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Recensito incontra Roberta Calandra, autrice di “Dicono di lei” in scena al Teatro Tor Bella Monaca

Dal 12 al 14 ottobre andrà in scena al Teatro Tor Bella Monaca, Dicono di lei, spettacolo di Roberta Calandra, con Nadia Perciabosco la regia di Massimiliano Vado, presentato dall’Associazione Culturale Attrici Clandestine e dalla Casa Internazionale delle Donne.
Un testo particolare, intenso, attuale, che mette al centro il microcosmo femminile, e non solo, aprendo lo sguardo sulla società odierna, plasmata ormai dal mostrarsi e dalle apparenze.
Protagonista è una famosa attrice immaginaria, che fa perdere le proprie tracce, mentre altri cinque personaggi si interrogano sulla sua fine. Saranno proprio le voci degli altri a descriverla e a raccontarla, attraverso confessioni e riflessioni.
Una vera e propria sfida intellettuale che l’autrice racconta in questa intervista sulle pagine di Recensito.

Chi è la protagonista di “Dicono di lei”?                                                                                                                                                                                                                                                                                                 "Un’attrice, ma non una come tante, piuttosto una veramente brava, nota, affermata, come avrebbe potuto essere una Mariangela Melato forse. Questo perché mi interessava descrivere la sparizione, dunque il probabile disagio esistenziale di una donna che apparentemente dalla vita ha avuto tutto. Ovviamente l’ispirazione non ha mai un intento volutamente educativo, ma, a posteriori, forse mi accorgo quanto sia per me interessante occuparmi dei tanti preconcetti, illusioni, fraintendimenti, rimandi, che occupano idee come “successo”, “realizzazione”, “felicità” -che per esempio per il buddismo in cui credo sono soprattutto uno stato vitale interno, che poi si riversa con valore nella vita pratica."

Come ha costruito questo testo composto da voci che si cercano, da una persona descritta in terza persona da altri?                                                                                                                                                              "Quando scrivo mi sento veramente “posseduta” dalle voci dei miei personaggi, mi è accaduto in casi precedenti, come quando mi sono occupata di Anna Freud, di Olympia De Gouges e Milena Jesenska nel mio spettacolo “Otto” o come quando recentemente ho “occupato” grazie a un progetto della Keats and Shelley House la scalinata di Piazza di Spagna facendo conversare De Chirico, Scelsi, Keats e Scialoja. Ovviamente ho studiato moltissimo, ma sulla base di una sorta d’ ispirazione, di chiamata interiore. Non è vero che sia tutto metodo, quello conta, ma dell’artista ho un’idea forse preromantica, ovvero di una sorta di “chiamata”. In questo caso non è stato in fondo diverso."

Uno spettacolo in un certo senso metateatrale. Quanto c’è di autobiografico? Si è ispirata a qualche episodio o personaggio dell’ambiente?                                                                                                                              "Non in maniera esplicita o dichiarata, anche se non conosco un artista che non abbia dovuto scontrarsi con la famiglia d’origine per le paure consuete come l’instabilità economica, l’adozione di una vita “diversa, differente” in genere, come in effetti è. Mi interessava –ed è stato interessante anche per il regista Massimiliano Vado- esplorare la storia di un’artista, contemporanea, nevrotica, affascinante, forse egualmente felice e disperata, anche per esplorarne i luoghi comuni su accumulativisi. A frammenti tutto il mio ambiente mi ha dato ispirazione."

Una storia al femminile, in cui si mescolano affetti familiari, amore, morte, rivalità professionale per dipingere il quadro di una società che sempre più si basa sulle apparenze.
Qual è il messaggio che vuole lasciare al pubblico?
"Se mai c’è un messaggio tra le righe è quello di imparare a non giudicare frettolosamente dalle apparenze, perché è davvero difficile per ognuno seguire la propria anima, che qualche compromesso ci riguarda sempre tutti, che cercare di ascoltarsi o semplicemente rispettarsi “compassionevolmente” è una strada utile oltre che necessaria…. questo sempre se davvero c’era qualcosa che “intendevo” comunicare. Il teatro maschile ha giganti come Stefano Massini, che sanno esplorare le strutture profonde “maschili” del nostro tempo, economiche, psicologiche. Le donne forse almeno a teatro, si esplorano meno approfonditamente, forse perché la loro società –che diffusamente si immagina più di emozioni, affetti, sogni- è appunto meno ‘strutturata’, più apparentemente volatile, ma c’è un grandissimo bisogno di farlo penso, perché è importante ampliare i modelli di complessità nei quali riconoscersi e, per assurdo, vivere più serenamente. E’ la normalizzazione forzata temo, che crea dolore e mostri. Guardi il meritato successo de ‘L’amica geniale’…"

