È una realtà che rimane aderente al nostro mondo pur aumentandone certi confini, quella di “Audizione”, lo spettacolo scritto da Chiara Arrigoni, interpretato dalla stessa autrice con Massimo Leone e Andrea Ferrara, diplomati presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico, diretti da Francesco Toto.
La giovane compagnia “Le Ore Piccole” si è esibita al Roma Fringe Festival 2017 per due sere consecutive, con doppia esibizione lunedì 5 settembre.
I palchi sono all’aperto, eppure l’atmosfera dello spettacolo sequestra l’attenzione del pubblico portandolo come a spiare i fatti dentro a una stanza, un piccolo bunker dove si sta svolgendo un’audizione, un colloquio di lavoro per scegliere il candidato più adatto tra Sarah (Chiara Arrigoni) e Miguel (Andrea Ferrara).
Il selezionatore, il Signor T (Massimo Leone), li incalza con richieste sadiche, ciniche osservazioni, provocazioni mirate a tirar fuori, da ciascuno di loro, il proprio modo di essere il più spietato possibile. Solo uno sarà valutato più adatto per partecipare a un gioco di morte, che passa attraverso la noia di vivere e il sesso.
Chi sono questi due disperati, pronti a mettere la propria vita a disposizione del suo contrario?
E colui incaricato di metterli alla prova e scegliere, come riesce a spingersi, con indifferenza, al di là della compassione umana?
Una situazione piena di interrogativi che si svela poco a poco e ci restituisce uno scenario agghiacciante perché realistico, seppur estremo. La recitazione è commisurata al compito. Disperata e risoluta Sarah, esperto, avvezzo e infine protettivo Miguel, deciso e professionale, oltre ogni sentimento, il Signor T.
Piombiamo in una bolla distopica, intrappolati tra quelle fredde mura immaginarie in cui si sta svolgendo l’audizione. La stanza è spoglia e anche i personaggi toglieranno i propri vestiti per indossarne altri, letteralmente e metaforicamente, come a scoprire l’irrisolvibile dicotomia che caratterizza il genere umano: il bene e il male. L’esistenza di quest’ultimo avanza evidente, si fa certezza e conduce il gioco. Risveglia, in chi guarda, un atavico senso di colpa, come se fossimo anche noi vittime e complici. La messa in scena, minimale, asciutta, volutamente incolore, permette di mantenerci vicini alla verità di una società in crisi di valori, dove superare il rispetto e la dignità delle persone è lecito se aggrada chi detiene potere economico.
Questa storia è breve e potente: ha la capacità di aprire diversi orizzonti di senso sulla contemporaneità. Non conforta ma turba; permette, infine, di scorgere anche un piccolo lumicino di speranza nell’assurdità di un mondo che si è fatto “umano, troppo umano”, al di là di tutte le logiche, delle morali, delle religioni, degli ideali. Restano uomini soli rinchiusi nelle proprie storie, a lottare contro un male che non ha nome, da cui sfuggire è impossibile.
E forse proprio per questo, il gioco è votato al massacro.
Agnese Comelli 07/09/2017