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Recensito incontra Tommaso Primo: il racconto di 3103

Un viaggio verso il domani tra sound e pensiero: il nuovo disco di Tommaso Primo.  
In un'epoca in cui tutti sembrano aver qualcosa da dire, in cui l'opinione si sostituisce molto spesso alla riflessione vera e propria irrompe, per la sua autenticità, sulla scena cantautoriale partenopea “3103” l'ultimo disco di Tommaso Primo, in cui emergono reminiscenze soul, sfumature brasiliane e una matrice vintage anni '70-'80. Il giovane artista napoletano, ormai al suo secondo debutto discografico, ci racconta la genesi di questo nuovo progetto rivelandoci convinzioni, paure e sogni.TOMMASO PRIMO 1

Da cosa nasce “3103”?
Nasce dal desiderio di raccontare o almeno provare ad immaginare un viaggio fantascientifico, in cui si parli del futuro, dello spazio, del cambiamento che la nostra società sta attraversando. In realtà il titolo è stato scelto per una questione di metrica: “Tremilacentotrè guarda il mondo mo' cumm'è”, insomma come a voler dire “guarda cosa succede in quell'anno, cosa è cambiato”.
Infatti il disco è diviso in una parte terrestre ed una parte astrale. Il fulcro è il racconto del viaggio dell’umanità dalla Terra a Kepler. Ed io attraverso la fantascienza cerco di esprimere delle cose che appartengono al reale, non senza accenni fiabeschi. Anche se spesso nelle fiabe è nascosto un pizzico di crudeltà.

Anche nel tuo precedente album “Fate, sirene e samurai” si raccontava di un mondo lontano dal reale, cosa è cambiato da allora?
Sì certo, il richiamo ad un'atmosfera fiabesca, ma in particolar modo alle anime era presente, ma c'è stato un cambiamento sostanziale sia dal punto di vista sonoro che dal punto di vista linguistico. Sonoro perché in questi brani entra, per la prima volta, l’elettronica e credo sia giusto che in un disco futuristico si introduca questa componente. Dal punto di vista linguistico, anzi direi tematico e semantico, il cambiamento consiste nella scelta di affrontare un discorso di denuncia e di critica sociale, molto più feroce. E' un’analisi politica sul mondo e su tutto quello che stiamo vivendo.

Il singolo di lancio “La leggenda del Superman napoletano” non sembra aderire appieno a questo cambiamento di rotta. A questo proposito, come mai la scelta di Superman?
In effetti è più simile a Gioia, Viola, i miei testi più ascoltati, ma tra le righe si scorge un' impronta critica anche qui. Ho scelto Superman perché era il supereroe più forte e mi piaceva ridicolizzarlo, mi piaceva prendere un po’ in giro quello che siamo oggi, riferendomi soprattutto a Napoli: una città che non riesce a smettere di essere se stessa, il che può essere un bene o un male.
Ma nonostante tutto è il brano in cui mi rivedo di più, se proprio dovessi trovarne uno.

Ritornando invece alla questione prettamente linguistica, una delle tue prerogative è l'uso del dialetto, anche in “3103”.
Sì, in effetti si può dire che sia un disco bilingue. Alcune canzoni sono in italiano, in altre alterno i due registri linguistici, anche se c'è da dire che ai miei esordi, quando avevo circa diciotto anni, ho iniziato cantando quasi esclusivamente in italiano. Però adesso l'uso della lingua napoletana credo che abbia perso quella genuinità, la spontaneità che caratterizza i miei primi pezzi.

