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Il regista Silvio Peroni racconta “Ci vediamo all'alba”: una favola moderna tra dolore e amore

Dal 17 al 20 gennaio al Teatro Palladium va in scena in prima nazionale di “Ci vediamo all'alba”, testo della celebre drammaturga e regista britannica Zinnie Harris, interpretato da Francesca Ciocchetti e Sara Putignano, guidate dalla regia di Silvio Peroni. Uno spettacolo teneramente lirico che vede protagoniste due donne, Robyn e Hellen, su una spiaggia lontana dopo un violento incidente in barca. Stordite dall'esperienza, cercano un percorso verso casa. Una sinfonia di perdita, desiderio e commedia, un'opera che si immerge nella paura e nel mistero, nella desolazione e nell’amore intenso e quotidiano, mettendo in gioco le cose che gli uomini temono di più.
Abbiamo incontrato il regista Silvio Peroni, dotato da sempre di uno stile molto personale e distintivo, in grado di creare suggestioni dal forte impatto emotivo e atmosfere avulse da qualsiasi dimensione spazio temporale, il quale, in questa intervista sulle pagine di Recensito, racconta il suo lavoro sul testo e sull’attore che ha dato vita a questa moderna favola contemporanea, offrendoci anche una importante riflessione sul panorama teatrale.

Come e perché è nata l’idea di portare in scena questo testo di Zinnie Harris?
"Di solito leggo i testi e sto attento a cosa succede soprattutto a me stesso. Scelgo un testo quando mi parla, quando sento che c’è qualcosa al suo interno, a livello quasi inconscio, che tocca delle corde, che nel tempo ho iniziato a credere siano le corde artistiche del talento. Lo scelgo quando le parole ti toccano a livello emotivo, senza darti troppe ragioni, in modo quasi inconsapevole. Questo testo, devo ammettere, mi ha parlato fin da subito. È chiaro che nello sviluppo di una drammaturgia, quando vai a studiarla e ad approfondirla, poi conosci anche te stesso e capisci le motivazioni più profonde che ti muovono verso un lavoro."

Un lavoro incentrato sul racconto e sulle relazioni fra autore, attore e spettatore, che mette da parte la spettacolarità della rappresentazione e produce un triangolo comunicativo basato sul messaggio del testo e sulle immagini emotive che le parole ricreano, in cui il pubblico può trarre un suo senso. Qual è il tuo personale messaggio che vuoi trasmettere?
"Il messaggio è la perdita, cercare motivazioni per superare un grosso dolore, una cosa che ci fa veramente soffrire, quel lato oscuro che cerchiamo sempre di evitare, quel posto strano chiamato dolore dal quale fuggiamo. Invece qui la tendenza è di affrontarlo a piè pari, in questa simbiosi con il dolore a cui danno vita i personaggi, per approdare a qualcosa. Nella vita reale il dolore porta a compiere anche gesti orribili, la scelta teatrale deve essere, al contrario, un passaggio di accettazione. Il messaggio diciamo è questo: come guardarci dentro e non sfuggire alle cose che ci fanno più paura."

Il testo è ispirato, almeno in parte, alla leggenda di Orfeo ed Euridice e della loro antica ricerca del partner perduto. In cosa si ritrovano tracce del classico? Vi sono altri riferimenti letterari?Meet Me At Dawn 5
"È una scrittura inglese che non ha mai dimenticato le sue origini, quelle shakespeariane, quindi i rimandi letterari ci sono e sono tanti: siamo su un’isola, c’è il mare, e anche per come è scritto il testo, con dei monologhi interiori di un personaggio e al tempo stesso un’azione scenica che si sviluppa in un ambiente quasi onirico, seppur inizialmente non compreso dai protagonisti. Per quel che riguarda Orfeo e Euridice, secondo me, è la base, l’idea del plot. Parte da cosa potrebbe accadere se potessimo rivedere la persona perduta che amiamo anche solo per un po’, per un giorno. Poi è chiaro che non ha lo stesso sviluppo. “Ci vediamo all’alba” è un’altra cosa, è una favola contemporanea. C’è il mistero e la fascinazione del teatro che è uno spazio nero in cui tutto può accadere, a prescindere dal fatto che il teatro stia diventando sempre più per tecnici e meno per il grande pubblico, è sempre quel luogo in cui credi anche alle cose più improbabili. Crediamo al personaggio Amleto che vediamo fantasma, a un mago su un’isola, ad elfi, folletti, perché rimane ancora quella scatola nera dove tutto può succedere."

