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La scomparsa di Majorana di Leonardo Sciascia al Teatro Palladium: Recensito incontra il regista Fabrizio Catalano

Sarà in scena in prima nazionale al Teatro Palladium, dal 21 al 24 marzo, "La scomparsa di Majorana", spettacolo tratto dall’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia e diretto da Fabrizio Catalano - nipote del grande scrittore di Racalmuto. Un sogno a occhi aperti, un thriller mozzafiato che ripercorre e va a ricostruire gli eventi che condussero alla presunta morte del celebre fisico siciliano Ettore Majorana, facendoci riscoprire i suoi i suoi tormenti e i suoi pensieri.
La storia di un uomo che avrebbe potuto stravolgere il destino dell’intera umanità e che invece scelse di essere un ragazzo modesto, schivo.
La raffinata scrittura di Sciascia ne offre un ritratto inedito e accurato, a metà tra un’inchiesta e un saggio romanzato, che Fabrizio Catalano ha adattato per la scena. Durante una notte d’agosto del 1945, in un ospedale di provincia, una donna, dopo aver ucciso da partigiana, è tornata a indossare il camice bianco per medicare, per guarire. Un uomo, avvolto in una tunica da certosino, rifiuta di rivelare la propria identità. Un commissario di pubblica sicurezza crede di riconoscere, nei tratti del monaco, quelli di Ettore Majorana, al quale invano ha dato la caccia per tanto tempo. Laura Fermi, la moglie dell’illustre premio Nobel, è chiamata a identificare il giovane scienziato dileguatosi nel nulla.
Sul palco Loredana Cannata, Alessio Caruso, Roberto Negri e Giovanna Rossi nelle vesti dei quattro personaggi che per tutta la notte, oltre l’alba, fino al tragico scioglimento dell’enigma, daranno vita ad una sorta di processo: dove l’intruso si trasformerà da imputato in accusatore, da inquisito in voce della coscienza.
In questa intervista sulle Pagine di Recensito, il regista ci guida alla scoperta del suo spettacolo, ma anche di un’opera letteraria come quella di Leonardo Sciascia, a trenta anni dalla sua scomparsa, e di una personalità geniale come quella di Ettore Majorana.

Cosa vuol dire per Lei dirigere un testo così importante, scritto da suo nonno?
Non è la prima volta che mi capita; e, sebbene percepisca che, in un sistema produttivo molto schematico e poco incline alle novità, questo tende a confinarmi a volte in uno spazio sicuro ma angusto, è per me sempre un piacere confrontarmi con l’opera di mio nonno. Considero questa discendenza un privilegio. Nel caso de La scomparsa di Majorana, poi, si affronta un tema dolorosamente attuale: quello della deriva della scienza e, soprattutto, dell’etica.

Che differenze ci sono tra il romanzo di Sciascia e il suo adattamento teatrale? Ha apportato importanti modifiche?
Il libro di mio nonno è al contempo un saggio romanzato e un’inchiesta; ho provato a calare il dramma di questo scienziato giovane e geniale in un contesto simbolico ma riconoscibile: tutto si svolge in una notte d’estate del 1945, poco dopo la fine della seconda guerra mondiale. Un mondo in cui l’entusiasmo per la rinascita nasconde già i germi delle derive che si verificheranno nei decenni successivi e di cui oggi constatiamo gli effetti…

Dal punto di vista registico come ha trasposto in scena il testo e come sta lavorando con gli attori? Come è avvenuta la scelta del cast?
In questa notte d’agosto del ’45, nell’ospedale di una cittadina della provincia italiana, viene ritrovato un uomo che, per i suoi tratti somatici e per le sue conoscenze, potrebbe essere Ettore Majorana. Il presunto Majorana è interpretato da Alessio Caruso, il commissario che tenta di accertarne l’identità da Roberto Negri: due attori che hanno lavorato con me diverse volte negli ultimi anni. La dottoressa, ed ex partigiana, che scopre il presunto Majorana ha il volto e la presenza scenica di Giovanna Rossi. La signora Laura Fermi, chiamata a riconoscere Majorana, è invece Loredana Cannata. Mi è sembrata subito suggestiva l’idea che fosse un’attrice da tempo impegnata nella difesa dell’ambiente ad interpretare la moglie di uno di quelli che hanno progettato la bomba atomica. E del resto io stesso, nell’autobiografia della Fermi, ho avuto l’impressione, o l’illusione, di cogliere l’ombra del rimorso…
Un cast di persone giuste al posto giusto, dunque, che si deve anche ad un rapporto di stretta collaborazione ma mai invasivo con il produttore Gino Caudai. Inoltre, l’avvolgente atmosfera della pièce non sarebbe stata possibile senza la scena dall’eco Art Déco di Katia Titolo, le musiche struggenti di Fabio Lombardi, l’attenzione ad alcuni movimenti coreografici, e non solo, di Giulia Avino, e al lavoro di un’eccellente squadra tecnica.

