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Recensito incontra il giovane attore Enrico Torzillo

Nel vasto panorama teatrale italiano sono tanti i giovani che si stanno distinguendo per talento, impegno, dedizione e vera e propria passione per un mestiere affascinate, ma molto complesso come quello dell’attore. Tra questi anche Enrico Torzillo, classe 1998, il quale dopo le varie esperienze con la compagnia del Teatro dell’Orologio e il debutto lo scorso luglio al Festival dei Due Mondi di Spoleto con lo spettacolo “Quel che accadde a Jack, Jack, Jack e Jack” di Francesco Petruzzelli, è pronto a spiccare il volo verso nuovi importanti impegni e una carriera che siamo certi sarà brillante.
Una vera e propria vocazione quella per la recitazione, che ha rapito Enrico fin dai primi anni d’età, quando ha iniziato a muovere i primi passi in teatro a Benevento, sua città natale, per poi proseguire nella Capitale, dove diplomatosi alla Scuola del Teatro dell’Orologio, ne è entrato a far parte della compagnia, prendendo parte a numerosi spettacoli, tra i quali “Walking on the moon” con cui ha esordito sul palcoscenico del Teatro India.
In questa intervista sulle pagine di Recensito il giovane interprete ci parla del suo percorso, i suoi sogni, i suoi progetti, le sue prospettive.
Un racconto in cui poter conoscere e scoprire l’umanità di un ragazzo sensibile e determinato, la professionalità di un attore brillante e talentuoso, l’eclettismo di un artista di cui siamo certi sentiremo parlare.

Come è nata la tua passione/vocazione per la recitazione?
“Se rispondesse a questa domanda un qualsiasi membro della mia famiglia, direbbe senza alcun dubbio, che il virus della recitazione mi aveva già infettato nel primo anno di vita, quando, grazie ai loro racconti, so di essermi esibito nel bagno di casa mia, mentre la mia mamma si preparava, oppure in macchina con i miei nonni, piuttosto che in eterni giochi di ruolo dittatoriali imposti ai miei amichetti nella riproduzione dei personaggi (generalmente malvagi!) dei grandi classici Walt Disney, che guardavo e riguardavo fino a consumare le vecchie care VHS. In realtà ai miei genitori, ai miei nonni, a mia zia devo una costante stimolazione della fantasia … Io risponderei di aver “capito il problema” grazie allo sport, grazie al fatto che quel piccolo bimbo grassottello non ne voleva sapere di calcio, pallacanestro o nuoto e, alla giusta esigenza dei miei di non voler farmi passare interi pomeriggi a casa, rispondeva sempre con capricci e opposizioni … Fin quando, a sei anni, un po’ per caso, un po’ per disperazione, tra i vari hobby con cui mi mettevano alla prova, toccò ad una lezione di teatro per bambini. Entrai il quel posto strano convinto che, come sempre, si sarebbe trattato della prima e ultima volta. Da allora, però, non ne sono più uscito.”enrico torzillo img2

Quando hai capito che avresti voluto fare l’attore?
"In realtà, è stato proprio quel luogo magico a farmi capire quale fosse il mio sogno e a definire sempre di più i miei obiettivi. Per dodici anni, infatti, ho passato la maggior parte del mio tempo libero a “Teatro Studio”, la scuola di Recitazione di Benevento, gestita dalla Solot, compagnia stabile della mia città d’origine, una realtà “spaventosamente” professionale, attenta ai suoi prodotti, stimolante e concretamente utile per avviare un percorso di studi artistico, un vero e proprio gioiello del Sud Italia, che, a parer mio, dovrebbe giovare di grande sostegno da parte delle Amministrazioni. Grazie a questa meravigliosa esperienza, ho assunto consapevolezza del mondo del teatro e ho avuto la possibilità di incontrare numerosi professionisti che condividevano con noi ragazzi la loro esperienza. Con tanto studio, tanti sacrifici e tante esibizioni, ho capito, gradualmente, che nella vita si può vivere di quel che si ama, solo se lo si ama davvero, che il lavoro deve essere una gioia e non un imposto mezzo di sostentamento. Per questo mi reputo molto fortunato: ho capito molto presto quale era la mia passione e, “un passetto alla volta”, ho lavorato su quelli che erano i miei obiettivi (Che non finiscono mai! Quando finiranno, lascerò questo mondo!)”

