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"Viaggio in Italia": intervista al bassista del progetto, Walter Silvestrelli

Abbiamo incontrato Walter Silvestrelli, bassista e interprete del disco-spettacolo Viaggio in Italia. Cantando le nostre radici, con cui il collettivo AdoRiza ha vinto la Targa Tenco 2019 nella categoria Album collettivo a progetto.

Ci racconti la tua esperienza all’interno del laboratorio? Che importanza ha avuto nel tuo percorso?
È stata un’esperienza importantissima. Prima già suonavo musica popolare con il mio gruppo, i Chissenefolk, ma Viaggio in Italia è stato un lavoro di scrittura artistica sul folk in cui la guida di personaggi come Tosca e Piero Fabrizi mi ha arricchito in maniera determinante.

Come siete riusciti a mettere insieme così tanti artisti in un progetto comune?
È stato facile, perché il gruppo era molto affiatato. C’era una splendida atmosfera che Tosca, Piero Fabrizi, Felice Liperi e Paolo Coletta hanno creato alla perfezione, stimolandoci continuamente con la loro personalità.

Hai avuto la possibilità di portare degli elementi della tua tradizione locale nel progetto?
In realtà no. Ma, nel momento in cui si affidavano le canzoni ai vari musicisti, mi sono imposto con una grandissima decisione per cantare proprio Diavule Diavule, perché mi ricordava la mia terra. Anche se la tarantella è comunemente considerata della Puglia, con piccole differenze ritmiche fa anche parte della tradizione lucana. Questo perché la Basilicata è esattamente al centro del Sud, e la sua cultura è il perfetto mix di tutte le tradizioni meridionali.

Una delle caratteristiche più interessanti di questo progetto è la reinterpretazione della tradizione. Quanto ci hai messo di tuo in Diavule Diavule?
Non volevo stravolgerla, l’ho semplicemente fatta mia e il risultato è stato quello di dargli un ritmo diverso e di cantare, in certi momenti, quasi rappando nel microfono.

Nonostante testi e melodie restino quelle originali in ogni brano, senti di essere riuscito a dargli un’impronta attuale?
Musicalmente, sì. Ma le canzoni popolari sono sempre attuali, perché hanno la straordinaria forza comunicativa di rompere le barriere e dire senza peli sulla lingua cose che oggi sarebbe considerato immorale dire. È una musica in grado di rispecchiare una cultura che, pur evolvendosi, continua e si fonda sempre sulle stesse basi, le radici. E oggi, come sempre, risulta attuale, soprattutto se si pensa alle storie di fame e migrazione che raccontano… Ma stiamo finendo a parlare di cose troppo serie ora e ho paura che così mi si svegli la bambina (sorride, ndr).

Diavule Diavule è forse uno dei brani più coinvolgenti del progetto. Quale è stata la reazione del pubblico?
Per quanto fosse il pezzo più eccitante, in tutti i brani il pubblico è stato coinvolto, forse perché questa è la forza della musica popolare. Al bis soprattutto, nonostante ci trovassimo in teatro, la gente si è alzata e ha ballato in una danza liberatoria. Ma, a dirti la verità, me lo hanno raccontato i miei colleghi, perché io, purtroppo, quando sono sul palco entro in trance e non mi accorgo più di nulla che non sia la musica stessa.

In una recente intervista hai detto che la radice è quando ti metti a nudo e cominci a capire dove andare. Questo lavoro ti ha fatto capire dove andare?
Mi ha confermato definitivamente quale strada voglio percorrere: senza dubbi, quella della musica.

Come si svilupperà in seguito il lavoro del collettivo? Avete già in mente progetti futuri?
Si, abbiamo un obiettivo che riteniamo fondamentale: portare il progetto in giro per l’Italia e, perché no, anche per il mondo.

Alessio Tommasoli 28/07/2019

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