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Recensito incontra Emanuela Canton. Un viaggio in movimento tra i cicli del tempo

Alla vigilia del debutto di Orme dal tempo Emanuela Canton, direttrice della compagnia di teatro danza D.A.M.E., spiega come le arti terapie possono fondersi con il movimento e creare una performance che indaghi l’essenza degli uomini e delle donne attraverso lo studio delle fasi del tempo e della vita.

Emanuela, psicologa, psicoterapeuta, danza terapeuta e regista, quale percorso hai seguito e come sei arrivata alla fondazione della compagnia di teatro danza D.A.M.E.?
Danza, arte, musica, educazione. È questo il significato di D.A.M.E. la mia compagnia di teatrodanza e movimento espressivo. Nella corso della mia formazione l’aspetto artistico legato alla danza e al movimento mi ha accompagnato sin da bambina ed è stato integrato dai miei studi accademici di teatro e spettacolo che guardavano, in particolare all’antropologia del corpo e delle emozioni. Successivamente mi sono occupata di psicologia e psicoterapia ma nel momento in cui mi sono accostata alla danza e alla danza-movimento-terapia a livello simbolico-antropologico ho realizzato che si stavano andando a ricongiungere tanti dei miei interessi e ciò ha delineato la mia attuale figura professionale e la fondazione della compagnia.

Dopo l’esordio con D’infinito donna, un lavoro incentrato sulla figura femminile che prendeva spunto dalle dee dell’antica Grecia, lo spettacolo Orme dal tempo è la seconda produzione di D.A.M.E. che qui vuole analizzare il ciclo del tempo attraverso le varie fasi della vita umana. Esiste un punto comune tra queste prime due creazioni?

Entrambe nascono parallelamente ad alcuni laboratori e seminari da me tenuti. Il primo si sviluppa attraverso percorsi condotti con tantissime donne aventi lo scopo di una loro crescita personale utilizzando una pluralità di linguaggi espressivi. In particolare, mi sono servita del linguaggio del corpo e del movimento, attingendo anche al patrimonio delle danze tradizionali. Ne è nato un lavoro legato a singoli archetipi del mondo femminile rielaborati in una forma espressiva artistica in grado di raggiungere un pubblico più vasto grazie alla condivisione del vissuto di tante donne. Il secondo spettacolo nasce a sua volta parallelamente allo studio della tematica dei cicli di vita ed è accompagnato da letture psico-antropologiche in relazione allo scorrere del tempo e sua alla ciclicità. Ogni fase della vita presenta, infatti, limiti, ombre ma anche dei doni ma questo, talvolta, risulta difficile da comprendere in quest’età contemporanea. Essa ha con il tempo un rapporto malato e distorto che ci allontana dalla dimensione ciclica del tempo e della natura, danneggiandoci. Le fasi analizzate sono l’infanzia, la pubertà dove la corporeità diventa quasi ossessiva, la giovane età adulta in cui predomina soprattutto il tema dell'amore, la maturità. Ques’ultima è trattata con meno enfasi per permettere di soffermarsi maggiormente sulla memoria immaginativa tramite una sfilata di quadri, una carrellata di immagini ben fisse nella nostra mente e da essa facilmente rievocabili. Pur essendomi distaccata un po’ dalle figure mitologiche esse sono comunque presenti e riconoscibili attraverso la figura delle Parche, simbolo del tempo e del destino umano.

Potrebbe esserci una relazione tra questo voler soffermarsi sulla ciclicità del tempo e la dimensione sfuggevole e precaria della nostra attuale epoca?

Ho voluto confrontare una dimensione simbolica e archetipica universale con la realtà contemporaneità. Entrambe sono presenti in tutti gli uomini solo che la prima è sopita da tempo e va stimolata e risvegliata con il ricordo. L’attuale momento storico è caratterizzato da una dimensione mercuriale, dal nome del dio Mercurio, figura legata alla comunicazione, veloce e concreta ma anche generatrice di materialismo, menzogna e sofferenza. Se l’uomo pone l'attenzione su questi aspetti ne perde di vista altri come il darsi la possibilità di ascoltare il vuoto, il silenzio. Il tema del tempo fa si che egli s’interroghi e venga chiamato ad integrare queste due polarità.Ema1

In Orme dal tempo vi è solo un interprete uomo. Come mai è ancora così predominante la scelta di interpreti femminili?

Nel primo spettacolo questa scelta era connaturata alla natura della performance essendo un lavoro rivolto alle donne e costruito con le stesse. Tuttavia, mi interessa molto lavorare anche con gli uomini per coglierne meglio le sfaccettature. Anche qui la scelta è nata all’interno di alcuni incontri e percorsi dove si sono sviluppate vere e proprie sintonie con alcuni performers anche grazie alla loro particolare esperienza, sensibilità e capacità di slegarsi dalla dimensione egoica, narcisistica tipica delle personaità artistiche.

I tuoi performers provengono da diversi ambiti, dalla danza al teatro, dalle performing arts alle arti terpie. Com’è stato dirigere personalità così differenti a livello coreografico?

Molti momenti si sono rivelati difficoltosi allorquando si è trattato di riunire diverse anime e diversi corpi. Ma nel momento in cui ciò avviene vuol dire che i propri talenti vengono realmente messi a frutto e tutti riescono a dialogare gli uni con gli altri. Ogni interprete può, inoltre, partecipare attivamente al processo di costruzione coreografica apportando il proprio personale contributo. Si tratta di un processo sinergico

Ci sono delle icone del teatrodanza a cui ti sei ispirata durante la creazione dei tuoi lavori o essi sono il frutto di una tua personale ricerca analitica e clinica più che artistica?

Sicuramente tra le mie icone del teatrodanza c’è l’immensa Pina Bausch ma ci sono delle ricerche che hanno nutrito particolarmente le mie immagini di natura psico-analitica legate ad archetipi e simbolismi. Ciò nasce da una dimensione immaginativa, ponte tra razionale e irrazionale, conscio e inconscio, che muove da sempre i miei lavori.


Roberta Leo
16/10/2018

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