Siciliano, classe 1991, tra i cinque finalisti della Targa Tenco 2018 per l'opera prima, il cantautore Francesco Anselmo ci racconta le sue riflessioni, le sue emozioni e la sua esperienza all’interno dell’album-progetto Viaggio in Italia. Cantando le nostre radici su cui ha lavorato con altri giovani artisti, riuniti nel collettivo Adoriza. Dal Friuli alle Madonie attraverso un itinerario artistico guidato da Tiziana Tosca Donati e Piero Fabrizi il canto ("ado") delle nostre radici ("riza") evoca il nostro passato. Un passato verso cui un ragazzo proveniente dalla Sicilia, terra del popolare e dell’ancestrale, non può volgere lo sguardo per comprendere e far comprendere il proprio presente. Per non disperdere la memoria nel futuro.
Caro Francesco, innanzitutto complimenti: un lavoro ambizioso e molto interessante. Che importanza ha per la tua carriera un progetto come questo?
Lavorare a un progetto di musica popolare è sempre bello, specie per un cantautore: la ricerca del passato è fondamentale. Uno sguardo al passato ti permette di capire molte cose della nostra contemporaneità. Poi ho sempre pensato che la tradizione, se mantenuta, specie dalla mia generazione, può divenire memoria storica. Questo è l’obiettivo che ci siamo posti sin dall’inizio con il collettivo, ed è anche uno dei miei obiettivi per la carriera da solista.
Memoria storica, ma soprattutto memorie storiche. Come siete riusciti a mettere insieme così tanti artisti diversi, ognuno con un background culturale e artistico differente, per un progetto comune?
Tutto è nato dal laboratorio Officina Pasolini, un laboratorio di alta formazione attivato dalla regione Lazio, mentre l’idea l’ha avuta Tosca. Lei è stata la nostra guida: ha fatto un po’ da collante tra quello che è il vecchio e ciò che nuovo, tra tradizione popolare e contemporaneità musicale. Tosca tiene particolarmente alla musica popolare, praticamente il suo pane quotidiano, e ha voluto coinvolgerci. Inizialmente eravamo circa una ventina e il lavoro preliminare è stato proprio di ricerca. Per esempio, io ho telefonato al Folkstudio di Palermo per riesumare i brani. È stato un lavoro sorprendente perché ci ha permesso di accedere a reperti inediti e venire a conoscenza di canzoni dimenticate. Complessivamente abbiamo scoperto più di 1000 brani! Durante i nostri incontri li abbiamo ascoltati tutti e in seguito, grazie a un lavoro di scrematura, abbiamo scelto i pezzi più iconici.
Tu hai scelto Re Bufè, canzone popolare siciliana ispirata a una vecchia filastrocca il cui protagonista è Carlo d’Angiò. Mi puoi motivare la tua scelta considerando le ragioni personali, sia emotive che culturali?
La mia prima scelta è stata familiare. Quando ero piccolo mio nonno me la recitava ma con il tempo mi ero scordato di questa filastrocca. Riascoltandola al laboratorio, mi si è riaccesa la lampadina: ecco l’importanza della memoria. Dal punto di vista musicale, dato che è una filastrocca, è stato interessante costruire un arrangiamento del tutto nuovo, grazie anche al prezioso aiuto di Piero Fabrizi. Mentre l’ironia di fondo del testo mi ha permesso di rivedermi in questa tipologia di scrittura.
Senza dimenticare le ragioni politiche: Carlo d’Angiò è il simbolo del potere, storicamente molto opprimente in Sicilia.
Hai detto bene. Bufè racconta la storia di questo re ridicolizzato, incapace di mantenere le promesse. C’è questo binomio tra il ricco monarca e il povero a cui spetta la ricompensa della figlia del re, che non viene concessa per ragioni sociali. Una metafora del potere che spiega con ironia e chiarezza anche la politica attuale: gli adulatori esistono in ogni tempo.
La Sicilia è terra di cunti: quanto è importante raccontare le storie al giorno d’oggi?
È importantissimo. Ho avuto la fortuna di conoscere alcuni cantastorie viventi e ho riflettuto su un punto fondamentale: seppur parzialmente, la nostra generazione si è salvata da questo menefreghismo, mentre quelle successive non hanno assolutamente idea di cosa sia il patrimonio popolare. Ciò è desolante, specie in una terra dove la cultura popolare è alla base dell’identità, come la Sicilia. Tramandare le storie ti permette di conoscere e valorizzare la cultura siciliana attraverso un canale diverso. Il cunto, le canzoni popolari e la poesia dialettale fanno parte del nostro retaggio culturale, della nostra letteratura. Una cultura diversa, che va oltre le istituzioni, la scuola o l’università, ma che non è meno importante.
Abbiamo parlato tanto di passato, ma l’ultima domanda che voglio porti è sul futuro: dopo questo lavoro collettivo e il tuo album da solista Il gioco della sorte, quali sono i tuoi prossimi progetti ?
Mi porto avanti con la scrittura. Inoltre, dopo la bellissima sorpresa della Targa Tenco e la piacevole fatica dell’album da solista, ho deciso di intraprendere un tour estivo con una band di sette elementi. Ovviamente molte tappe saranno in Sicilia. Sto lavorando al mio nuovo album, che presto vedrà la luce, e parallelamente vorrei allestire uno spettacolo su Ignazio Buttitta che fonda il teatro e il cantautorato: grazie all’aiuto della fondazione Buttitta, sto facendo delle ricerche interessanti con la speranza di valorizzare la voce e la parola di uno dei poeti siciliani più importanti del Novecento.
Piero Baiamonte 22/07/2019