TOMMASO PRIMO 2 Possiamo parlare, a questo punto, di crescita o maturazione, piuttosto che cambiamento. Sei d'accordo?
Esatto. In “3103” c’è un attacco anche brutale che rischia di rimanere a pochi. Confrontandomi con tante persone capisco che appartengo, insieme ad altri interpreti, ad un 'genere' come si suol dire “di nicchia”. Devo ancora capire se siamo noi nel torto o lo sono gli altri. Siamo degli zombie. Ma nonostante ciò ho deciso di affrontare numerosi argomenti, proprio per divulgare l'importanza di guardarsi intorno in modo attento, l'importanza della riflessione sul mondo che ci circonda e sul futuro. Nel primo e nel secondo brano, ad esempio, si parla della questione meridionale, che un po’ corrisponde anche alla mia storia: quello che sono stato e quello che sarò. In altri pezzi ci sono analisi filosofiche sulla creazione, sul Big bang; un discorso sulla Massoneria, in Kabul che è il brano più feroce del disco, c’è un ritornello molto forte che descrive l'attualità, in Zombie vs Alien c’è la critica a tutto ciò che oggi in Italia fa tendenza. Una tendenza che, purtroppo, porta le menti ad essere offuscate.Questo è un Paese dove non si cerca mai di avvantaggiare e professare il pensiero, ma soltanto l’estetica e la plastica. Tutti inneggiano al pensiero, ma nessuno fa realmente qualcosa.

Tutto quello che contesti nel disco, ovviamente, speri possa essere uno spunto di riflessione per chi ti ascolta?
Sì, ma so che saranno pochi rispetto a coloro che ascoltavano i cantautori di un tempo.

Anche se oggi il cantautorato, non solo napoletano, sta riscontrando un certo successo.
Assolutamente sì, ma non so se i cantautori che parlano di politica abbiano davvero una certa risonanza a livello nazionale. Ma c’è un motivo, sembra che la politica sia al centro del cambiamento sociale italiano, ma non credo sia così, e inoltre è diventata ancora più complessa.

La domanda mi sorge spontanea, viste le premesse, secondo te come si diventa cantautori?
È la necessità di raccontare delle cose. Spesso si dice :“il mio sogno è quello di cantare”, io non ho propriamente il sogno di cantare, magari quello di incontrare persone con esperienze e pensieri differenti, come è successo nelle piazze, nei posti in cui mi è capitato di esibirmi. Ma c’è il bisogno di raccontare e di essere un pensatore libero, e oggi stiamo mettendo a rischio la nostra libertà di pensiero, in maniera prepotente e non ce ne rendiamo neanche conto, abbiamo smesso di dare spazio all’arte, alla conoscenza che dovrebbero essere la fonte principale di arricchimento, che adesso è solo a discapito dei privati. Se però dobbiamo fare i patriottici, io allora lo sono con la cultura.

In che modo senti che queste dinamiche abbiano influito sulla scrittura dei tuoi brani?
Sono in una fase in cui mi sto facendo un po’ trasportare dalla vita e sto cercando di capire delle cose. De Andrè, citando Benedetto Croce, diceva : “chi scrive poesie dopo 18 anni o è un poeta o è un cretino”, ecco, io ho scoperto all’improvviso di essere un eversivo e non so se per scelta o perché mi hanno fatto diventare così. In realtà ciò che facevo all’inizio era una fonte di ribellione, non compresa perché scrivevo l’amore quando tutti cantavano la protesta. Ora si porta l’amore e io scrivo la protesta, non riesco mai ad abbracciare le mode a salire sull’onda, perché vado in direzione ostinata e contraria e siamo sempre più soli ad andare in questa direzione. Ho notato che l’umanità odierna, e ne parlo anche nel disco in Kabul, in Cassiopea, non ha una grande concezione di massa, che dovrebbe avere per raggiungere degli obiettivi anche egualitari. Gli uomini hanno sempre bisogno di qualcuno che li guidi, non riescono ad avere una concezione unitaria, lo so che abbiamo bisogno di maestri, ma si potrebbe favorire la collettività, abbattere le barriere e creare ponti! Il problema è che non tutti sono disposti a far questo.

Sono considerazioni significative! Per concludere come descriveresti in poche parole la società che ti circonda?
Con una frase che mi piace, ma non so se sarà capita, si trova in Hola Madre Natura uno dei singoli di 3103: “Ego ha travolto Ecos molesta idea di felicità, tutta colpa dell’Eros che troppo spesso ce fa sbaglià ambiamo al puro nel corpo e nel pensato ma simme figl d'o 'ddoce e 'ddo peccato”.
Ad oggi credo che sia una convincente sintesi dell'umanità.

07/06/2018
Ilaria Costabile

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