Quale è stato il primo spettacolo con il quale ti sei misurato?
“Il mio “battesimo di palcoscenico” non lo dimenticherò mai: avevo poco più di sei anni e raccontavo, con la mia classe di Recitazione, la storia di Iqbal Masih, bambino attivista pakistano. Le messe in scena di quegli anni erano meravigliose: trionfi di colori, fiabe e canzoni (che ricordo ancora!), mi capita di invidiare ancora i piccoletti che prendono parte oggi a quelle esperienze! A circa undici anni, invece, fui chiamato dal Maestro Ugo Gregoretti per una sua produzione a Benevento … interpretavo un piccolo centurione … e ho ancora la spada di plastica in camera!”

Fondamentale per te la Scuola del Teatro dell’Orologio. Qual è l’insegnamento che ti ha segnato di più e porterai sempre con te?
“Il Teatro dell’Orologio, la Scuola e la produzione sono stati la benzina del mio percorso artistico. Per rispondere esaustivamente a questa domanda non basterebbero venti cartelle.
Il percorso formativo dell’Orologio diretto da Leonardo Ferrari Carissimi (che considero il mio Maestro) mi ha dato davvero molto; l’insegnamento che porterò sempre con me è sicuramente la consapevolezza del tipo di attore che sono e che posso essere, del mondo a cui appartengo e di ciò che voglio raccontare. La realtà del Teatro dell’Orologio di Roma, che negli ultimi tempi ha passato momenti di buio ma di grande luce, è molto simile a quella di una bottega artistica (mi piace paragonarla alla concezione teatrale di Eduardo De Filippo), un luogo che fa da palestra, da stimolo e da concreta possibilità di messa in pratica dell’artigianato dello spettacolo, nel rispetto dei giovani e del lavoro.
Le esperienze professionali che vivo in quel luogo sono sempre le più speciali. Inoltre non posso non soffermarmi sulla più grande conquista a cui quella realtà mi ha portato: un gruppo di persone meravigliose, una famiglia, un capitale umano sul quale tutti abbiamo deciso di investire … La Compagnia Del Teatro dell’Orologio!”

Con la Compagnia dell’Orologio hai recitato in spettacoli che mirano alla riqualificazione della periferia romana. Credi che il teatro possa avere la forza di migliorare la società? In che modo può farlo?                                 “Ebbene si, con la mia Compagnia siamo andati in scena nei luoghi meno canonici che si possano immaginare, da giardini di Trastevere alle strade di San Lorenzo, dalla metropolitana agli scavi di Ostia Antica, da vicoletti di Centocelle alle strade di Torpignattara, da uffici a foyer di teatri, e tanti altri ancora . Sempre mossi e carburati dalla consapevolezza di star facendo Spettacolo per la gente, per le famiglie, per i bambini, per persone che macinano kilometri pur di inseguirci o che, semplicemente, si affacciano dal balcone di casa. In un’epoca nella quale il Teatro è diventato uno spargimento di ego di tecnici per tecnici, è davvero soddisfacente far si che “per far andare la gente a Teatro, è il Teatro che va dalla gente”, riscoprendo che, proprio come accadeva durante le prime messe in scena dei capolavori della drammaturgia classica o dell’operato artistico di Shakespeare, le persone sono presenti, coinvolte, felici e spronate alla riflessione. Credo sia questa la missione dell’arte. Si tratta di un lavoro come tutti gli altri, fatto di studio, coraggio e passione. A parer mio, però, può essere considerato come “il mestiere più bello del mondo” proprio in merito alle sue finalità. Il Teatro può e deve migliorare la società, vivendo per la società, non per l’accrescimento delle egocentricità artistiche. La Cultura è politica, la politica è sempre stata cultura … E’ in questo momento che le carte in tavola si sono un po’ mischiate. Comunque, nemmeno il disfattismo o la convinzione di agire nel modo giusto conducono lontano. I valori missionari dello spettacolo possono essere portati in scena in qualsiasi contesto, dal Teatro Argentina alla Stazione Termini.”