La storia di Majorana è un vero e proprio enigma, reso come un processo. Ha accentuato l’aspetto più “giallo”?FotoJet
Lo spettacolo ha un gran ritmo ed è condotto come un interrogatorio. Più ottant’anni dopo la sua scomparsa, credo che non sia risolutivo sapere dov’è andato Majorana, ma perché ha deciso di dileguarsi. Insomma, è il tratto psicologico di quest’uomo – introverso, timido, per nulla competitivo, per nulla interessato a far carriera – l’elemento più importante della vicenda.

È la storia di un uomo, di uno scienziato che ha dedicato la sua vita per la scienza e che per il bene e la salvezza dell’umanità ha in qualche modo annientato se stesso. Un sacrificio per il bene del pianeta. Che valore ha tutto ciò nel contesto e nella società odierna?
È probabile che Ettore abbia avuto prima degli altri l’intuizione di qualcosa di terribile. Forse la bomba atomica. Secondo alcuni addirittura di un raggio in grado di annichilire la materia. Probabilmente è stato, di fronte a questa intuizione, sopraffatto dallo sgomento. Vista da questa angolazione, la storia di Majorana ci insegna che abbiamo sempre il diritto e il dovere di assumerci le nostre responsabilità. Oggi il progresso scientifico e tecnologico è gestito con l’intento di anestetizzare l’indipendenza di giudizio, non di stimolarla. Oggi vige una regola non scritta, di fronte a molte scelte: tanto, se non lo farò io, lo farà qualcun altro. Ma non dovrebbero essere queste le regole del gioco.

La scomparsa di Majorana è un thriller a orologeria, dove emergono i tormenti di un uomo, ma anche il contesto storico sociale e politico di quegli anni. Tutto questo come viene reso in scena?
Come ha detto Gesualdo Bufalino, “Il gioco fra mistero e verità è tale che non si può frugare troppo addentro nell’animo di un uomo”. Negli anni ’30 e ’40 del ‘900 molta gente ha dovuto fare una scelta. Queste scelte hanno creato deliri, dittature, guerre, ma hanno anche forgiato le coscienze. Tutti questi contrasti emergono sulla scena: secondo la tradizione del buon teatro, attraverso i dissidi e i momenti di empatia fra i vari personaggi.

Cosa spera possa arrivare al pubblico?                                                                                                                                                                 Intanto 75 minuti di emozioni e di suggestioni. Poi, molto semplicemente, che, come Leonardo Sciascia ed Ettore Majorana, tutti noi abbiamo il dovere di farci una nostra idea sulle cose. Sono le idee che muovono il mondo.

Gli scienziati moderni cosa dovrebbero imparare da un fisico come Majorana? Quale insegnamento ha lasciato secondo lei?
Dire che dovrebbe esserci sempre l’etica alla base di ogni decisione è perfino scontato. Quello che credo abbia innescato la deriva delle società in cui viviamo è che esse non sono più dirette dalla cultura. È l’arte il perno di una società sana. Della vita culturale italiana degli ultimi trent’anni rimarrà ben poca traccia. Prima in Italia c’erano Sciascia, Pasolini, Calvino, Moravia, registi, pittori, intellettuali coraggiosi; e ora?

A trent’anni dalla scomparsa di Sciascia, secondo lei in cosa risiede l’attualità e la grandezza della sua opera letteraria?
L’essere libero e controcorrente. Non per il gusto dello scandalo ma per quello del ragionamento. Non per un tornaconto personale ma per amore della giustizia.

Prossimi progetti?
Nell’ansia di utilizzare bene la mia vita, cerco di differenziare le mie attività. È appena uscito, per i tipi delle Edizioni Rogas, un mio saggio dal titolo spero eloquente: L’immaginario rubato: senza arte, ogni società è indifesa. Ho faticosamente in preparazione un film in Bolivia, Il lato invisibile dell’eternità. E mi piacerebbe ritornare presto in teatro, magari per un spettacolo, come mi è fuggevolmente accaduto in passato, che mescoli prosa e danza…

Maresa Palmacci 20-03-2019

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