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“L’ultima madre”: Recensito incontra il cast – Ilaria Genatiempo

In occasione delle repliche romane dello spettacolo “L’ultima madre” di Giovanni Greco, in programma al Teatro Vascello dal 5 al 7 maggio, Recensito ha incontrato l’attrice Ilaria Genatiempo, una delle due protagoniste e interprete di Mercedes.

Tu interpreti Mercedes, una donna, figlia di uno dei generali più in vista della Giunta Militare argentina, che non riuscendo ad avere figli propri, usurpa quelli di un’altra madre. Come hai lavorato a questo personaggio che, immagino, è così distante da te?

Credo sia sempre molto interessante affrontare personaggi distanti da sé perché si ha uno sguardo più obiettivo. Chiaramente, non è stato facile avvicinarsi a una figura così, trovarcisi in sintonia, perché la storia che la riguarda non è una storia eticamente condivisibile. Molto importante è stato l’aiuto di Giovanni Greco, con il quale l’abbiamo per così dire lavorata ai fianchi: prenderla di petto, in maniera frontale, sarebbe stato un errore. Sarebbe stato un approccio troppo superficiale dire: “María [l’altro personaggio protagonista, ndr] è la madre buona mentre Mercedes è la madre cattiva”. Ilariagenatiempo1Posso dirti, invece, che lavorando in quel modo, ho avuto modo di cogliere tantissima fragilità e tantissima debolezza, a discapito di quello che si potrebbe pensare. Mercedes, in fondo, è una donna estremamente testarda: non potendo avere figli, decide di mettersi al letto per nove mesi e di fingere una gravidanza. Questo ci dice di una testardaggine e di una caparbietà che, dovendoci lavorare, io so dove andare a prendere. So cosa significa la forza della determinazione. Poi, chiaramente, la superficialità mentale e l’approccio dittatoriale alla vita che caratterizzano Mercedes non mi appartengono. Fra l’altro, la scelta registica di Giovanni Greco ha aiutato molto anche lavoro di interpretazione, oltre a essere un punto di forza dello spettacolo: in scena siamo due madri e una racconta la storia dell’altra. Così, io interpreto Mercedes, ma con le parole racconto la storia dell’altra madre. In questo modo sono stata obbligata ad avere e conoscere entrambi gli aspetti.

Da quello che dici, mi sembra di capire che una divisione radicale tra ‘bene’ e ‘male’, tra vittime e carnefici, non è possibile...

Esattamente. Ad un certo punto, sulla scena, quelle due madri entrano in contatto, hanno un contatto, e si vede bene come quell’aspetto di forza e determinazione di cui ti parlavo prima appartenga a entrambe. Più di una volta, poi, usiamo le stesse parole: alcune battute che dice una, poi le dirà anche l’altra. In scena c’è l’essenza dell’essere donna nelle varie sfumature che possono esistere.
Pensiamo anche al titolo: “L’ultima madre”, ma quale? ultima in che senso? cronologico? ultima intesa come quella dimenticata? o ultima perché, in un certo senso, peggiore?
Anche da questo si capisce che non esiste, che non può esistere una cesura netta.

Dunque due donne, due donne che raggiungono la maternità seguendo strade completamente diverse. In questo spettacolo si affronta quindi anche un tema/problema come quello della maternità che oggi è estremamente attuale, considerando le continue polemiche sull’adozione, la fecondazione assistita...

Guarda, io sono assolutamente favorevole a tutto quello che appoggia la libertà di scelta degli individui in questo mondo. Quindi, se la scienza, visti i livelli di progresso cui siamo arrivati oggi, nel 2017, permette a donne che hanno difficoltà ad avere figli in maniera naturale di diventare madri, ben venga!
Nel caso del mio personaggio si tratta chiaramente di un rapimento, a cui si arriva per soddisfare un’esigenza che è fortemente egoistica. Non sono quindi favorevole quando si arriva a un’insistenza la cui spinta è esclusivamente egoistica, che va oltre l’amore per il figlio, oltre l’istinto materno. In certi casi si arriva a un accanimento che ha molto a che vedere con l’ego e poco con l’amore – come nel caso di Mercedes, appunto.

Chiarissimo. A proposito, l’aspetto ‘sociale’ di questo spettacolo è stato anche sottolineato dal fatto che lo scorso anno, in occasione delle commemorazioni per il Giorno della Memoria, ne avete portato una parte alla Camera. Ci racconti di quell’esperienza?

È stata un’esperienza molto interessante. Era la prima volta che presentavamo il testo, ed emotivamente è stato tutto molto coinvolgente. Avevamo a che fare con persone che queste storie le avevano vissute davvero sulla propria pelle, viste con i propri occhi, sentita con le proprie orecchie.
Mi sono ritrovata perciò a fare quasi un passo indietro, come dovrebbe fare ogni attore.
Intendo dire che è proprio questo quello che alla fine è il nostro mestiere: veicolare un messaggio, veicolare una storia togliendo un po’ di se stessi, un po’ del proprio ego.
E dare un po’ anche una sveglia: quello di cui parliamo nello spettacolo è uno degli argomenti meno conosciuti della storia, nonostante sia ancora molto attuale. Spesso ci si approccia a questo tema come se fosse storia passata, come se fosse un “tanto tempo fa”. E non lo è!
Io per prima facendo questo spettacolo mi sono chiaramente documentata e mi sono resa conto che quello che io sapevo era una minuscola parte di un mondo che invece è tremendamente grande e complesso.

Mi sembra tu abbia un’idea molto forte e molto alta del valore ‘politico’ e ‘sociale’ del teatro...

Sì, decisamente. Ed è anche forte una chiave con la quale io scelgo i testi da fare. Non dico che faccio teatro politico, ma sono convinta che anche nel divertissement, in qualcosa di apparentemente più leggero, c’è sempre un messaggio, che è più importante di chi sta in scena, dei costumi, delle luci, della scenografia. O meglio: grazie a tutti questi elementi, il messaggio viene veicolato. Io credo fermamente che il teatro sia un’arma che bisognerebbe sfruttare di più e a cui bisognerebbe dare più ascolto e più credito.
E credo anche sia questo il motivo che mi spinge a farlo: essere utile per veicolare qualcosa che è più grande di te.

Chiudiamo con una battuta particolarmente significativa?

Dammi un secondo...aspetta, ecco, sì: “Non hai paura, non è più il tempo della paura”

Sacha Piersanti
26/04/2017

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