Una favola moderna sull’amore, il mistero del dolore e il desiderio di perdersi in un futuro fantastico e in un paesaggio emotivo. Come lo intendi e lo ricrei in scena?
"Naturalmente la relazione che c’è tra testo, attore e spettatore è fondamentale. E’ chiaro che abbiamo un meccanismo nella vita, parliamo per immagini. Quando raccontiamo qualcosa, nel nostro cervello non girano delle parole scritte, ma delle immagini, e spesso e volentieri noi abbiamo l’esigenza di far vedere queste immagini al nostro interlocutore. Molto di questo paesaggio immaginario, emotivo, passa attraverso l’attore e nel lavoro che c’è dietro, con l’attore, si cerca di creare delle forti immagini. Quindi la parola non è solo un segno scritto nero su bianco, ma è qualcosa che ha più concretezza, riguarda la figura. Credo che ciò che vede l’attore, lo vede anche lo spettatore."

Interpreti sono Sara Putignano e Francesca Ciocchetti, attrici dotate di grande sensibilità e spessore. Come stai lavorando con loro? Qual è il tuo lavoro sull’attore?
"Sto portando avanti nei vari spettacoli una tipologia di lavoro, quasi a livello pedagogico, stando attento ai meccanismi dell’attore e dell’essere umano. Per ottenere risultati serve tempo e purtroppo in Italia non ne abbiamo, invece in altre parti, come in Germania o in Russia, provano spettacoli per un periodo molto piùlungo. È un lavoro lungo sull’attore che si va a stratificare. L’essere umano è una macchina perfetta, ma anche molto complessa, quindi bisogna sovrapporre l’aspetto logico, le azioni che compiamo, l’emotività, le condizioni, le circostanze in cui si muove il personaggio, i luoghi, la relazione con l’altro. Tanti fattori su cui si lavora e che poi emergono.
Abbiamo lavorato inizialmente con una grossa fase di studio del testo, diviso in sequenze legate agli accadimenti. Successivamente dal lavoro a tavolino abbiamo compreso quegli elementi che ci condizionano pure nella vita: siamo influenzati dai luoghi, dalle persone con cui viviamo, e pian piano abbiamo costruito tutto. La scoperta dei personaggi poi te la detta il testo, i meccanismi di pensiero di un personaggio bisogna leggerli nella drammaturgia. Ogni essere umano ha un suo vocabolario, un suo modo di agire, i suoi obiettivi. Piano piano lo si scopre e si cerca di farlo emergere."

Ti dedichi molto alla drammaturgia britannica. Credi che esprima e sia specchio della crisi dei valori odierna meglio di quella italiana contemporanea?
"Non vorrei fare distinzioni. Secondo me la drammaturgia italiana non ha problematiche. Il problema è del meccanismo teatrale, che riguarda il pubblico, l’aspetto produttivo e così via. In Inghilterra danno delle possibilità ai drammaturghi, perché sono continuamente, a livello produttivo, alla ricerca di nuove storie, e c’è quindi tutto un percorso legato alla drammaturgia che si sviluppa man mano con gli attori. In Italia questo manca. I drammaturghi lì si confrontano con gli attori e lavorano sul testo, poiché dietro comunque c’è una produzione e dei teatri che offrono questa possibilità. Non è un fatto di scrittura o mancanza di creatività, è un problema strutturale che stiamo vivendo nel teatro. Poi la scelta del contemporaneo non è di parte o di genere. E’ chiaro che il contemporaneo si mescola con il classico. Shakespeare scriveva per i suoi contemporanei, così come qualsiasi autore classico. Il problema è quando la drammaturgia si confonde con l’attualità, cioè l’attualità non ha una condizione. Il contemporaneo può essere classico ,così come il classico può essere contemporaneo, invece l’attuale non è per forza contemporaneo, non è per forza classico. L’attuale è rischioso. Quando si cerca di fare un teatro attuale, spesso rimane legato al a un fenomeno di costume. La scelta del contemporaneo è un fatto linguistico, trovo una lingua più vicina a quella che parliamo per mandare determinati messaggi, stimolando non per forza l’aspetto intellettuale dello spettatore, ma soprattutto quello istintivo ed emotivo."

Prossimi progetti?
"Fino ad oggi non mi sono mai fermato, sono stato talmente occupato con diversi spettacoli che per adesso non ho progetti stabiliti."

Maresa Palmacci 15-01-2019

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