Come avete reso questo testo particolare in scena? Chi interpreta le diverse voci?loc ddl
"Il genio di Nadia Perciabosco, che non esito a definire tale, per la capacità davvero camaleontica di modificarsi, quasi sul piano morfologico, anagrafico. Lei sarà la madre, la sorella, l’agente, la rivale, la figlia di Anita che è scomparsa e che non si vedrà mai sulla scena, se non per qualche frammento minimale ideato da Massimiliano Vado, che ha saputo cogliere l’animo femminile in pieghe veramente sottili, spezzando anche lui uno stereotipo: ci sono uomini in grado di capire le donne e descriverle con sensibilità e generosità evidenti senza andare per forza a Bergman, ad Almodovar, ci tengo a ripeterlo: siamo un paese pieno di talenti che non sempre vengono valorizzati come meritano, anzi (ma non è il caso di Vado per fortuna)."

Qual è l’aspetto della protagonista al quale, secondo lei, viene dato maggior risalto?
"Il fatto di non avere un’identità unitaria. Senza arrivare a scomodare Pirandello, Kurosawa e altri grandissimi esploratori di questo tema, Anita, come attrice e come donna, riflette la fatica di “essere” una persona compatta, di esprimere un’esistenza immediatamente riconoscibile, non a caso le sue relazioni sono complesse: divide un uomo con una rivale, ha un’agente che la ama platonicamente, adora sua figlia ma non sa occuparsene. Forse è per questa fatica di esistere che è sparita? Ma chi di noi non è tentato a tratti di ricominciare tutto?"

Secondo lei, le voci di altri, possono restituire il ritratto fedele di una persona al giorno d’oggi?
"No. O almeno solo in parte, penso che malgrado il proliferare di strumenti avanzatissimi di esplorazione del sé, fatichiamo anche a conoscere noi stessi in prima persona. Di recente leggevo che ci sono correnti della psicologia, della sociologia che invitano a tornare a contraffarsi un po’, perché l’eccesso di autenticità ha creato nausea. Non lo penso, penso che a parte l’esibizione pietistica delle trasmissioni verità (comunque recitate) ci sia un importante esigenza di conoscersi, raccontarsi autenticamente, senza temere il linciaggio altrui. Specialmente in questo clima sociale."

Ci sarà anche attenzione particolare ai costumi, firmati da Gattinoni. Come è nata questa collaborazione?
"E’ stato un colpo di fortuna mosso da Nadia Perciabosco, che aveva un contatto personale con la firma e siamo stati felicissimi che abbiano abbracciato questo piccolo progetto in fondo profondamente legato all’idea di “vestire i panni di”…Dunque ancora Grazie!"

Lo spettacolo andrà in tournée?                                                                                                                                                                                                                                       "Stiamo lavorando al seguito con Francesco Branchetti, che colgo l’occasione di ringraziare, assieme alla nostra strenua organizzatrice Roberta Federica Serrao, a Monica Brizzi ed Elisa Fantinel, al Teatro di Tor Bella Monaca che ci ospita con nostra grande gioia, e la speranza di coinvolgere quanto più possibile spettatori del territorio."

Prossimi progetti?
"Vorrei presentare in tarda Primavera la commedia “Lemuria” con la regia di Mariano Lamberti, interpretata da Caterina Gramaglia, Barbara Mazzoni con la partecipazione straordinaria di Livio Beshir, anche questo un testo molto femminile, surreale ma impegnato sul tema della politica e della spiritualità che ha vinto in un suo estratto il Premio Traiano corti a tema libero in Maggio. Prima di Natale dovrei vedere realizzato il sogno di una edizione scozzese delle mie fiabe buddiste (Black Wolf editore) e anche coronare la pubblicazione di un romanzo fiume al quale lavoro da anni, “8” con la coraggiosa casa editrice Divergenze di Fabio Ivan Pigola che, selezionando il mio testo ha saputo dare valore a una differenza, a una proposta impegnativa ma poco convenzionale e che ringrazio ancora! … Mi piace ringraziare, siamo poco abituati a farlo, dunque grazie anche a Recensito per lo spazio concessomi e la fiducia."

Maresa Palmacci 08-10-2018

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