultimo triennio ha guidato il Teatro Stabile catanese, ha abbattuto e razionalizzato il pesante debito contratto da altre direzioni precedenti, ha aperto al contemporaneo e ha inaugurato un nuovo polo teatrale, il Teatro Futura. Il riconoscimento per il buon lavoro svolto è stato l'accantonamento, la non riconferma. E' l'Italia, bellezza.
E questo “Baccanti” (nella prima versione era presente Vincenzo Pirrotta) risente molto del clima cupo e angoscioso, noir e tenebroso nel quale stiamo vivendo; qui non c'è nessun spiraglio di intendere la Baccanti nel loro lato dionisiaco, orgiastico, di gioia infinita irrefrenabile, di voglia di vita. Qui è la morte a prevalere e a prendere il sopravvento con violenza e ricerca del sangue dell'avversario, del nemico, ovvero di tutti quelli che la pensano diversamente. Una piece, questa diretta dalla Sicignano (adattamento curato dalla regista genovese con Alessandro Vannucci), che ha avuto una lunga gestazione e che ogni volta che doveva andare in scena veniva bloccata dai vari lockdown che si sono succeduti in questi due anni. Anche qui, come nelle Baccanti de La Fura dels Baus questa estate in scena al Teatro Antico di Siracusa, è una Dionisa, con trucco mascherina da Diabolik o Robin, la protagonista che tesse le trame del delitto perfetto, arrogante come Ibrahimovic, decisa a seppellire chiunque ne metta in dubbio le qualità. Se ne sta su un trono-pulpito, quasi sedia del direttore di gara tennistico, in questo palazzo (che ci ha ricordato la scenografia de “Le sedie” di Ionesco nella versione di Binasco, senza le sedie) aristocratico ma abbandonato, mastodontico ma senza orpelli, lasciato all'incuria e al disfacimento, dalle grandi colonne solide ma svuotato di feste e di balli in maschera perché adesso è il momento del terrore giacobino e dello scontro fratricida. Un edificio (scene e costumi di Guido Fiorato), che ricorda una maestosità e un'opulenza antica e arcaica, adesso traviato e graffiato dal declino e dal degrado del tempo: sul fondale si aprono tre crepe-buchi dove voyeuristicamente scorgiamo all'interno amplessi e movimenti, spaccature quasi a formare due occhi e una bocca picassiani, una faccia deforme e urlante che sibila un grido monco e sordo, una maschera-bocca della verità deturpata dal dolore e dalla paura.
Come non vedere in questo manipolo di donne invasate e assatanate e possedute che si rifugiano su una montagna, arroccate alle loro convinzioni e devote fino al martirio al loro nuovo Credo e Culto, i sostenitori del movimento no vax con le loro idee date per assodate assunzioni esatte e aprioristiche mentre gli altri sono visti come traditori da eliminare, “pecore da gregge” che non meritano considerazione né rispetto. Tiresia, vestito da clochard, e Cadmo (sembrano Vladimiro e Estragone di “Aspettando Godot”) hanno spazio residuale e anche Penteo non riesce a imprimere forza nelle nostre retine tranne che nell'ultima scena quando è un cadavere-Cristo Velato toccante. Più colorato e istrionico è il messaggero (Silvio Laviano) con cappello di paglia da gondoliere che si muove con atletismo e dinamicità, una sorta di minatore o Minion. Anche queste Baccanti sono “Donne in guerra” ricordando la recente produzione sempre targata Sicignano. Sono donne accecate e acritiche che vogliono compiere una rivoluzione (che, in quanto tale, porta a distruzione dell'ordine costituito e all'azzeramento dello status quo conservatore), un gruppo animato da una viscerale acredine di rivalsa e vendetta, che esprimono più rabbia e caccia all'untore da guerriglia urbana che una precisa volontà e strategia di cambiamento.
Tommaso Chimenti 12/01/2022