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L'Arlecchino degli Stivalaccio continua a parlare all'oggi

VICENZA – Stivalaccio vuol dire fiducia. Parafrasando una vecchia pubblicità anni '80 di un formaggio nostrano. Perché già è difficile (ri)portare le persone a teatro, è complicato riempire, per due sere, un teatro (come il Comunale) di mille posti, è arduo farlo con la Commedia dell'Arte. Il gruppo veneto ne ha fatto la propria cifra e essenza più intima e riconoscibile. Amati in Veneto (altro che sparuto zoccolo duro, qui ci sono le folle), amatissimi in Francia dove regolarmente sono invitati, da Avignone Off o come quest'estate che saranno in Normandia a Brest. All'estero il loro gramelot si esalta, le mosse e le maschere tirano fuori l'argento vivo e il fuoco che hanno dentro per sopperire la parola. Hanno le spalle larghe da artisti di strada, la sicurezza, l'impostazione, il mestiere. Ed eccoci ad un nuovo “Arlecchino” che stavolta diventa “Muto per spavento” (prod. Teatro Stabile Veneto, Teatro Stabile Bolzano, Teatro Stabile Verona; qualche tempo fa ne portarono in scena uno “Furioso”) arlecchino_muto_di_spavento_500x408-1.pnge che è dedicato all'appena scomparso, e da tutti i teatranti compianto e rimpianto, Eugenio Allegri. Una durata da Stabile (2h 30' con intervallo), una scena, composita e articolata, che ruota su se stessa per permettere di usarla bilateralmente, nove attori sul palco che cantano, duellano, saltano, ballano: il progetto messo a punto da Marco Zoppello (qui regista ed anche la maschera protagonista) e Michele Mori (le due anime di Stivalaccio Teatro) ci mostra una struttura ormai collaudata di alta professionalità, ben rodata da alchimie e artigianato, oliata e pronta.

Chi lo avrebbe detto che negli anni 2000 una compagnia di giovani potesse attirare così tante persone al proprio capezzale con la Commedia dell'Arte? A priori potremmo definire “anacronistico” parlare di Pantalone e Arlecchino ma queste maschere hanno in sé l'universalità delle sfaccettature dell'umanità e, ripulite dai lazzi e frizzi settecenteschi, conservano ancora integri quei valori di moralità e insegnamento, metafora e monito, utili anche oggi. Ci hanno scommesso, la loro puntata sta ampiamente ripagando gli sforzi, hanno vinto. In scena un bel manipolo affiatato e gagliardo: Sara Allevi è Violetta, Marie Coutance è Flamminia, Matteo Cremon è Lelio, Anna De Franceschi è Stramonia Lanternani, Michele 84_ArlecchinoMutoPerSpavento18052022-1148.jpgMori è Mario, Stefano Rota è sia Pantalone De' Bisognosi che Bargello, Pierdomenico Simone è sia Trappola che il Locandiere, Maria Luisa Zaltron è Silvia, Marco Zoppello è Arlecchino.

Guardando gli Stivalaccio si ha sempre la sensazione che, scavando sotto la superficie dorata dei curati costumi, ci sia sempre qualcosa che possa parlare all'uomo contemporaneo oltre il divertissement e le danze, gli imbrogli, i duelli (a cura di Massimiliano Cutrera) le zuffe, le bugie dei protagonisti. Una lettura multisfaccettata con più veli di comprensione, aperta a tutti, popolare nel più alto senso del termine, stratificata per ascolti diversi. La struttura classica della narrazione (di Luigi Riccoboni) è semplice: ci sono due coppie, i cui matrimoni sono stati combinati (come usava e come purtroppo anche oggi in molte parti del mondo è ancora in vigore), che non vogliono sposarsi per interesse ma sono innamorati di un'altra persona e che lottano fino al sacrificio estremo per vedere riconosciuti i propri desideri e rispettate le proprie volontà. Si parla del conflitto tra vecchie e nuove generazioni, si parla dei giovani che hanno paura nel ribellarsi allo status quo e al potere costituito, si parla, appunto, di matrimoni combinati.

E se nell'“Arlecchino muto per spavento” se ne ride e alla fine tutto andrà bene e l'happy end ci riscalderà e ci cullerà, ancora abbiamo 76_ArlecchinoMutoPerSpavento18052022-1713.jpgnegli occhi le pagine di giornale riguardanti la cronaca sull'uccisione di Sana da parte della famiglia pakistana a Brescia nel 2018 perché si era rifiutata di sposare un uomo in patria, e ancora ci ricordiamo di Hina uccisa per le stesse ragioni e sempre sul territorio italiano. E se Hina e Sana si sono ribellate e hanno pagato con la vita il loro sacro rifiuto a scendere a patti con usi e costumi obsoleti e tradizioni antiquate e vessatorie chissà invece quante centinaia/migliaia di donne, figlie di immigrati, italiane di seconda generazione a tutti gli effetti integrate nella cultura occidentale, hanno dovuto cedere a matrimoni scelti a tavolino dalle proprie famiglie per doti corpose, rendendole infelici e schiave per sempre, sottomesse, impotenti, e64_ArlecchinoMutoPerSpavento18052022-1566.jpgmarginate, sole, abbandonate con l'unico scopo nella vita se non sfornare figli, cucinare ed essere prigioniera delle quattro mura casalinghe. Quindi dell'“Arlecchino muto per spavento” se ne può certamente ridere (si deve!) anche se un occhio al nostro mondo, pieno di contraddizioni e mai così lineare, è sempre bene tenerlo.

Tornando alla pièce, senza cercare altri significati forse anche troppo reconditi e celati, è interessante l'uso dei dialetti e il miscuglio delle lingue, dal napoletano al veneto ovviamente, dal romano fino al francese, così come la grande ricerca musicale realizzata (arrangiamenti e musiche di Ilaria Fantin); tra le canzoni proposte ci è rimasta nelle orecchie e nel petto la “Canzone arrabbiata” di Nino Rota il cui testo potrebbe essere preso ad emblema proprio del discorso intrapreso in precedenza: “Canto per chi non ha fortuna, canto per me, canto per rabbia a questa luna, contro di te, contro chi è ricco e non lo sa, chi sporcherà la verità, cammino e canto, a la rabbia che mi fa. Penso a tanta gente nell'oscurità, alla solitudine della città, penso alle illusioni dell'umanità, tutte le parole che ripeterà”. E pensando alle ragazze citate vengono i brividi.

Tommaso Chimenti 26/05/2022

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