Da giovedì a domenica al Teatro Studio Uno va in scena il progetto teatrale Radio Ghetto_voci libere, una performance che dà corpo e voce all’esperienza della radio vissuta all’interno dei ghetti dei braccianti agricoli pugliesi. Un viaggio sonoro, un dialogo tra racconto e tracce audio restituito tra l’indagine, l’evocazione, la messa in scena di storie, conversazioni, rumori ambientali, musiche. Un’istantanea che mette in luce l’oppressione, lo schiavismo moderno, le baraccopoli e allo stesso tempo lancia un richiamo alla vita.
Radioghetto è una radio partecipata, strumento di comunicazione e dibattito per le comunità di braccianti stranieri che vivono nelle campagne dell’agro foggiano. Uno spazio libero in cui discutere e rilassarsi, scherzare e arrabbiarsi; un’esperienza per entrare in relazione, per immaginare alternative possibili allo sfruttamento e all’isolamento, un contenitore di storie, di persone diverse, racconto di luoghi che sulle mappe sembrano non esistere.
In questa intervista sulle pagine di Recensito il Collettivo Radio Ghetto illustra nei dettagli la loro interessante realtà e soprattutto la trasposizione scenica e teatrale del loro progetto.
Come nasce lo spettacolo Radio Ghetto voci libere?
“Lo spettacolo nasce in occasione del Contrabbando 2018 al Cinema Palazzo. La residenza è stata un'opportunità per rimettere mano, e con l'occasione rivedere e riascoltare, il vasto archivio sonoro raccolto in questi anni di Radioghetto. Lo spettacolo esplora dunque un "altro" modo di comunicare i contenuti della Radio”
È un viaggio, un’indagine all’interno della realtà dei braccianti agricoli. Cosa ne emerge ?
“Si, è un viaggio, un "attraversamento" negli insediamenti informali di braccianti stranieri. Ne emerge una realtà complessa e composita, in cui luoghi e spazi si sovrappongono, si intrecciano, si confondono. Prende dunque forma un quadro dinamico e a tratti sorprendente, pieno di una inaspettata vitalità (economica, sociale, umana) ed emotivamente intenso, intimo. Non da ultimo, emergono alcuni elementi strutturali dello sfruttamento lavorativo in agricoltura, del caporalato, della filiera agroindustriale e della "tirannia" che prezzi e mercato a cascata impongono su produttori e lavoratori.”
Radioghetto è una radio partecipata. Ci descrivete la vostra realtà?
“Radioghetto si è una radio partecipata. Questo significa che ad animare la radio sono gli abitanti del ghetto, i braccianti. La partecipazione trasversale consente molteplici registri espressivi, linguistici e comunicativi. Si parla delle condizioni di vita e lavoro nei ghetti, ma si parla anche di Africa, o più in generale dei paesi di origine, si ascolta musica, si socializza, ci si rilassa, ci si incazza.”
Una realtà radicata in un contesto ben preciso, quello del Gargano, della Puglia, che si apre però all’Italia. Qual è il vostro obiettivo?
“ Il nostro obiettivo è far emergere e raccogliere queste voci. A volte questo processo facilita una presa di consapevolezza, altre crea malintesi e diffidenze. Se l'archivio è un modo per "documentare", la modalità partecipativa della radio prova a ridurre la distanza fisica che c'è tra ghetto e città, tra cittadini e "stranieri". “
Come mettete in scena la “radio”? Come diventa teatrale?
“La radio entra in scena grazie all'interazione tra l'attrice (Francesca Farcomeni) - in scena con microfono e cuffie - e le tracce audio raccolte in questi anni. La straordinarietà di un luogo come questo, e la sua facile astrazione, lo rendono un topos ricco di spunti immaginifici che trovano nel teatro un fertile terreno di espressione.”
Lanciate un grido di speranza, di lotta all’isolamento e di denuncia? E come vi aspettate reagisca il pubblico romano?
“Non siamo sicuri si tratti di un grido, pensiamo si tratti innanzitutto di una voce. Se questa poi diventa un grido o un lamento, dipende da chi la radio la anima. Sicuramente denuncia, isolamento e sfruttamento sono temi che tornano sempre. “
Prossimi progetti?
“Organizzare la stagione 2019.”
Maresa Palmacci 13-03-2019