A Spoleto hai mostrato una grande maturità scenica con lo spettacolo “Quel che accadde a Jack, Jack, Jack e Jack” di Francesco Petruzzelli, vincitore del premio Carmelo Rocca. Cosa ha significato per te questa esperienza?
“Il debutto al Festival dei Due Mondi di Spoleto è stato, senza dubbio, uno dei momenti più belli ed emotivamente precari della mia vita.
Avere la possibilità di essere in quel cartellone in età così giovane non è affatto scontato e la mia gratitudine in merito va a Francesco che ha creduto in me, dandomi, inoltre, la possibilità di andare in scena con una storia meravigliosa come “Quel che accadde a Jack, Jack, Jack e Jack”. Quell’esperienza ha significato un grande impegno, vista la posta in gioco, una grande paura (quella che mi spinge, poi, in fondo, a non arrendermi mai alle difficoltà di questo lavoro), un grande riconoscimento da parte dell’Accademia Nazionale D’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” (da me tanto inseguita), che ha dato la possibilità al progetto e al cast di allestire un bellissimo prodotto. Lavorare con il gruppo di professionisti che ho conosciuto per quell’occasione è stato incredibilmente formativo, per quanto, nonostante in quell’ambiente mi sentissi l’ultimo arrivato e il meno pronto, sia stato messo a mio agio in un clima di grande umiltà e amicizia. Ammetto che la paura di fallire è stata alta, per quanto ero coinvolto … Un po’ come le montagne russe: ci sei salito, lo hai voluto tu, quando arrivi in cima sai che dovrai scivolare giù, non puoi scendere, non puoi appellarti a nulla … quindi puoi solo divertirti per vivere un’esperienza straordinaria! E così è stato … Poi l’aria di Spoleto e del Festival sono magiche … Insomma, di quelle fiabe che vorresti non finissero mai, destinate, purtroppo, ad averla una fine.”

Sei molto giovane, ma già molto bravo. Con quale regista sogni di lavorare?
“Innanzitutto, ti ringrazio. Se ti dico Tim Burton, la sparo troppo alta?
Scherzo. Sogno, innanzitutto, di poter continuare ad essere grato alla vita nel poter fare ancora questo mestiere, fino alla fine dei miei giorni. Siccome sono molto più giovane che bravo, sogno di lavorare con artisti che mi chiedano di arrivare ad un obiettivo sempre più alto, che la posta in gioco non sia mai scontata. Mi piace vivere ogni progetto come una sfida. Sogno di incontrare colleghi che mi permettano di scoprire sempre più luoghi del mio mondo umano e artistico. Ovviamente ci sono dei nomi con i quali, per lavorare, mi venderei la mia collezione di bacchette di Harry Potter, perché ne respiro il gusto, che, quando è affine al mio, mi permette di raggiungere l’estasi … Però non li farò, in quanto spero di arrivarci al momento giusto e con la giusta consapevolezza.
Per quanto riguarda Tim Burton, invece, può considerarlo un appello, se ci legge …
Scherzo: lo amo talmente tanto da spettatore che potrei non essere disposto a godermi un suo prodotto dall’interno e non dalla sala cinematografica …
Scherzo ancora, Tim! Se vuoi, sto qua!”

Nel tuo futuro vedi anche la tv?
“Perché no? Per quanto non abbia remore ad avere l’obiettivo di sviluppare un percorso molto più legato al palcoscenico che all’audiovisivo, almeno didatticamente, al giorno d’oggi è difficile rinunciare alla televisione, che, ahimè, è molto più ricca e strutturata a livello produttivo. E poi, perché rinunciare ? … lo abbiamo detto prima: se c’è studio, impegno e passione, la qualità può vivere in qualsiasi forma di spettacolo! E, per fortuna, qualcosa è rimasto…”

Progetti futuri?
"A inizio Dicembre, con la Compagnia del Teatro dell’Orologio, saremo in scena nei mercati rionali di Roma (giusto per restare in tema) con una folle versione de “Il Mercante di Venezia” di William Shakespeare, in cui, tra l’altro, interpreto una donna! A Natale, tornerò nei panni di Oliver Twist (nella versione più “Twisted”). Per l’anno prossimo, oltre a numerosi progetti di Compagnia, mi aspetta uno spettacolo scritto da un giovanissimo, per la regia di Roberto Marafante dal titolo “Per favore non uccidete Cenerentola” con Ludovico Fremont, che ha debuttato in anteprima al Next di Milano … poi qualcosa che avrà a che fare con una giungla e un cucciolo d’uomo!”

Maresa Palmacci 15-11-2018
Ph: Luisa Fabriziani

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