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Fassbinder– Non c’è amore senza dolore: intervista all’allievo regista Federico Gagliardi

Tre opere, un unico autore – Rainer Werner Fassbinder – e tre allievi registi dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”, diretti dal M° Arturo Cirillo.
Carmelo Alù (classe 1990), Raffaele Bartoli (classe 1987) e Federico Gagliardi (classe 1991) mettono in scena “Un anno con tredici lune”, “Katzelmacher” e “Le lacrime amare di Petra Von Kant”, uno studio durato diversi mesi e presentato con il titolo di “Fassbinder – Non c’è amore senza dolore”. Il loro entusiasmo è coinvolgente. Approcciano l’autore tedesco con sensibilità e interesse, descrivendo un mondo chiaro, nitido e forte e raccontando storie sfocate, fragili e disperate legate dal filo rosso dell’amore. Impossibile non riconoscersi anche solamente un po’ in questi tre spettacoli. Così moderni e carichi di sentimenti disgraziati che attanagliano ogni uomo.

Fassbinder è stato tra i protagonisti più all'avanguardia del nuovo cinema tedesco e internazionale tra gli anni ‘60 e ’80, fino alla sua prematura scomparsa. Un grande merito portare in scena un autore forse poco conosciuto dalle nuove generazioni. Perché avete scelto di riproporlo?

Insieme ad Arturo Cirillo abbiamo vagliato vari autori. Abbiamo scoperto Fassbinder e quando abbiamo letto “Le lacrime amare di Petra Von Kant” è stato direttamente il testo che mi ha “parlato”. È stato bello perché Fassbinder lo abbiamo scelto noi. Con l’Accademia hai la possibilità di osare. Ho messo in scena delle attrici, delle “modelle” molto belle, volendo anche andare al di là dell’estetica e focalizzando l’attenzione sul loro mondo interiore.

“Non c’è amore senza dolore” è il curioso e tristemente reale ossimoro che titola i tre spettacoli. Come mai di tutta la produzione di Fassbinder la scelta è caduta proprio su “Le lacrime amare di Petra Von Kant”?

Con “Le lacrime amare di Petra Von Kant” mi affascinava l’idea di portare in scena un dramma sull’amore, su come un sentimento di per sé positivo, potesse portare un profondo dolore. Mi interessava mettere in scena uno spettacolo di sole attrici. Un lavoro femminile che parla di un mondo femminile che posso al più percepire, forse capire, ma non posso vivere.

Che tipo di lavoro è stato fatto sulla drammaturgia?

Mi sono affidato totalmente al testo. Poi abbiamo visto il film che resta comunque molto teatrale. Fassbinder lo ha scritto per il teatro e l’anno dopo è uscita la versione cinematografica: ciò che rimane oscuro del testo, con il film è più chiaro. Da quello abbiamo avuto indicazioni in più e lo abbiamo considerato quindi un materiale unico che ha influenzato tutta la drammaturgia.

A proposito di questo: come hai anticipato, “Le lacrime amare di Petra Von Kant” nasce come opera teatrale (1971) e poi diventa un film (1972). La tua pièce è fedele all’originale?

Sono rimasto molto fedele alla fonte, tranne che nel finale. Il film ha influenzato la messa in scena, abbiamo lavorato parallelamente sia sul testo che sulla pellicola.
Sia nel testo che nel film queste donne sono ognuna un mondo a sé, impenetrabili e affascinanti e ho cercato di riportarlo a teatro. Petra lavora nella moda, è una donna di successo e il suo dramma si svolge tutto in una camera da letto, il luogo più intimo, in cui si è più veri e più fragili, in cui si può essere se stessi. Il suo lavoro è rendere umani dei manichini. L’idea iniziale prevedeva proprio dei manichini in scena ma poi li abbiamo esclusi. L’idea di ambientare questo testo in un mondo completamente falso, finto e ricostruito emerge anche dall’allestimento. Parrucche e vestiti fanno andare in frantumi l’umanità, Petra vede crollare il suo mondo piano piano. Il pubblico è sul palco, molto vicino alle attrici: non puoi distrarti, non puoi dimenticarti dove sei. Tutti vivono questa costrizione. C’è uno sguardo quasi voyeuristico su un dramma al quale non si può restare indifferenti.

L’esperienza e la collaborazione con il Maestro Arturo Cirillo quanto e in che modo hanno influito sul tuo lavoro?

Inizialmente ero un po’ “spaventato”, tendo molto a difendere le mie idee quando lavoro a un progetto. È difficile trovare un regista capace di capire, rispettare la tua idea e aiutarti a realizzarla. Sono felicissimo e credo che il rapporto con Cirillo sia uno dei più belli. È sia attore che regista e ti fa capire come aiutare l’attore. Mi sono confrontato con lui soprattutto su ciò che mi metteva più in crisi o che pensavo non funzionasse abbastanza ed è sempre stato attento perché ci crede, si mette nei panni di chi è in scena. Mi ha aiutato a portare avanti la mia idea anche mettendomi in difficoltà e dandomi la possibilità di riordinare i pensieri. È stata una bellissima esperienza professionale e umana, fatto che non è mai scontato.

Dalle tre storie emergono ritratti femminili ben definiti con personalità molto forti e fragili allo stesso tempo: che tipo di studio è stato fatto sui personaggi, sia dal punto di vista della regia che dal punto di vista dell’interpretazione?

Fassbinder trova che mettere in scena un personaggio femminile lo aiuti a esprimere quello che vuole. Lui vedeva nelle attrici questa aura che esprimeva qualcosa di preciso, ma che lui non poteva capire fino in fondo. Lui stesso, da uomo, lavorava con donne capaci di esprimere la fragilità, il tormento più di altri attori uomini. Ho lavorato sui personaggi creando un contesto, uno spazio, facendo anche un lavoro fisico su di loro, con i costumi, le parrucche: all’attrice bionda con i capelli lunghi ho messo dei capelli neri, con un taglio corto. Ho preparato il campo, l’atmosfera e ho creato questo mondo che potevo dominare per poi lasciare loro la possibilità di riempirlo con il proprio vissuto. Fondamentale, perché in un testo come “Le lacrime amare di Petra Von Kant” in scena non succede nulla, non c’è azione, è tutto molto di parola. Alla base ci sono le relazioni.

Quanto è attuale Fassbinder?

“Le lacrime amare di Petra Von Kant” è un dramma e in quanto tale finisce male. Per Fassbinder questo coinvolge da vicino il pubblico: costringere ad assistere a qualcosa che finisce in modo negativo, si spiega nell’intenzione di dimostrare che se non si agisce per cambiare, presto o tardi, si giunge a un epilogo amaro. Mette in guardia, in qualche modo. Fassbinder è attuale perché mostra la fragilità dell’uomo che tende a essere più forte e dominante, quando poi in realtà è estremamente fragile. Non so perché, ma dalla prima volta che lo abbiamo letto, ha preso vita qualcosa. È attuale perché parla di sentimenti e il sentimento, l’amore e il dolore sono universali.

Silvia Lamia
27/3/2017

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