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Heiner Müller Tre Paesaggi: intervista a Fabio Condemi

L’impegno di Giorgio Barberio Corsetti come maestro delle giovani generazioni di registi, autori e attori dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico” si rinnova ormai da tre anni: prima Pasolini, poi Kleist, per accostarsi infine, insieme agli allievi del II anno del Corso di Regia, alla drammaturgia di Heiner Müller. Fabio Condemi, allievo diplomato del corso di regia, ha vissuto in prima persona la lezione del M° Barberio Corsetti e da due anni ormai è diventato un suo prezioso collaboratore come aiuto regista: nell’estate 2017 sarà al suo fianco nell’allestimento delle “Rane” di Aristofane per il Teatro greco di Siracusa e a ottobre collaborerà per l’allestimento di “Fra diavolo” al Teatro dell’Opera di Roma.

Cosa ha rappresentato per te, dopo essere stato allievo dell’Accademia, diventare assistente del M° Giorgio Barberio Corsetti?

Direi che è stata una crescita graduale, a partire da una proposta che Barberio Corsetti aveva fatto ai registi dell’Accademia quando ero ancora un allievo, da cui piano piano è nata una collaborazione. Tutto è partito nel 2014, quando il Maestro ha diretto un laboratorio dedicato a Pasolini. Io scelsi “Bestia da stile” e da lì è cominciata la mia esperienza come regista. Parallelamente ho iniziato a seguire il Maestro come suo assistente, per esempio al Massimo di Palermo, ma anche l’anno scorso, durante il suo laboratorio su Kleist per gli allievi dell’Accademia. È sempre molto interessante seguire i progetti che propone agli allievi e credo che nel percorso che ogni regista esordiente compie all’interno di questa Istituzione, l’incontro con un insegnante come Giorgio Barberio Corsetti si riveli molto importante. In questi tre anni, con il suo lavoro, ha portato avanti un fil rouge, un preciso percorso registico che ha condotto chiunque lavorasse con lui a interrogarsi continuamente sul principio e sul senso della rappresentazione. Si tratta di un lavoro che ogni regista deve compiere ogni volta “ex novo”. E questo vale tanto più per l’opera di Müller, che si rifiutava di inserire didascalie nei suoi testi e a questo proposito affermava: “quando scrivo una didascalia so che quella parte del testo non mi è riuscita bene”.

Quali difficoltà avete incontrato durante l’allestimento di queste tre opere del drammaturgo tedesco?

Ci è sembrato importante proporre un autore che rappresentasse uno snodo fondamentale nella drammaturgia del Novecento. Un autore, cioè, che ha ri-visto e ri-valutato tutti gli ambiti del teatro, sia dal punto di vista registico, sia dal punto di vista della scrittura. È una drammaturgia molto complessa, in cui è fortemente radicato il dubbio su quali siano i limiti della rappresentazione rispetto al testo scritto. Heiner Müller aveva paura che i suoi testi venissero semplificati o, come diceva lui, “interpretati”. Questo ovviamente pone tantissimi problemi nel momento in cui ci si accosta alle sue opere. Come si può non interpretare? È stato un incontro proficuo per i tre allievi registi, che hanno avuto l’occasione di confrontarsi con un autore che è stato un po’ come una mina vagante nella storia del teatro.

Che cosa hai notato nel modo di approcciare di Tommaso Capodanno, Paolo Costantini e Marco Fasciana alla complessità di questo autore?

Per me è interessante rilevare soprattutto come da parte di tutti e tre ci sia stato lo sforzo di riportare i testi di Müller in modo non convenzionale. In tutti ho notato la volontà di non sottrarsi alle grosse problematiche poste dal testo e di interrogarsi non tanto su come stupire il pubblico, quanto sui moltissimi piani di lettura offerti dall’autore. La scrittura di Müller è innanzitutto enigma, un nodo che gli allievi hanno avuto il merito di non voler sciogliere a tutti i costi, per riportarlo ad una semplicistica “normalità”. E questo a mio avviso è l’approccio che bisognava avere perché i tre percorsi proposti dal Maestro potessero trovare un legame.Muller2

Alla luce della tua esperienza come regista nonché di ex allievo dell’Accademia, com’è stato lavorare con questi tre registi?

Sono intervenuto soltanto all’occorrenza, per cercare di aiutarli a mano a mano che il progetto prendeva forma. Per me, tuttavia, come anche durante il laboratorio dell’anno scorso dedicato allo studio su Kleist, si è rivelato interessante soprattutto osservare il lavoro degli allievi. Quanto più i tre registi sono riusciti a toccare delle corde che non erano ancora state toccate, tanto più era interessante vederli all’opera. Alla fine, da questo studio sono scaturiti tre lavori totalmente diversi, ma certamente efficaci, proprio in virtù di questa polivalenza dell’opera di Müller e delle loro capacità di inventiva come registi.

Desirée Corradetti
24/02/2017

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